a cura di Giorgio Catania È stata ribattezzata come la “crisi dei sottomarini” ed ha avuto delle ripercussioni significative sulle alleanze storiche internazionali. Tutto scaturisce dalla recente nascita di un partenariato strategico tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, noto come “AUKUS”. Si tratta di un accordo di cooperazione specifica incentrato sull’area dell’Indo-pacifico, che prevede la condivisione di tecnologie con Canberra per la produzione di sottomarini a propulsione nucleare. L’obiettivo degli Stati Uniti è quello di contrastare l’influenza e l’espansionismo della Cina nella regione Indo-Pacifica, trasformando l’Australia in un vero e proprio avamposto per una strategia di contenimento marittimo. Tanto è bastato per scatenare la reazione furiosa della Francia, che ha richiamato in patria gli ambasciatori da Washington e Canberra. Fino a pochi giorni fa Parigi aveva infatti tra le mani un accordo commerciale e strategico con Canberra, che prevedeva anzitutto la vendita di 12 sottomarini francesi per un valore complessivo di circa 60 miliardi. E non solo. L’origine del “contratto del secolo” risale al 2016, quando la Francia si è aggiudicata l’appalto miliardario, la creazione di 4000 posti di lavoro nei cantieri di Cherbourg ed una cooperazione per la durata di 50 anni nell’area Indo-Pacifica. Parigi ritiene fondamentale quel quadrante geografico, non solo per difendere gli interessi dei propri concittadini che vivono lì (circa 2 milioni) ma anche e soprattutto per darsi una proiezione globale, evitando di rimanere imbrigliati nei dibattiti europei sulla politica estera comune. Nulla da fare, è saltato tutto alla fine. Il motivo sarebbe legato ai propulsori con cui dotare i sottomarini. L’Australia ha infatti preferito i mezzi a propulsione nucleare di matrice americana piuttosto che quelli a propulsione diesel di matrice francese. Resterà da vedere come reagirà la Nuova Zelanda, che non consente l’ingresso nelle proprie acque territoriali ai sottomarini nucleari e lascerebbe di conseguenza minori margini di movimento all’Australia. Il patto AUKUS, elaborato nel corso degli ultimi 18 mesi e annunciato qualche giorno fa, sancisce quindi l’alleanza fra i tre grandi paesi anglosassoni e rende la Francia un attore comprimario nella regione. Il Ministro degli Esteri francesi Jean-Yves Le Drian ha parlato di “coltellata alle spalle”, paragonando l’approccio di Biden a quello di Trump. C’è già stato un colloquio telefonico Macron-Biden e i due si vedranno in Europa ad ottobre ma una tensione di questo tipo non si respirava da molto tempo. Da parte sua Pechino ha condannato l’intesa parlando di “clima da guerra fredda”. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese ha dichiarato che “AUKUS danneggia gravemente la pace e la stabilità regionale e mette a rischio lo sforzo per promuovere la non proliferazione delle armi nucleari”. All’indomani dell’intesa AUKUS, la Cina non si è persa d’animo ed ha richiesto formalmente di entrare nel CPTPP (Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership), un accordo commerciale transpacifico che coinvolge Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. Il CPTPP viene dunque scelto da Pechino come lo strumento più adeguato per rispondere alla mossa degli Stati Uniti. Resta da vedere quanto la domanda di adesione cinese sia sincera. Xi Jinping conosce infatti le clausole dell’accordo e sa che ciascun stato membro ha il diritto di porre il veto sulle nuove adesioni. Tra i membri c’è proprio l’Australia e risulta difficile pensare che, dopo aver stipulato un’alleanza in chiave anticinese, Canberra possa dare il via libera a Pechino. Peraltro, la stessa Cina – a novembre 2020 – è entrata a far parte del cosiddetto RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), un patto commerciale che include 14 paesi (asiatici e non) tra cui Australia, Giappone e Corea del Sud, grandi alleati degli Stati Uniti. A prescindere dalle trame che si stanno costruendo nel Pacifico sarà importante evitare una drammatica corsa agli armamenti. L’Alto Rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell ha dichiarato che nessuno dei vertici europei era al corrente della stipula di questo patto militare tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia. Ancora una volta, dopo il ritiro dall’Afghanistan gestito in modo quasi unilaterale dagli Stati Uniti, Biden decide di muoversi a sorpresa senza consultare i partner storici europei. Questo tipo di approccio suscita mal di pancia tra le cancellerie europee, che dal nuovo presidente americano si aspettavano un atteggiamento più orientato verso il multilateralismo dopo gli anni burrascosi della presidenza Trump. La logica conseguenza è la dichiarazione di Borrell: “Questo ci obbliga di nuovo a riflettere sull’importanza di andare avanti sulla questione dell’autonomia strategica dell’Unione Europea”. Non è andata meglio alla NATO, rimasta esclusa dopo che il 14 giugno scorso i suoi stati membri avevano inserito la “minaccia della Cina” tra le priorità. Tra gli analisti c’è addirittura chi ha definito il patto AUKUS come “nuova NATO del Pacifico”. A rincarare la dose ci ha pensato Macron, che ha parlato di “rottura grave della fiducia” e di “serie ripercussioni sul futuro della NATO”.
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