Il novembre nero del Perù: dalla crisi economico-sanitaria a quella politico-istituzionale5/12/2020
a cura di Riccardo Allegri Sono addirittura tre i presidenti che si sono alternati nell’ultimo mese, per non dire in una sola settimana, alla guida del Perù. Il paese andino sta attraversando una crisi politica che non ha precedenti, almeno nella sua storia recente. La popolazione, vessata dalle pessime performance economiche e da una gestione discutibile dell’epidemia di Covid-19, è scesa in strada per protestare contro l’operato del Congresso. In effetti, l’inerzia del decantato “miracolo economico” vissuto dal Perù negli anni Duemila sembra essersi esaurita, condannando il popolo a vivere in condizioni miserevoli ed in un clima di grande diseguaglianza socio-economica, tipico dei paesi del Sud America. In aggiunta, il paese è stato duramente colpito dal coronavirus, dovendo sopportare il più alto tasso di mortalità pro-capite di tutto il pianeta. La pandemia ha avuto ripercussioni devastanti sull’economica ed il Fondo Monetario Internazionale prevede che il Pil del Perù subirà una contrazione del 13,9% nel 2020. In questo terrificante contesto si innesta la crisi di governo peggiore degli ultimi anni. Ma procediamo con ordine. Il 9 novembre, il parlamento peruviano è finalmente riuscito nel suo intento di rimuovere il Presidente Vizcarra tramite la procedura di impeachment. L’accusa di corruzione della quale egli ha dovuto rispondere, faceva riferimento ad un episodio accaduto nel 2014, quando l’uomo era il governatore della regione di Moquegua. Gli oppositori del Presidente hanno richiesto l’impeachment per “incapacità morale”, nonostante questi si sia dichiarato innocente e non siano state mosse accuse formali contro di lui. Egli ha immediatamente abbandonato l’incarico accettando il voto parlamentare. Il Congresso aveva già provato a rimuovere Vizcarra dal proprio ruolo nell’esecutivo non più tardi di un mese prima, senza riuscirci. I rapporti tra l’ormai ex Presidente ed il legislativo peruviano non sono mai stati idilliaci. Egli, infatti, aveva già sciolto il parlamento nel 2019 a causa dell’esercizio, da parte del Congresso, di manovre ostruzionistiche volte ad evitare il passaggio di una legge contro la corruzione promossa proprio da Vizacarra. Del resto, lo stesso Vizacarra aveva fatto della lotta all’illegalità dilagante all’interno delle istituzioni il proprio cavallo di battaglia. Dopo il pronunciamento della Corte Suprema, che aveva respinto il ricorso del Congresso, l’organo legislativo era stato sciolto e nel gennaio del 2020 il paese era tornato alle urne. Il principale partito di opposizione, che controllava il parlamento, aveva subito una sonora sconfitta elettorale, passando dal 36% del 2016 ad un mero 7%. Questo però non ha cambiato le cose, in quanto, nonostante il pessimo risultato del partito di Keiko Fujimori, altre forze politiche contrarie all’approvazione della legge anti-corruzione avevano visto crescere i propri consensi. In realtà il quadro politico scaturito dalle elezioni di gennaio è apparso da subito piuttosto frammentato, in quanto nessun partito era riuscito ad ottenere un numero di consensi tale da superare il 10%. Non bisogna dimenticare che in Perù la corruzione è piuttosto diffusa e si può ben dire che sia la principale fonte di guadagno per buona parte dei politici del paese. Lo stesso Vizcarra era stato eletto Presidente dopo che il suo predecessore, del quale egli era oltretutto il vice, era stato condannato nel 2018 per uno scandalo legato alla compravendita di voti. Appare dunque comprensibile il motivo che ha spinto il legislativo ad opporsi ad una legge che avrebbe eliminato l’immunità parlamentare, considerando che una buona metà dei membri dello stesso parlamento sono attualmente indagati per reati che vanno dalla semplice corruzione all’omicidio. Il Congresso è riuscito nell’intento di avviare la procedura di impeachment nei confronti del Presidente grazie al fatto che quest’ultimo non possedesse una maggioranza all’interno dell’istituzione. Vizcarra è stato infatti eletto come indipendente ed è riuscito a governare senza l’appoggio del legislativo grazie alla prerogativa, propria della carica da questi occupata, di sciogliere il Congresso. Ciò lo ha sempre messo al riparo dai tentativi di ostruzione o, peggio ancora, di esautorazione. La Costituzione del paese prevede però che tale prerogativa del Presidente venga meno nell’ultima parte del mandato. I tempi erano evidentemente maturi ed il parlamento non si è fatto attendere. L’impeachment è stato votato da 105 membri del Congresso su un totale di 130 e ciò è accaduto nonostante i sondaggi avessero sottolineato come per il 78% della popolazione peruviana egli dovesse portare a termine il proprio mandato. Il suo posto è stato preso da Manuel Merino, lo speaker del Congresso ed uno dei principali oppositori di Vizcarra. Parrebbe proprio questo il motivo che ha spinto la gente a scendere nelle piazze per protestare contro quello che definiscono un colpo di stato. Gli scontri tra la polizia ed i manifestanti sono stati molto violenti ed hanno portato alla morte di due ragazzi dell’età di 22 e 24 anni, in aggiunta a diverse decine di feriti. Il clima di totale sfiducia nelle istituzioni e la particolare violenza con cui le forze di sicurezza peruviane hanno cercato di reprimere il movimento di protesta hanno contribuito a rendere ancora più profonda la frattura che divide il popolo del Perù dalla propria élite politica. Timoroso di una vera e propria rivoluzione, lo stesso Merino ha deciso di rassegnare le proprie dimissioni dopo soli 5 giorni dall’aver prestato giuramento ed il suo posto è stato preso da Francisco Sagasti del Partido Morado, ovvero l’unica formazione politica ad essersi espressa negativamente rispetto all’impeachment di Vizcarra. La scelta di Sagasti come Presidente ad interim con il compito di traghettare il governo fino alle elezioni del giugno 2021 rappresenta un estremo tentativo dell’élite politica del paese di allentare la tensione con il popolo. Infatti il suo governo sarà composto da un’ampia coalizione di forze che consenta a quanti più peruviani possibili di sentirsi rappresentati dall’esecutivo in un quadro di totale emergenza. La situazione nel paese andino appare dunque piuttosto fluida ed il futuro non sembra essere luminoso. Lo scollamento tra il popolo e l’establishment appare piuttosto evidente e la violenta repressione del movimento di protesta ha ulteriormente peggiorato le cose. Per far fronte alla profonda crisi economica, il governo è riuscito ad ottenere l’autorizzazione per emettere bond a 100 anni, nella speranza che gli investitori non siano intimoriti dall’instabilità dilagante. La misura appare tardiva e probabilmente non avrà un reale impatto sulle condizioni della popolazione, stremata da anni di bassa crescita economica, totalmente sfiduciata rispetto alla classe politica ed infine brutalmente colpita dalla pandemia di Covid-19.
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