Lorenzo Repetti, Osservatorio sull'Unione europea
“Da secoli ormai, i tedeschi sono la più europea di tutte le nazioni europee”1 affermava lo storico Stürmer negli anni in cui si rendeva tra i problematici protagonisti del Historikerstreit, un dibattito sulla memoria del terzo Reich nella ancora acerba Repubblica Federale di Germania. Queste parole accorrevano in realtà a conferma di un eccezionalismo tedesco radicato nella storia del continente e veicolato da portavoce al contempo illustri e controversi quali Nietzsche e Heidegger. La catastrofe hitleriana aveva certo indelebilmente macchiato questa pretesa di supremazia filosofico-culturale. Ne era scaturita una Germania rifondata in chiave ordoliberale, in cui lo Stato rinunciava a qualsiasi ambizione identitaria per portarsi a garante di una libertà economica elevata a fondamento democratico primo ed irrinuciabile2. L’Europa seguì la metamorfosi necessaria di uno Stato del quale per secoli si era percepita come l’emanazione diretta in un rapporto di stretta corrispondenza che Glendinning descrive in questi termini: “la Germania […] ha sempre pensato sé stessa in un orizzonte essenzialmente europeo, un orizzonte europeo che essa inventa e proietta come il contesto del proprio destino spirituale”3. I sedici anni di cancellierato di Angela Merkel non sono quindi significativi solo alla luce della sua longevità politica, ma anche in riferimento ad una storia che fa della Germania il fulcro inaggirabile dell’intero progetto europeo. Capire cosa attendersi da un avvicendamento al governo tedesco diventa allora indispensabile per intuire gli orientamenti futuri dell’Unione Europea (UE). Gli ultimi sedici anni di cancellierato sono stati contraddistinti da un’estrema mutevolezza politica. Occorre certo sottolineare che Merkel, affettuosamente soprannominata die Mutti (mamma), ha saputo rappresentare un polo di stabilità in un contesto politico quanto meno volubile. In Germania, Merkel rimane figura di garanzia alla guida di ben quattro governi che portano la coppia CDU-CSU ad allearsi alternativamente con liberali e socialdemocratici in un contesto marcato dall’approdo dell’estrema destra AfD in Parlamento e dall’emergere dei Grüne (Verdi) come principale contendente politico di opposizione. A livello europeo, die Mutti sopravvive a tre diversi Presidenti francesi ed a ben otto Presidenti del Consiglio italiani. Merkel resiste dapprima agli attacchi della sinistra del greco Tsipras e successivamente alle invettive delle destre estreme europee di cui Salvini non rappresenta che il volto più recente. A garantire la solidità della cancelliera tedesca è quindi una questione più di carisma personale e metodo che di coerenza politico-ideologica. Convinta sostenitrice di una politica “al centro del centro”4 e senza mai rinunciare ad una difesa strenua dei valori di mercato come fondamento retorico e fattuale della legittimità democratica5, la cancelliera ha, nel corso degli anni, sostenuto iniziative di segno radicalmente opposto ma spesso capaci di intercettare il sentire comune dei propri connazionali e di una parte consistente degli europei. Se nel 2015 Merkel accoglie svariate centinaia di migliaia di profughi facendo suo lo slogan Wir schaffen das (ci riusciremo), il suo ravvedimento non tarda a manifestarsi negli anni successivi, come testimonia il suo silenzio di fronte ai disastri umanitari registrati nei Balcani e nel Mediterraneo6. Cambi repentini si registrano anche sui fronti dell’energia nucleare e dei diritti civili. Ancora più radicale è il ribaltamento del posizionamento tedesco a livello europeo con Merkel che, da falco rigorista in occasione della crisi del debito sovrano (2010-2012), diventa uno dei principali sponsor politici dell’espansionistico Next Generation EU su cui i voti decisivi intervengono nel corso della sua presidenza rotante7. La cancelliera incarna quindi perfettamente il ruolo di egemone riluttante che la Germania ha assunto in Europa e per cui il sociologo Urlich Beck coniò il termine Merkiavelli8. Merkel sarebbe allora sinonimo di una leadership temporeggiatrice e flessibile votata a rincorrere gli eventi per proporre soluzioni di mediazione che impediscano ad una crisi di risolversi in un esito catastrofico. Se tracciare un bilancio dell’azione politica di Merkel non è certo banale, definirne il lascito sembra essere ancora più complicato. Il dibattito interno alla storica Unione tra i cristiano-democratici e i social-democratici bavaresi rispetto alla designazione del suo successore alla cancelleria è un chiaro sintomo di quanto sia ambigua l’eredità politica di Merkel. A uscirne vincitore è stato il delfino di Merkel, il centrista e presidente della Renania Settentrionale – Vestfalia Armin Laschet. Tuttavia, la popolarità del Presidente del Land di Baviera Markus Söder, saldamente ancorato ad una destra conservatrice e recentemente riconvertita all’ecologismo, e le sue recenti pretese di guidare la coalizione in vista delle prossime elezioni nazionali sono la prova tangibile di come la politica altalenante di Merkel abbia dato vita ad un fondo ideologico indefinito su cui si potrebbero innestare scenari marcatamente diversi. Questo scontro interno si inserisce in un momento di crisi per la cancelliera che, pur avendo spinto per l’utilizzo anche in sede europea del vaccino russo Sputnik V9, è stata costretta a scuse pubbliche di fronte ad una gestione approssimativa delle restrizioni pasquali ed al rischio di collasso del sistema sanitario nazionale in occasione della terza ondata di COVID-1910. Se i Grüne minacciano allora di imporsi come primo partito ai danni dell’Unione CDU-CSU, ci si avvierà molto probabilmente ad un governo di coalizione tra questi due attori. Anche in questo caso, sebbene si aprano ancora una volta una moltitudine di scenari, non si dovrebbero registrare scostamenti importanti rispetto alla linea politica gestionale di Merkel. Già in occasione della precedente esperienza di governo al fianco della SPD (1998-2005), i Grüne avevano mostrato un allineamento sostanziale rispetto ai principi classici dell’ordoliberalismo tedesco arrivando ad affermare: “Nessuno può fare politica contro il mercato”11. Rispetto a Söder, Armin Laschet rappresenta sicuramente il volto più morbido e meno rigorista della CDU in chiave europea e, in continuità con Merkel, dovrebbe perseguire un consolidamento senza eccessi retorici dell’autonomia strategica EU e un rapporto di maggiore distensione nei confronti di Cina e Russia12. Se i Grüne dai banchi dell’opposizione hanno spesso dato prova di un euroscetticismo moderato e sostenuto la necessità di rivedere i trattati, la precedente esperienza di governo ha visto questa anima contestataria soccombere di fronte a toni più concilianti e contenuti meno radicali13. Nessuno stravolgimento consistente dell’equilibrio europeo dovrebbe quindi provenire da una Germania post-Merkel. Si aprirebbe quindi uno spazio per altri leader europei e per le loro aspirazioni a livello continentale. Replicare il successo di Merkel sarà però difficile. In questi anni, Merkel non ha certo dimostrato qualità da visionaria o da fervente ideologa ma ha saputo garantire la compattezza dell’UE facendosi promotrice di un multilateralismo senza fasti chiaramente orientato al compromesso e al ripristino di una situazione di seppur precario equilibrio14. L’improbabile maggioranza parlamentare a sostegno di Draghi fa dell’autorevole Presidente del Consiglio italiano un candidato debole. Pur avendo inspirato buona parte delle misure che hanno rilanciato l’azione dell’UE negli ultimi anni risvegliandola da un insostenibile immobilismo, il Presidente francese Macron è una figura troppo dirompente e divisiva le cui idee non si sarebbero affermate senza la necessaria edulcorazione offerta dalla sua controparte tedesca15. Come suggerito dall’ambivalenza semantica del termine tedesco nach, l’Europa dopo Merkel rischia quindi di essere anche un’Europa secondo Merkel. In Merkel abbiamo trovato un’interprete fedele del ruolo costitutivamente ambiguo di leader tedesca e continentale. Se Merkel si è quindi inserita in una storia che le preesisteva, la sua credibilità e le sue capacità politiche hanno rafforzato l’idea di un’Europa come sede (a)politica della mediazione. I prossimi sviluppi ci diranno se è in un approccio dal basso e non nella ricerca di un nuovo tutore (a)politico che, con la Conferenza sul Futuro dell’Europa, si registrerà un ripensamento complessivo della natura e della missione dell’UE.
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