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Afghanistan, i diritti negati alle donne dal regime dei talebani

15/11/2021

 
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a cura di Giulia Pavan


Il 15 agosto 2021 ha segnato profondamente la storia dell’Afghanistan con la presa della capitale Kabul da parte dei talebani, che ha determinato la nascita del nuovo Emirato islamico dell’Afghanistan. L’offensiva dei talebani, volta a riprendere il controllo dell’Afghanistan, era cominciata all’inizio di luglio dopo che l’esercito statunitense aveva iniziato la ritirata dal paese. In poco tempo, le truppe islamiche sono riuscite a prendere il controllo di alcune delle città più importanti del Paese tra cui Herat, Kandahar e Ghazni, senza incontrare quasi nessuna resistenza da parte delle forze governative e di polizia. Infine, il completamento della conquista del paese con la presa di Kabul ha segnato definitivamente la fine dell’esilio dei talebani, iniziato nel 2001 con l’operazione “Enduring Freedom” guidata dagli Stati Uniti. 

L’ingresso dei talebani a Kabul ha costretto alla fuga in Uzbekistan il presidente afghano Ashraf Ghani. La fuga del Presidente ha determinato l’evacuazione di diverse ambasciate e il rimpatrio immediato di numerosi giornalisti e diplomatici che rischiavano rappresaglie da parte dei talebani. Il forte clima di tensione nel Paese ha scatenato il panico tra i civili, preoccupati per l’insediamento del nuovo governo e per il proprio futuro. Soprattutto le donne si sono dimostrate allarmate di fronte al ritorno di un regime storicamente violento e repressivo nei loro confronti; infatti, nel 1996, quando i talebani per la prima volta salirono al potere in Afghanistan, i diritti che le donne erano riuscite a conquistare negli anni precedenti furono soppressi brutalmente. 

Il percorso di emancipazione della donna in Afghanistan iniziò con l’ascesa al trono del re Amanullah nel 1919. Durante il suo regno vennero messe in atto molteplici riforme liberali nei confronti delle donne, con l’obiettivo di risollevare la figura femminile da una visione della società prettamente patriarcale, elevandone il ruolo attraverso l’istruzione, la partecipazione alla vita pubblica e la libertà di espressione. Nel 1921 il matrimonio forzato venne abolito e nel 1964 le donne ottennero il diritto di voto e di essere elette nelle cariche elettive. Nel 1977 venne fondata l'Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane (RAWA) e nel 1978 nacque il consiglio delle donne afgane, che contribuì alla decisione del governo di concedere gli stessi diritti alle donne in tutti gli ambiti. 

Tuttavia, L’arrivo dei talebani segnò una profonda regressione del ruolo della donna, che venne esclusa totalmente dalla vita sociale, politica e lavorativa. Le donne vennero private di ogni libertà, segregate in casa, obbligate ad indossare il burqa, sottomesse all’autorità maschile e furono soggette a violenze ed abusi. La fine del regime dei talebani nel 2001, riaccese la lotta per l’emancipazione femminile in Afghanistan e portò all’abrogazione di tutti i divieti imposti precedentemente dai talebani. Le donne riconquistarono la maggior parte dei loro diritti, accompagnati da importanti sviluppi economici, politici e sociali a favore della popolazione femminile. Oggi, dopo appena due mesi dalla caduta del governo e dal ritorno dei talebani in Afghanistan, le preoccupazioni iniziali riguardanti il futuro delle donne nel paese, sono ormai una triste e concreta realtà. 

Inizialmente, i talebani avevano dichiarato di voler riconoscere il ruolo delle donne nella società e tutelarne i diritti. “L’Emirato islamico non vuole che le donne siano vittime. Dovrebbero essere nella struttura del governo in base alla sharia”, queste erano state le parole di Enamullah Samangani, rappresentante della “commissione cultura” dei talebani. Tuttavia, quello che sta accadendo ora nel paese non potrebbe essere più lontano dalle promesse fatte dal nuovo governo. Attraverso testimonianze e notizie che filtrano dal territorio, è evidente come le donne siano le vittime principali del nuovo regime politico. La legge islamica (Sharia) attualmente seguita dai talebani prevede una totale repressione del ruolo della donna, la quale viene privata di ogni diritto e sottomessa totalmente alla volontà maschile. 

I divieti attualmente imposti alle donne in Afghanistan rappresentano la negazione lampante della Dichiarazione Universale sui Diritti Umani che venne approvata dalle Nazioni Unite nel 1948, al fine di proteggere gli individui dai crimini del totalitarismo. Tra i diritti negati alle donne c’è quello di praticare sport, tale divieto è dovuto al fatto che le donne facendo sport potrebbero essere esposte al rischio di mostrare il corpo o il viso, circostanza non permessa dall’islam. Dal punto di vista politico alla donna non è concesso diventare ministro, poiché il suo ruolo è ritenuto strettamente legato alla procreazione e alla cura della famiglia. L’istruzione femminile è concessa a livello superiore e universitario, a condizione che le studentesse si attengano a dure restrizioni sul loro abbigliamento e sui loro movimenti. Nelle scuole vi è una netta separazione degli spazi tra maschi e femmine, per evitare qualsiasi tipo di rapporto tra i due sessi. Gli abusi e la violenza sulle donne sono aumentati notevolmente, a causa della totale assenza di protezione e tutela verso la popolazione femminile. L’imposizione di codici di abbigliamento obbligatori, la segregazione forzata e il divieto della libertà di espressione, hanno scosso notevolmente la popolazione femminile afgana. Numerose proteste si sono diffuse nel paese, capitaniate da donne che reclamano i loro diritti, specialmente il diritto all’istruzione e il diritto di vestirsi liberamente. Le proteste sono state represse dal governo talebano, non sono mancati gli atti di violenza in cui sono rimaste ferite diverse manifestanti. Queste proteste dimostrano come le donne afgane abbiano acquisito più consapevolezza e determinazione nel difendere i loro diritti, rispetto al 1996 e non sembrano voler rimanere impassibili di fronte alla loro stessa cancellazione; infatti, hanno apertamente dichiarato guerra ad un governo fondato sul patriarcato e sul dispotismo. 

La speranza, oggi, è quella che la comunità internazionale non rimanga indifferente di fronte a questi abusi verso il mondo femminile. Il Consiglio Europeo ha ribadito l’impegno dell'UE nel sostenere la pace e la stabilità nel paese afghano, offrendo un aiuto operativo soprattutto a sostegno dei diritti delle donne. Inoltre, è stato indetto un G20 straordinario per discutere della crisi afghana, nel quale i leader internazionali hanno ideato una possibile risposta multilaterale alla crisi in atto. Anche l’Onu ha fatto un appello al governo talebano affinché collabori per la realizzazione dell’obiettivo n. 5 dell’Agenda Onu 2030: “raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze”. 

Tuttavia, i molteplici appelli rivolti all’Afghanistan dai vertici della comunità internazionale non hanno sortito alcun effetto. Ad oggi, le prospettive future per le donne afgane sono incerte. Osservando l’andamento della linea politica perseguita dai talebani finora, le previsioni sono tutt’altro che rosee. Solamente la determinazione della comunità femminile in Afghanistan e l’intervento concreto delle autorità internazionali potranno influenzare gli eventi futuri e restituire alle donne i diritti che spettano loro.

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