a cura di Valentina Berneri Il 1° maggio 2004 l’Unione europea accolse dieci nuovi paesi membri. Il grande allargamento modificò l’assetto dei suoi confini, portando l’Ue a rapportarsi con paesi economicamente e politicamente instabili. Per creare un’area di pace, stabilità e prosperità ai propri confini venne istituita la Politica Europea di Vicinato (PEV), una delle politiche esterne attraverso cui l’Ue si impegna a garantire assistenza finanziaria e tecnica a progetti volti allo sviluppo locale dei paesi partner. In gran parte i progetti mirano al progresso democratico, al rispetto dei diritti umani e ad una stabilizzazione socio-economica. La PEV regola i rapporti con sedici paesi: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia, Ucraina localizzati al confine orientale e Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia al sud. L’Ue si relaziona con i paesi partner sia attraverso accordi bilaterali che in due quadri di cooperazione multilaterale: il Partneriato Orientale, istituito nel 2009, e l’Unione per il Mediterraneo, dal 2008. Le relazioni con il primo sono state esaminate frequentemente negli ultimi anni a causa delle crescenti tensioni tra Ue e Russia. In controtendenza, in occasione del decimo anniversario della Primavera Araba, questo articolo esamina l’ evoluzione della cooperazione tra Ue e paesi del Mediterraneo. Proprio in questo periodo, dieci anni fa, le popolazioni che abitano le regioni del Medio Oriente e del Nord Africa insorsero in una serie di proteste di massa a cui i media occidentali si riferiscono con il nome di Primavera Araba. L’appellativo è un voluto riferimento alla primavera dei popoli, in quanto, come in quell’occasione, i dissidenti si ribellavano contro i regimi autoritari. I manifestanti erano in gran parte giovani e lamentavano le limitate libertà individuali, la crescente corruzione, le ripetute violazioni dei diritti umani e la difficili condizioni socio-economiche. I paesi maggiormente coinvolti furono Algeria, Egitto, Libia, Siria e Tunisia. Di fronte all’insorgere delle proteste, l’Ue non poté che constatare il fallimento della prima versione della PEV, che fu sottoposta a diverse critiche. Quelle maggiormente condivise riguardavano i suoi obiettivi ritenuti troppo approssimativi e non abbastanza eterogenei. Secondo i critici la PEV forniva soluzioni insufficientemente dettagliate alle problematiche rilevate e non prevedeva strumenti di monitoraggio di un eventuale progresso. Inoltre, non trattava con abbastanza realismo le diverse condizioni di partenza e le ambizioni future dei paesi coinvolti adottando un approccio rivelatosi non funzionale, quello del “one size fits all”. Presa coscienza dei suoi punti deboli, e con l’intento di adeguare la PEV alle esigenze contemporanee, nel 2011 la Commissione europea approvò una seconda versione. Identificò nella promozione di una democrazia sostenibile e nello sviluppo economico inclusivo le priorità di cooperazione. A questo scopo incoraggiò un approfondito dialogo con la società civile, istituendo due nuovi strumenti, il Civil Society Facility e l’European Endowment for Democracy, il cui compito era monitorarne gli eventuali progressi. In secondo luogo, introdusse il principio di condizionalità, per premiare i paesi che dimostravano un maggiore impegno nel perseguire una transizione democratica stabile rispettosa dello stato di diritto. Pochi anni dopo, nel 2015, in risposta ai drammatici sviluppi verificatisi ai suoi confini (si pensi allo scoppio della guerra nel Donbass e all’aggravarsi della guerra in Siria), l’Ue si impegnò a rettificare nuovamente la PEV. Con la seconda modifica, la stabilizzazione, ovvero la risoluzione dei conflitti in atto e la prevenzione di quelli futuri, sostituì lo sviluppo democratico come priorità assoluta. Nonostante l’Ue avesse dichiarato che avrebbe continuato a perseguire le questioni legate ai diritti umani e alla democrazia, essa si dichiarò disponibile a cooperare anche con gli stati che non dimostravano una piena volontà di trasporre i valori europei a livello locale. A tal fine venne istituito il principio di cotitolarità secondo cui l’Ue e i paesi partner avrebbero collaborato solo nei settori di comune interesse. Questi si rivelarono spesso essere secondari alle priorità della società civile e ciò causò un netto peggioramento dell’opinione pubblica locale nei confronti dell’Ue. L’11 febbraio 2019 il Parlamento Europeo pubblicò una relazione sull’evoluzione della cooperazione con i paesi mediterranei in cui osservava che gran parte degli obiettivi non sono stati raggiunti, riferendosi in particolare allo sviluppo democratico e al miglioramento delle condizioni socio-economiche. Il 28 Maggio 2020 la Direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, Amna Guellali, e Younes Abouyoub, il direttore della Divisione di Governance e State-Building nella Regione MENA delle Nazioni Unite, si sono dichiarati preoccupati dalle conseguenze che la pandemia causata dal Covid-19 potrebbe causare nella regione esaminata. Essi sostengono che le misure di contenimento attuate per contrastare la pandemia abbiano ulteriormente peggiorato le già instabili condizioni socio-economiche e minacciato in diversi casi lo sviluppo democratico e il rispetto dei diritti umani. A sostegno di ciò, riportano che in Tunisia (considerato il paese piu democratico del vicinato meridionale) sono state bloccate diverse riforme necessarie per consolidare lo sviluppo di un assetto politico democratico, mentre in Algeria e in Marocco sono state approvate leggi che limitano notevolmente la libertà di espressione. Di conseguenza, gli interlocutori non escludono che potranno verificarsi nuove proteste in futuro. Sembra però che l’Ue si stia prontamente adeguando ai vari cambiamenti che si stanno verificando nel mondo geopolitico, istituendo uno
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