a cura di Daniele Congedi Il 2020 passerà alla storia come l’annus horribilis del mondo contemporaneo. L’intera umanità ha dovuto fare i conti con una crisi sanitaria ed economica di proporzioni gigantesche, cagionata dallo scoppio della pandemia da Covid-19. Per affrontare il periodo decisamente tragico, l’Unione europea, i cui Paesi membri non sono stati di certo risparmiati, ha elaborato un pacchetto di interventi miranti a risollevare le sorti del Vecchio continente. Al netto dell’importante ruolo svolto dalla Banca centrale europea (BCE) per il tramite di un nuovo programma di acquisto di 1350 miliardi di euro aggiuntivi di titoli pubblici e privati, denominato Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), quattro sono i pilastri della strategia di Bruxelles: 200 miliardi di prestiti della Banca europea per gli investimenti (BEI) per imprese ed enti locali; 100 miliardi di fondi per gli ammortizzatori sociali ("piano Sure"); una nuova linea di credito “sanitaria” del Meccanismo europeo di stabilità (MES) da 240 miliardi; il lancio del “Next Generation EU” da 750 miliardi di euro (circa 390 miliardi di euro di prestiti e 360 miliardi di euro di finanziamenti a fondo perduto), dilazionati in più anni, per finanziare gli investimenti strategici per le prossime generazioni, quali la transizione verso una società più verde, digitale e capace di creare milioni di posti di lavoro. Le risorse per il “Next Generation EU” (generalmente conosciuto come Recovery Fund) verranno attinte mediante dei prestiti contratti sui mercati finanziari a tassi di interesse molto bassi in virtù dell’ottimo rating creditizio dell’Unione europea. Il rimborso del prestito da parte della Commissione europea farà affidamento sul contributo di nuove risorse proprie, garanzia grazie alla quale la Commissione potrà emettere il debito comune per finanziare il “Next Generation EU”. Per beneficiare dei fondi, suddivisi tra i Paesi membri in base ad alcuni parametri, gli Stati dovranno presentare i propri piani nazionali entro il 30 aprile 2021, delineando i programmi di investimento e di riforma sulla base delle linee guida suggerite dall'Unione europea e delle raccomandazioni specifiche rivolte ai singoli Paesi. Questi piani nazionali verranno poi valutati dalla Commissione entro due mesi dalla loro presentazione. Tale valutazione dovrà essere approvata dal Consiglio a maggioranza qualificata, cioè con almeno il 55% degli Stati che rappresentino almeno il 65% del totale della popolazione dell’Unione europea. Inoltre, per un maggiore controllo da parte degli Stati nella fase implementativa, è prevista (in casi eccezionali) la possibilità per gli stessi di azionare il cosiddetto “freno di emergenza” nei confronti degli altri Paesi. Superate le evidenti criticità iniziali, il “Next Generation EU” richiede ancora ulteriori passaggi per entrare in vigore. Prima di addentrarci negli eventi di questi giorni occorre però definire i termini della questione. Partiamo dal presupposto che l’approvazione del bilancio annuale dell’UE si colloca nel quadro di una previsione pluriennale (al cui rispetto è subordinato il bilancio annuale) che fissa gli importi dei massimali annui degli stanziamenti per impegni relativi a ogni categoria di spesa. Il quadro finanziario pluriennale, come sancito dall’art. 312 TFUE, è adottato dal Consiglio all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo a maggioranza dei suoi membri. Ciò detto, dopo l’approvazione del bilancio pluriennale da parte del Parlamento europeo, avvenuta i primi di novembre, nel corso della riunione del Comitato dei Rappresentanti Permanenti dell’UE (COREPER), preparatoria per il successivo Consiglio che avrebbe dovuto portare all’approvazione del bilancio pluriennale (a cui è legato il “Next Generation EU”), Ungheria e Polonia hanno posto un veto alla decisione sulle risorse proprie, che per essere ratificata necessita dell’unanimità. Come ammesso più o meno esplicitamente dagli stessi protagonisti, quanto accaduto è la risposta all'avvenuta approvazione nel Consiglio, a maggioranza qualificata, di un meccanismo di condizionalità che lega l'accesso al “Next Generation EU” al rispetto dello stato di diritto (o rule of law). Il meccanismo oggetto del dibattito prevede che, ove uno Stato membro violi i principi base dell’UE, la sospensione dei finanziamenti può essere decretata con voto a maggioranza. Dal canto loro Polonia e Ungheria avrebbero preteso un voto all’unanimità, consapevoli del rischio potenziale in cui incapperebbero a causa delle loro violazioni già accertate dalla Corte di giustizia europea. Come evidenziato dall’art. 2 TUE, il rispetto dello stato di diritto è uno dei valori sui quali l’Unione europea si fonda e condizione essenziale per potervi partecipare. Inoltre, ai sensi dell’art. 7 TUE, gli Stati membri che si rendono protagonisti di una violazione dei suddetti valori possono incorrere in sanzioni, come la sospensione del diritto di voto dello Stato in seno al Consiglio. Il centro nevralgico di tutta la questione risiede nella circostanza per cui, laddove il bilancio pluriennale non venisse approvato entro l’anno si aprirebbe una fase di gestione “provvisoria”, con possibilità di spesa molto ridotte. Per tali motivi la Commissione europea non potrebbe far partire la procedura di collocamento sul mercato dei 750 miliardi del “Next Generation EU”, ritardando ulteriormente le erogazioni agli Stati membri e aggravando gli effetti della pandemia sulle economie europee. Qualora la situazione non dovesse sbloccarsi, per superare l’impasse le cancellerie europee riflettono sulle possibili alternative, a partire dall’eventuale ricorso alle “cooperazioni rafforzate”, uno strumento previsto dai Trattati dell’UE e a cui si può ricorrere nel quadro delle competenze non esclusive dell’Unione, come extrema ratio. Le cooperazioni rafforzate (art. 20 TUE e artt. 326-334 TFUE) consentono di creare, all’interno dell’Unione, forme di più intenso sviluppo concernenti un limitato numero di Stati membri (almeno nove). Sebbene tutti gli Stati membri possano partecipare alle deliberazioni del Consiglio nella materia oggetto della cooperazione rafforzata, solo quelli che vi partecipano attivamente possono votare (all’unanimità) sulle relative decisioni, obbligatorie esclusivamente per gli Stati partecipanti. Considerata la farraginosità del sistema della cooperazione rafforzata, un’altra opzione sul tavolo riguarderebbe la stipula di un accordo intergovernativo, al di fuori del sistema dell’UE (come avvenuto con il MES), escludendo Varsavia e Budapest. Anche questa seconda ipotesi deve fare i conti, tuttavia, con una certa riluttanza da parte degli addetti ai lavori.Ad ogni modo, a prescindere dal tipo di soluzione che verrà adottata, la strada per il concreto ottenimento dei fondi del “Next Generation EU” è ancora lunga e irta di ostacoli, non da ultimo la necessaria ratifica finale da parte dei singoli parlamenti nazionali.
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