a cura di Giorgio Catania Joe Biden è diventato il primo presidente degli Stati Uniti d’America a riconoscere ufficialmente il genocidio armeno. “È un atto dovuto per onorare le vittime e confermare la storia, non un modo per incolpare la Turchia” ha dichiarato il nuovo inquilino della Casa Bianca. A distanza di 106 anni dall’inizio del massacro del popolo armeno ad opera dell’Impero Ottomano – costato la vita a 1.5 milioni di persone – l’amministrazione Biden si spinge dunque lì dove nessuna precedente amministrazione era mai arrivata. Solo Ronald Reagan – nel 1981 – aveva citato “il genocidio degli armeni” in un passaggio su un documento incentrato sull’Olocausto, senza farvi più riferimento in seguito. La scelta di Biden ha un valore particolarmente simbolico. Da oltre un secolo, infatti, la Turchia – erede dell’Impero Ottomano – si oppone fermamente al riconoscimento ufficiale del genocidio e minaccia ritorsioni verso chiunque si muova in direzione opposta. Pur ammettendo che ci siano stati dei massacri, il governo turco sostiene che anche molti turchi furono uccisi nel contesto violento della Prima Guerra Mondiale e mantiene una posizione categoricamente negazionista sul genocidio. Basti pensare che il codice penale turco prevede delle pene molto severe per giornalisti e scrittori che utilizzano il termine “genocidio” con riferimento agli armeni e i libri di scuola negano che sia mai accaduto. Nonostante le minacce di Erdogan, il movimento per il riconoscimento del genocidio armeno ha guadagnato sempre maggiore seguito negli ultimi anni e sono ormai 30 i paesi ad aver sdoganato l’utilizzo del termine in relazione al caso armeno grazie alle risoluzioni dei loro parlamenti. Cosa che non ha fatto l’ONU, che ha più volte ribadito come non possa esprimersi con autorevolezza su fatti avvenuti trent’anni prima della sua fondazione (nel 1945) non avendo avuto la possibilità di indagare direttamente. La reazione del governo turco alla dichiarazione di Joe Biden non si è fatta attendere. Erdogan ha prontamente controbattuto sostenendo che “il genocidio è una menzogna storica inventata a fini politici” e che “la Turchia non prende lezioni da nessuno sulla propria storia”. Sale dunque il nervosismo tra Stati Uniti e Turchia. Come pronosticabile, Erdogan ha convocato l’ambasciatore americano ad Ankara e non è escluso che possa attuare altre ritorsioni (come la limitazione dell’utilizzo di basi americane su territorio turco) ma ciò non comprometterà le relazioni con gli Stati Uniti, perché non è nell’interesse di entrambe le parti. Le prime tensioni tra i due alleati NATO si sono registrate anni fa, quando Erdogan ha stretto una forte collaborazione con la Russia di Putin, che è culminata nell’acquisto di missili S-400 russi e nelle successive sanzioni americane da parte di Trump. La mossa di Biden va intesa come un tentativo di mettere in discussione il posto dell’Armenia nella sfera di influenza russa e di controbilanciare la vittoria turco-azera nella guerra del Nagorno-Karabakh.
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