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Il cambiamento climatico come sfida universale della sicurezza internazionale nel XXI secolo: i principali ostacoli che accentuano l'Antropocene

7/5/2021

 
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a cura di Francesca Lenzi
 
 
Definire la sicurezza è sempre stato un processo complesso e dibattuto, ma soprattutto in continua evoluzione, nelle Relazioni Internazionali. Se in termini di neorealismo waltziano la sicurezza è il fine più alto degli Stati, è discutibile come l’azione dell’uomo ha avviato, con la rivoluzione industriale, uno stile di vita moderno che sta minacciando direttamente la condizione di sopravvivenza della specie umana senza preservare l’interesse di sicurezza stesso. Come è stato dichiarato, in diverse occasioni, il nostro Pianeta si sta eccessivamente riscaldando a causa delle elevate emissioni di CO2 che le attività umane disperdono nell’atmosfera. Questa situazione comporta una serie di conseguenze; come la manifestazione di disastri ambientali e climatici che gli Stati stessi hanno difficoltà a gestire classificandoli come veri problemi di sicurezza per tutta la comunità internazionale. Determinante, quindi, è comprendere il nesso tra il cambiamento climatico e la sicurezza internazionale. Come è stato precisato in distinte sedi, l'ambiente deve sopravvivere. Nessuna questione come l’economia, la guerra o la politica sono rilevanti se prima non è presente un corretto equilibrio dell’ecosistema, caratterizzato dall’assenza di qualsiasi criticità climatica che minacci la vita degli esseri umani. Il settore ambientale è l’unico supporto essenziale da cui dipendono il successo delle imprese umane. In altre parole, se non è presente una condizione di sicurezza del sistema ambientale che sostiene il normale ciclo di vita della specie umana, viene a mancare la condizione stessa di esistenza e sicurezza dell’uomo.
 
Nell’attuale epoca antropocenica, la risoluzione del cosiddetto paradosso del cambiamento climatico sta diventando più impegnativa, come sostenuto dalla comunità scientifica. Questo paradosso descrive il grado di rischio a cui siamo esposti per le conseguenze del riscaldamento globale che sono state direttamente provocate ed esacerbate dalle azioni dell'Homo Deus. Nella letteratura accademica sono stati indicati quattro ostacoli principali che impediscono la risoluzione del cambiamento climatico come minaccia della sicurezza internazionale.
 
Il primo ostacolo è rappresentato dalla presenza di un elevato livello di combustibili fossili nell’atmosfera. La società moderna ha un'enorme difficoltà a rinunciare all'uso dei combustibili perché sono diventati l'essenza centrale del nostro modo di vivere. Di fatto, non c'è attività o oggetto di uso quotidiano che non sia stato prodotto con combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) e quindi fonte di emissione. Se consideriamo che il petrolio costa meno di una bibita di Coca Cola (rapporto di 0,26 $/l petrolio contro 1,50$/l Coca Cola) non è difficile comprendere il motivo economico che accentuano il loro utilizzo. Essi sono presenti in quantità abbondanti, facili da trasportare e, soprattutto, economici perché non si tiene conto del prezzo delle esternalità negative (ovvero il prezzo del danno che provocano). La produzione di combustibili fossili insieme alle cinque principali macro-attività che regolano la vita dell’uomo (coltivazione e allevamento, produzione industriale, erogazione di corrente elettrica, trasporti e, infine, fornitura di riscaldamento e condizionamento dell’aria) sono i principali fattori che generano 51 miliardi di tonnellate di emissioni mondiali ogni anno. 
 
Il secondo grande ostacolo nella vicenda è la questione economica.  La relazione tra la sicurezza internazionale e il cambiamento climatico è considerata contraddittoria perché agire sul cambiamento climatico con un approccio ecologico richiederebbe la trasformazione della struttura su cui sono costruite le nostre economie, sfidando gli stili di vita contemporanei. Si consideri che l’industria energetica è uno dei giri d’affari economici più grandi al mondo con un valore di cinque mila miliardi di dollari l’anno. È scontato che grandi interessi economici nel settore pongano resistenza al cambiamento. In concomitanza, la sfiducia umana in tecnologie nuove e sconosciute accompagnata da un ridotto consenso da parte della società nel prendere coscienza che il cambiamento climatico è un pericolo presente e futuro, sono fattori che ostacolano il passaggio immediato alle energie pulite a emissione zero. 
 
L’ultimo punto che merita un’attenzione particolare riguarda la cooperazione internazionale e l’agenda politica. La comunità internazionale è composta da 196 Stati sovrani (riconosciuti) che coesistono seguendo il principio di non ingerenza. Il diritto internazionale stabilisce che uno stato sovrano non è né dipendente né sottoposto a nessun altro stato e, allo stesso tempo, sancisce l’obbligo in capo a tutti gli stati di non interferire negli affari interni di un altro. Questa norma consuetudinaria spiega il motivo per il quale le dinamiche della politica internazionale, che guidano i rapporti della cooperazione globale, sono così intrinsecamente complessi. Come si è notato durante i negoziati dell’Accordo di Parigi sul clima, risulta difficile coordinare interessi politici, economici e diplomatici dei singoli stati per preservare un sistema che non consideri la logica realista a somma zero. Riunire tutti gli Stati per preservare l'ambiente e il clima richiede sforzi che non tutti gli attori sono disposti a fare. Ciò è dovuto a tre fattori principali: il concetto di responsabilità, ostilità a nuovi investimenti a lungo termine e l’impegno nell’adesione continua ai trattati globali. In primo luogo, le grandi potenze economiche che hanno basato il loro veloce sviluppo industriale sull’uso di ingenti quantità di combustibili non vogliono essere ritenute responsabili delle emissioni globali. In secondo luogo, quasi tutti i paesi in via di sviluppo non hanno la disponibilità finanziaria per sovvenzionare una transizione ecologica che non presenta benefici immediati ma, anzi, che si basa su tecnologie che richiedono ancora tempo nella ricerca per essere veramente performanti.
 
Infine, l’ultimo fattore riguarda l’adesione costante ai trattai globali. È risultato molto difficile a livello burocratico creare e mantenere l’impegno per la limitazione delle emissioni. Nel 2019 una potenza leader come gli Stati Uniti con l’uscita dall’Accordo di Parigi ha rimarcato la fragilità che la comunità internazionale possiede nel coordinamento per la risoluzione dei problemi globali. In aggiunta, Nationally Determined Contributions (NDCs), che sono alla base dell'Accordo di Parigi, non permettono un impegno equo da parte di tutti i membri, che decidono individualmente quanto sono disposti a ridurre le emissioni, e con quali mezzi.
 
Il livello di urgenza contemporaneo per gli impatti del cambiamento climatico non è sufficiente. I progressi che si sono fatti finora hanno solo un impatto marginale sul futuro. La sostenibilità dovrebbe essere percepita come l'equivalente ambientale della sovranità dello Stato e dell'identità della nazione perché è il principio costitutivo dell’ambiente e della sicurezza che deve essere protetto. La logica dell’emergenza ambientale senza ritorno è difficile da contenere con un intervento dell’uomo, se il processo di devastazione è già avviato. La sicurezza ambientale e climatica è il nesso fondamentale per la sicurezza umana internazionale perché un clima instabile e minaccioso rappresenta il fallimento di tutti gli stati nel fornire sicurezza ai propri cittadini. E se non è l'essere umano ad occuparsi con urgenza di una questione che lo riguarda direttamente, la domanda giusta da porsi è: e se il vero ostacolo che ci separa dal raggiungimento di un mondo sostenibile e sicuro fosse l’egoismo umano stesso?

il_cambiamento_climatico_come_sfida_universale_della_sicurezza_internazionale_nel_xxi_secolo_i_principali_ostacoli_che_accentuano_lantropocene__csi_bulletin_2021_.pdf
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