a cura di Giulia Calini Sulle orme di Turchia e Ungheria, anche la Polonia ha intrapreso azioni per ritirarsi dalla Il governo accusa la Convenzione di essere dannosa per le famiglie a causa della presenza di elementi ideologici e per il conseguente obbligo di insegnare le teorie di genere nelle scuole per farne comprendere il contenuto. Di fronte alle critiche, il governo si difende affermando che la Convenzione di Istanbul non è così necessaria in quanto la legislazione interna offre garanzie costituzionali, sia in materia di violenza contro le donne sia di uguaglianza di genere, dunque ulteriori obblighi internazionali risulterebbero superflui. Il PiS suggerisce di accontentarsi delle norme interne, rinunciando agli strumenti internazionali di protezione e implementazione dei diritti. Come in Turchia, anche in Polonia la costante religiosa è un fattore predominante in quanto in teoria lo stato dovrebbe riconoscere nell’ordinamento giuridico reati quali ad esempio le mutilazioni genitali, lo stalking, il femminicidio. La realtà è però un’altra: infatti in Polonia si preferisce girare intorno alle questioni di genere attribuendo la violenza domestica ad altre cause di natura patologica quali l’abuso di alcool e droghe, dipendenza dal sesso o sessualizzazione dell'immagine delle donne nei mass media. Vi sono però altre ragioni per questa profonda ostilità verso la protezione dei diritti di determinate categorie di individui. Di sicuro l’adesione alla Convenzione crea qualche intralcio per un governo che cerca di centralizzare il potere sempre più in quanto questa istituisce un comitato indipendente, chiamato Grevio (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence), che si occupa di controllare, attraverso periodiche revisioni, l’insieme delle legislazioni e provvedimenti che ogni stato membro adotta per implementare i diritti previsti dalla Convenzione. Questo tipo di scrutinio è di certo scomodo all’interno di Stati che desiderano consolidare la propria esclusiva visione su questioni quali la famiglia. Infatti, la Polonia è carente sulle politiche nazionali riguardanti la violenza contro le donne: basti pensare che non vi è un organo di coordinamento per integrare le azioni dello Stato contro la violenza sulle donne e nemmeno un budget apposito per contrastarla, rendendo le misure presenti nell’agenda di governo dedicate al genere inesistenti. Per non parlare delle gravi carenze nella legge e nella pratica che impediscono una protezione efficace contro la violenza domestica: queste non presentano cooperazione tra il governo e gli enti locali che si occupano di violenza domestica; mancano di una definizione di violenza e di strumenti legali per affrontarla; presentano lacune nella raccolta dei dati e scarsi programmi rieducativi per i colpevoli. La Polonia ha presentato il suo primo rapporto di fronte al Grevio nel marzo 2020 e presto quest’ultimo dovrebbe rendere pubblica la propria valutazione a riguardo, anche se già ci si potrebbe fare un’idea sull’esito, dato che nel rapporto dello Stato il problema della violenza contro le donne è ridotto alla violenza domestica. Questa è l'unica forma di violenza, tra quelle coperte dalla Convenzione, che riceve attenzione dallo Stato. Altra domanda che emerge in questa crisi dei diritti umani è: come mai, nonostante il testo della Convenzione sia esattamente lo stesso da quando è stata adottata, solo ora emergono tante lamentele a riguardo? Semplicemente perchè gli atteggiamenti all'interno dei paesi e le correnti politiche sono cambiati. Se prima la questione era più incentrata sulla violenza piuttosto che sul genere, la Convenzione viene ora strumentalizzata per fare propaganda politica e per ottenere consenso demonizzando i diritti delle donne e i diritti LGBT. Oggi il governo polacco ne descrive il contenuto in maniera distorta così da creare panico e facendo credere che le famiglie siano sotto attacco così come i valori nazionali. Viene promossa la disinformazione su ciò che la Convenzione rappresenta e su ciò che prevede, senza mai accennare al fatto che la realtà è che questa è nata con il solo fine di proteggere le donne da ogni forma di violenza, il tutto per piantare il seme della perplessità e spingere per un atteggiamento negativo. Dunque, in Polonia la violenza domestica è vista principalmente come danno alla famiglia e ai suoi membri, senza riconoscere la posizione vulnerabile delle donne come sue principali vittime. In linea con questa visione, il disegno di legge chiesto dal Presidente Andrzej Duda, che andrebbe a sostituire la Convenzione di Istanbul, chiede di istituire un organo consultivo che, nei prossimi tre anni, inizierà un lungo e ampio processo per sviluppare i principi fondamentali di una convenzione internazionale sui diritti della famiglia. La richiesta è stata inviata alle commissioni parlamentari di giustizia, diritti umani e affari esteri per essere esaminata. La valutazione della proposta non è ancora stata pubblicata ma ci si può iniziare a fare un’opinione considerando che il nuovo trattato andrebbe a bandire i matrimoni tra persone dello stesso sesso e anche il diritto all’aborto. La nuova Convenzione Internazionale dei Diritti della Famiglia mette in discussione i diritti delle donne e della comunità LGBT, rispecchiando perfettamente la risposta conservatrice contro la Convenzione di Istanbul. La sofferenza delle donne viene oscurata dal problema della violenza contro la famiglia e le questioni di genere vengono dimenticate per favorire le questioni familiari. Tutto questo quadro dipinge perfettamente il conflitto tra un governo tradizionalista che si scontra con il progressismo europeo. L’Unione europea ha reagito a questa crisi, che va contro i principi base del sistema comunitario, dando in mano le redini alla Commissione europea che ha recentemente annunciato il lancio di una nuova proposta legislativa per combattere la violenza di genere entro la fine dell'anno. L'Ue potrebbe quindi, potenzialmente, adottare un nuovo testo vincolante a maggioranza qualificata, evitando la necessità di un'approvazione unanime.
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