a cura di Irene Ferri Il 24 settembre Joshua Wong, il 23enne volto delle proteste pro-democrazia di Hong Kong, è stato arrestato e, solamente poche ore dopo, rilasciato su cauzione. Le accuse a lui rivolte riguardano la partecipazione a una manifestazione non autorizzata tenutasi il 5 ottobre 2019 e la violazione della legge che vieta di indossare maschere che impediscono il riconoscimento di chi prende parte a manifestazioni e proteste. Non è la prima volta che Wong viene arrestato dalle autorità di Hong Kong. Il giovane attivista ormai da anni si batte per denunciare e cercare di ridurre la sempre maggiore interferenza della leadership di Pechino negli affari interni dell’ex colonia britannica e ha dato vita a una vera e propria lotta contro la mainland China, al fine di difendere il principio “un Paese, due sistemi” che regola i rapporti tra Pechino e Hong Kong dal 1997. Ad oggi il rispetto di tale principio, che ha sempre garantito a Hong Kong maggiori libertà civili e una più ampia libertà di espressione rispetto al resto della Cina continentale, è posto sotto minaccia, in particolare da quando lo scorso giugno il governo di Pechino ha ufficialmente imposto a Hong Kong l’adozione della Legge sulla sicurezza nazionale che dà alla leadership cinese la possibilità di stringere ulteriormente la propria morsa attorno alla regione amministrativa speciale. La nuova legge criminalizza qualsiasi atto di secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze esterne, nella cui definizione essa fa rientrare un vasto numero di reati tra cui figurano anche danni al trasporto pubblico e distruzione di strutture pubbliche. Si stima che dal mese di giugno, in virtù della neo adottata legge, siano stati arrestati quasi 300 attivisti, in particolare in seguito alle proteste dovute alla decisione dell’attuale esecutivo di Hong Kong di posticipare di un anno le elezioni per l’Assemblea legislativa, dalle quali Joshua Wong era stato escluso come candidato. L’imposizione della legge sulla sicurezza nazionale ha spinto Joshua Wong a sciogliere Demosistō, il movimento pro-democrazia che egli ha fondato insieme agli studenti attivisti Nathan Law, Agnes Chow e Jeffrey Ngo. Con la nuova legge, infatti, la presa di posizione da parte del movimento avrebbe quasi certamente portato i suoi membri a dover affrontare conseguenze penali e la situazione sarebbe diventata troppo pericolosa. Il recente arresto di Wong è un ulteriore duro colpo per gli Hong Kongers. L’arresto sembra avere un carattere e un movente puramente politici e ne sono una testimonianza le accuse che sono state rivolte all’attivista e le tempistiche dell’arresto. Le accuse confermano la pressione giudiziaria a cui Wong è sottoposto e numerosi suoi sostenitori ne mettono in discussione l’attendibilità. L’accusa di aver violato la legge draconiana contro l’uso delle maschere che renderebbero impossibile il riconoscimento dei manifestanti giunge, infatti, dopo che la Corte d’appello nel mese di aprile ha determinato l’incostituzionalità di tale legge. La Corte ha stabilito che il divieto di indossare mascherine può essere valido solamente in caso di proteste violenti e non autorizzate, mentre in caso di proteste o manifestazioni pacifiche è difficile trovare una giustificazione per imporre una restrizione alla possibilità di manifestare liberamente, come può essere il divieto di indossare qualcosa che copra il volto. La decisione della Corte ha, tuttavia, creato non poca confusione e numerosi attivisti e parlamentari pro-democrazia hanno chiesto l’abrogazione definitiva della legge in questione. Dopo la prima udienza che lo ha visto protagonista, tenutasi il 30 settembre, sono state confermate entrambe le accuse a carico del 23enne, compresa la violazione della Legge anti-maschere. Egli non è per ora sottoposto ad alcuna pena detentiva, ma la Corte ha accolto la richiesta dell’accusa di impedirgli di lasciare la città. La prossima udienza si terrà il 18 dicembre, dopo che la Corte Suprema nel mese di novembre sarà chiamata a emettere una sentenza definitiva sulla costituzionalità della sopracitata Legge in vigore dall’ottobre 2019, quando la governatrice Carrie Lam ha invocato lo stato di emergenza. Qualora la Corte dovesse pronunciarsi a favore dell’incostituzionalità di tale legge, una delle accuse a carico di Wong cadrebbe. Sottolineando il carattere politico del suo ultimo arresto, da cui non si è lasciato intimidire, il giovane attivista, attraverso una serie di tweet, ha sfruttato quanto accaduto per chiedere nuovamente alla comunità internazionale di non chiudere gli occhi di fronte alla difficile situazione di Hong Kong e ha rinnovato la richiesta di supporto alla lotta per la democrazia nell’ex colonia britannica. Le reazioni a livello internazionale questa volta non si sono fatte attendere. L’Unione Europea ha rilasciato una nota in cui condanna l’arresto dell’attivista 23enne e ribadisce il proprio appoggio al principio “un Paese, due sistemi” che prevede la presenza di un sistema giudiziario indipendente, privo di qualsiasi forma di influenza politica. L’UE, inoltre, ha sottolineato che l’atteggiamento della leadership cinese nei confronti di Hong Kong mette seriamente in discussione la volontà della Cina di portare a compimento i propri impegni internazionali, soprattutto a livello di tutela dei diritti umani, e mina le relazioni pacifiche tra Pechino e Bruxelles. Lo stesso Joshua Wong, che attraverso il suo profilo Twitter ha raccontato nei dettagli quanto accadutogli, ha evidenziato come il momento dell’arresto, il rilascio su cauzione e la data della prima udienza siano state tutt’altro che casuali. L’intera vicenda ha avuto luogo solamente pochi giorni prima della festa nazionale che celebra il settantunesimo anniversario della nascita della Repubblica Popolare Cinese, fondata da Mao Zedong il 1° ottobre 1949. L’arresto di Wong sembrava, quindi, voler fungere da deterrente per nuove manifestazioni poco pacifiche che gli attivisti avrebbero potuto organizzare in tale occasione. Lo scorso anno i festeggiamenti di Pechino erano stati oscurati sui media internazionali dalle proteste degli Hong Kongers e quest’anno la leadership cinese sembrava fermamente intenzionata a evitare che quanto accaduto nel 2019 potesse ripetersi. Al raggiungimento di tale scopo ha contribuito l’importante dispiegamento di forze di polizia che per tutta la giornata di festa nazionale hanno pattugliato le strade dell’ex colonia britannica. La polizia si è dovuta comunque scontrare con gruppi di attivisti, tra cui lo stesso Joshua Wong, che non si sono lasciati intimidire e, al grido di “It’s China’s national day but this is Hong Kong’s death day”, hanno sfidato il divieto di protesta dando vita a piccole manifestazioni non autorizzate. In seguito agli scontri, in virtù della Legge sulla sicurezza nazionale, ci sono state decine di arresti che, tuttavia, non scoraggiano gli attivisti, i quali hanno annunciato che non si arrenderanno e che continueranno a lottare per tutelare libertà e diritti civili a Hong Kong. Bibliografia
|
|