I conti si fanno nel Mar Cinese Meridionale: Pechino risponde all’ambiguità strategica statunitense22/1/2022
a cura di Enrico Bruni La volontà degli Stati Uniti è orientata alla ricerca di una coesistenza con la potenza cinese, piuttosto che all’instaurazione di una nuova “guerra fredda”. Durante il vertice virtuale tra Capi di Stato, concluso martedì 16 novembre, i presidenti Xi Jinping e Joe Biden hanno tentato di aprire insieme un nuovo capitolo nelle relazioni tra le due sponde del Pacifico. Ma se in Cina la possibilità di distensione offerta dal dialogo tra i leader era stata salutata con soddisfazione, gli sviluppi dei giorni successivi tra Washington e Taipei rischiano di vanificare i risultati del summit. Tra i nodi affrontati nelle tre ore e mezza di conversazione, le problematiche di sovranità territoriale connesse alla “questione Taiwan” sono state più volte richiamate dai due leader assieme ai temi di carattere economico e umanitario. Fin dal suo insediamento, il presidente Biden ha esortato Pechino a desistere dalle minacce all’integrità territoriale dell’isola di Taiwan, ponendosi sulla stessa linea del suo predecessore Trump. Sebbene dal 1979 gli Stati Uniti abbiano ufficialmente riconosciuto l’autorità della PRC, trasferendo le proprie delegazioni diplomatiche dall’isola di Formosa alla Cina continentale, la scelta da parte di Washington di mantenere legami militari con Taipei in conformità al Taiwan Relations Act, risalente alla presidenza di Jimmy Carter, è da sempre stata vista da Pechino come un’inopportuna ambiguità. Come in occasione del discorso pronunciato per il centenario della fondazione del Partito Comunista Cinese, il presidente Xi Jinping non ha risparmiato una serie di reprimenda alla condotta statunitense, rimarcando quali siano le posizioni della Cina sull’isola di Taiwan. La sacralità del principio One China e il rispetto dei contenuti dei tre Comunicati Congiunti USA-PRC sono alla base dei rapporti tra i due paesi e garanzia di coesistenza pacifica. La cifra dell’incontro è forse rappresentata dal passaggio in cui il presidente Xi rimarca la volontà del “popolo cinese nella sua interezza” di raggiungere la completa riunificazione della nazione, invitando la propria controparte ad astenersi dal tessere relazioni di qualsiasi tipo con Taiwan. In sede di vertice bilaterale, la risposta del presidente Biden era stata chiara: convenendo in merito alla razionalità delle istanze di Pechino come unico governo legittimo della nazione cinese, Biden ha riaffermato il rispetto della One China policy, ricordando però l’opposizione da parte della sua amministrazione a qualsiasi soluzione unilaterale alla situazione sullo stretto. Non una convergenza, ma un primo tentativo di disgelo letto con ottimismo in entrambi i paesi. Il dilemma della gestione dei rapporti tra le due superpotenze, tuttavia, permane, ben lontano dal ridimensionarsi, ed è proprio sulla condotta americana nei confronti dell’isola di Taiwan che quelle ore di confronto rischiano di rendersi vane. Gli sviluppi di fine novembre sono stati visti in Cina come una retromarcia da parte di Washington: in un editoriale del 4 dicembre, il Global Times punta il dito contro il Segretario di Stato Antony Blinken che durante la Reuters Next conference avrebbe istigato le forze separatiste di Taipei contro Pechino, minacciando “gravi conseguenze” in caso di aggressione all’isola. Questa dichiarazione è suonata come una provocazione a Pechino, ormai confusa rispetto al comportamento dell’amministrazione statunitense dopo la notizia dell’invito recapitato alle autorità di Taipei per il Summit for Democracy, “un potenziale palcoscenico per le istanze di indipendenza dell’Isola”, come ammonito dal portavoce del Ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian. A due mesi di distanza, l’ottimismo nato dalla conversazione tra i due leader sembra già essersi trasformato in scetticismo. Con gli Stati Uniti in bilico tra l’imperativo di garantire Taiwan e quello di non provocare il Dragone, la Cina non è disposta ad arretrare rispetto alla politica aggressiva nei confronti del progetto di riunificazione entro il 2046. Che credito dare adesso alle parole di Biden in merito a una concreta volontà di miglioramento dei rapporti sino-statunitensi? Se dichiarazioni come quella di Blinken rientrano all’interno di una precisa strategia della tensione utile ai rapporti con alleati come Australia e Giappone, la Cina ha già esplicitato di non avere intenzione di tollerare ingerenze straniere in quella che considera una questione interna. Possiamo dire che se l’obbiettivo era quello di generare una de-escalation delle tensioni, l’anarchia diplomatica generata dall’ambiguità strategica statunitense su Taiwan ha riportato Pechino ai giorni di Anchorage.
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