a cura di Francesco Rojch Dopo più di quattro anni dall’esito referendario del 2016, il Regno Unito e l’Unione Europea hanno trovato l’accordo sui negoziati post Brexit. Nelle ultime settimane i responsabili capo negoziatori, Michel Barnier per l’UE e David Frost sponda UK, avevano mostrato diverse perplessità sulla riuscita delle trattative, fino a che Boris Johnson, premier britannico, avrebbe paventato un “no deal”, cioè un’uscita del Regno Unito dall’Unione senza alcun accordo con Bruxelles. Su quest’ultima ipotesi pesavano le richieste dell’ex sindaco di Londra su un possibile Internal Market bill che violerebbe l’accordo di recesso con l’UE.Tale accordo prevede il controllo delle merci in transito tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord, per verificare il rispetto della regolamentazione europea, in particolare qualora le merci proseguano la corsa entrando nel mare d’Irlanda, quindi all’interno del mercato unico europeo. La proposta formulata da Downing Street lascerebbe al governo britannico la possibilità di disattendere tali obblighi in quanto non rispettano la sovranità del Regno Unito. Va ricordato che è stato proprio il premier britannico a firmare quell’accordo solo pochi mesi fa. Il divorzio tra Europa e Regno Unito è stato inoltre esacerbato dalla diffusione di una nuova variante del Covid-19 nel territorio britannico. La Francia e altri 50 paesi hanno sospeso i collegamenti con il Regno Unito, bloccando inoltre il trasporto delle merci tra le due sponde della Manica per 48 ore, sia via mare che via terra. Emblematiche le immagini di centinaia di camion fermi nel porto britannico di Dover nella contea del Kent. Tuttavia lo stallo istituzionale si è concretizzato su tre dossier: l’accesso dei pescatori europei alle acque britanniche, il level playing field e il meccanismo di risoluzione per eventuali controversie. Sulle prime due tematiche il premier britannico pare abbia chiesto a David Frost, capo negoziatore per il Regno Unito, di non retrocedere di un passo. Il tema della pesca ha giocato un ruolo cruciale, in quanto Londra chiede venga introdotto un sistema di quote da rivedere ogni anno. La pesca rappresenta un valore simbolico per il Regno Unito, basti pensare che pesa lo 0,1% del PIL britannico, ma il leader del Partito Conservatore ne ha fatto un cavallo di battaglia durante la campagna elettorale facendo breccia nei cuori dei brexiteers. Boris Johnson, subito dopo l’accordo, ha detto che per la prima volta dal 1973 il Regno Unito sarà uno stato costiero indipendente con il pieno controllo delle proprie acque di pesca. Nei prossimi cinque anni e mezzo ci sarà una diminuzione del 25% del pesce pescato dalle imbarcazioni europee, soglia notevolmente inferiore rispetto alle richieste iniziali di 60-80%, e di rivedere l’accordo in tempi più rapidi. Questo potrebbe essere un problema per Londra, poiché non possiede grandi capacità di lavorazione e stoccaggio del pescato. Sul caso del level playing field, ovvero le regole per impedire che nel medio-lungo termine le aziende britanniche e quelle europee possano farsi concorrenza sleale, la questione è molto più complessa. Le parti si sono accordate su un livello minimo di mantenimento di standard ambientali, sociali e dei diritti dei lavoratori. Questo perché l’UE è spinta dal timore che il Regno Unito possa adottare, per le proprie aziende, delle norme molto meno stringenti rispetto a quelle europee nelle materie sopra elencate, e quindi trarne vantaggio con il risultato di concorrenza sleale da parte di Londra. Su questo punto l’Unione Europea ha ottenuto sufficienti rassicurazioni, anche se il Regno Unito potrà sviluppare un sistema di garanzie diverse da quelle europee, così come chiedevano i sostenitori della Brexit. Qualora il Regno Unito o l’Europa ritengano che una delle due parti non rispetti gli accordi presi, entrambe sono autorizzate ad intervenire attraverso delle procedure restrittive. Questo aspetto è molto importante in quanto serve a far sì che vengano rispettati gli accordi sulla pesca, sulla concorrenza, oppure ancora l’accordo di recesso per il quale il Regno Unito dovrà provvedere a effettuare controlli doganali nel mare d’Irlanda. La governante è un compromesso voluto da Bruxelles che consiste nell’istituzione di un meccanismo di arbitrato per permettere di attivare entro trenta giorni i provvedimenti presi da una delle parti, qualora si disattenda l’accordo, e applicare delle sanzioni anche sotto forma di dazi. Il punto più importante per il governo britannico è che il Regno Unito non sarà soggetto a nessun tipo di giurisdizione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. L’accordo trovato il 24 dicembre scorso, ha determinato un altro effetto della Brexit: il governo britannico ha deciso di non partecipare al programma di scambio Erasmus +. Johnson ha parlato di scelta difficile ma necessaria, in quanto il programma di scambio europeo viene rendicontato in termini costosi da Downing Street. L’Erasmus verrà sostituito da un nuovo programma chiamato “Turing Scheme” dal nome del matematico Alan Turing. Secondo il premier britannico questo programma consentirà agli studenti inglesi non solo di studiare nelle migliori università europee, ma anche nelle migliori università del mondo. Lo spettro di una hard Brexit, soprattutto davanti alla pandemia, è stato scongiurato, ma quale sarà lo scenario e le sfide che dovrà affrontare l’Europa? Nel 2014 il referendum per l’indipendenza della Scozia aveva dato esito negativo, con il 55,3% degli scozzesi che ha votato per rimanere nel Regno Unito. Sarà ancora così? La premier scozzese Nicola Sturgeon attraverso un tweet ha comunicato la posizione della Scozia e vuole approfittare della Brexit per un nuovo referendum:“ La Scozia tornerà presto, Europa. Tenete la luce accesa”. ![]()
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