a cura di Francesco Gatti Intervenendo al Global Covid-19 Summit nel contesto della settimana di alto livello dell'Assemblea generale dell'Onu, il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha recentemente sottolineato come vi siano ancora importanti disuguaglianze nella distribuzione dei vaccini a livello mondiale. Negli stessi giorni, un simile grido di allarme è stato lanciato dal Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, che con drammatiche parole ha evidenziato come “la vittoria della scienza e dell’ingegno umano” rappresentata dal rapido sviluppo di sieri anti-Covid sia stata vanificata dalla “mancanza di volontà politica, dall’egoismo e dalla sfiducia” dei paesi avanzati. Sebbene il tema della disuguaglianza nell’accesso ai vaccini sia al centro dell’attenzione mediatica, politica e accademica da ormai molti mesi (si veda ad esempio Vaughan, 2021), gli ultimi dati rilasciati dalla Global Dashboard for Vaccine Equity (un’iniziativa congiunta di UNDP, OMS e Università di Oxford) restituiscono un quadro impietoso della situazione odierna. Se infatti al 29 settembre più di una persona su due (il 61,4%) nei paesi ad alto reddito aveva già ricevuto almeno una dose di vaccino, tale percentuale scende drammaticamente rivolgendo l’attenzione ai paesi a basso reddito, dove solo una persona su 28 (il 3,5%) è già stata vaccinata. Allargando lo sguardo ad altri indicatori, la disparità nell’accesso e distribuzione dei vaccini risulta, se possibile, ancor più critica. In base agli obiettivi dichiarati dall’OMS, ad esempio, ogni paese dovrebbe vaccinare almeno il 40% della propria popolazione entro la fine dell’anno, percentuale destinata poi a salire al 70% entro la metà del 2022. Se ad oggi più del 70% dei paesi ad alto reddito hanno già raggiunto il primo obiettivo, in nessuno dei paesi meno sviluppati il tasso di vaccinazione ha per il momento superato il 10%. A livello continentale, nell’intera Africa sono stati ad oggi somministrati solo il 2.3% dei vaccini prodotti globalmente, a fronte di una popolazione complessiva che si attesta intorno ai 1.4 miliardi di persone (il 17% circa della popolazione mondiale). Tra le pieghe di questi dati impietosi si nascondono in realtà motivazioni complesse e sfaccettate. Se da un lato la decisione di ammassare eccessive dosi da parte dei paesi avanzati è certamente deprecabile (si pensi che il solo Canada ha acquistato vaccini sufficienti per un numero di persone cinque volte superiore alla propria popolazione, Hassan et al. 2021), il ritardo nelle consegne di vaccini ai paesi a basso reddito è stato esacerbato dalla drammatica crisi sanitaria indiana. Sede del maggior produttore di vaccini al mondo (il Serum Institute), Nuova Delhi avrebbe dovuto infatti produrre e distribuire il vaccino di AstraZeneca nell’ottica dell’ormai celebre programma Covax, un’iniziativa congiuntamente promossa da OMS, Cepi (Coalition for Epidemic Preparadness Innovations) e GAVI Alliance con l’obiettivo di fornire vaccini ai paesi maggiormente in difficoltà. Tuttavia, la situazione indiana – unitamente alla difficoltà di alcune case farmaceutiche nell’aumentare la produzione di dosi, ovvero alla prioritizzazione di scambi bilaterali da parte delle stesse case e dei paesi più avanzati – ha obbligato Covax a rivedere al ribasso i suoi target di consegna. Secondo l’ultimo previsionale di approvvigionamento, infatti, il programma prevede di aver accesso a 1.4 miliardi di vaccini entro la fine del 2021, a fronte di un obiettivo inizialmente fissato a quota 2 miliardi. Se nelle parole di Draghi le disparità sui vaccini sono da ritenersi moralmente inaccettabili, è inoltre evidente come tali disuguaglianze abbiano conseguenze di natura innanzitutto sanitaria ed economica. In primo luogo, la libera circolazione del virus nei paesi meno sviluppati può facilitare la comparsa di nuove e resistenti varianti, potenzialmente capaci di minare anche le campagne di vaccinazione più efficaci ed avanzate. Come sperimentato dagli stessi paesi ad alto reddito nel corso dello scorso anno, le conseguenze economiche di una mancata immunizzazione risultano parimenti rilevanti. Secondo l’analisi di Vera Songwe, segretario esecutivo della Commissione Economica per l’Africa delle Nazioni Unite, ogni mese di lockdown è costato al continente africano almeno 29 miliardi di dollari in termini di perdite di produzione, andando ad esacerbare situazioni di povertà locale già drammaticamente radicate. Alla luce di questa situazione, i prossimi mesi si annunciano particolarmente complessi e delicati. Uno spiraglio positivo sembra essersi aperto dopo le recenti parole del presidente americano Joe Biden che, nel contesto del Global Covid-19 Summit, ha annunciato ufficialmente l’impegno statunitense a donare 500 milioni di vaccini Pfizer a partire dal prossimo anno. Se tale sforzo sembra da un lato obbligato – soprattutto considerato che più di 100 milioni di dosi precedentemente acquistate dai paesi avanzati rischiano di scadere inutilizzate entro la fine del 2021 – la mossa di Biden si inserisce nondimeno in un contesto globale più attento al tema della disuguaglianza nella distribuzione vaccinale. Pur procedendo a rilento, il programma Covax ha infatti già distribuito più di 236 milioni di dosi a 139 diversi paesi, permettendo a 41 di questi di dare il via alle rispettive campagne vaccinali. In aggiunta, l’OMS ha lanciato ormai più di un anno fa un meccanismo chiamato Covid-19 Technology Access Pool (C-TAP), atto a favorire la condivisione da parte delle case farmaceutiche di formulazioni, conoscenze (know-how) e dati sui vaccini prodotti. Tale iniziativa si collocava sullo sfondo di una sempre maggior pressione, da parte dei paesi in via di sviluppo, per adottare in seno all’OMC una proposta che permettesse una deroga temporanea sui brevetti per la produzione di tecnologie funzionali alla lotta a Covid-19. Tuttavia, nonostante il supporto dell’amministrazione Biden e di parte della comunità scientifica a tale proposta, l’iniziativa è rimasta per il momento lettera morta a Ginevra (sede dell’OMC), mentre nessuna grande casa farmaceutica ha fino ad oggi condiviso la propria tecnologia con il C-TAP. Alla luce di quanto discusso, la speranza per una rapida risoluzione della ‘scandalosa disuguaglianza’ nella diffusione dei vaccini sembra, nella migliore delle ipotesi, ancora molto fragile. Di fronte a questo triste quadro, la necessità di investire su una produzione maggiormente distribuita di vaccini – attraverso la costruzione di nuovi stabilimenti in aree più esposte, Africa in primis – costituisce un ulteriore, urgente, monito lanciato dalla pandemia di Covid-19. ![]()
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