a cura di Elisa Cecchini A trent’anni dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, il Kazakistan è stato travolto da disordini e rivolte popolari. Considerato “un pilastro per la stabilità” politica ed economica dell’Asia centrale, rappresenta un nodo strutturale per le ambizioni economiche della Cina nell’iniziativa Belt and Road, un alleato chiave per la Russia nel progetto di integrazione economica dell’Unione Euroasiatica e un importante partner per l’Unione Europa. Il Kazakistan è stato governato per tre decenni da Nursultan Nazarbayev, già primo ministro della Repubblica socialista sovietica kazaka nel 1984 e presidente del Soviet supremo nel 1990; venne eletto presidente della Repubblica del Kazakistan nel 1991, segnando così la sostanziale continuità con l’epoca sovietica. Negli anni, Nazarbayev creò un regime semi-autoritario, fortemente personalistico, dominato dal partito Nur-Otan. Nel 2019 ha lasciato la presidenza al suo delfino Kassym-Jomart Tokayev, pur mantenendo un ruolo di punta nella politica nazionale attraverso la guida del Consiglio nazionale per la sicurezza. Una volta insediatosi, Tokayev aveva promosso un pacchetto riforme politiche che non si sono mai rivelate sostanziali, mantenendo inalterato lo status quo del potere e contribuendo così a nutrire il malcontento tra la popolazione. Le proteste delle scorse settimane hanno avuto inizio nella città di Zhanaozen, nel Sud-Ovest petrolifero del paese non lontano dal confine turkmeno. La città era già stata teatro di proteste che avevano portato nel 2011 al “massacro di Zhanaozen”: la polizia aveva aperto il fuoco sulla folla di operai petroliferi in sciopero che chiedevano condizioni lavorative migliori, causando la morte di sedici dimostranti e un centinaio di feriti. La regione del Kazakistan che si affaccia sul Mar Caspio è ricca di giacimenti di petrolio, gas ed uranio. Il settore energetico è di vitale importanza per il Kazakistan, con un PIL di 169 miliardi di dollari nel 2020, è lo stato più ricco dell’Asia centrale. Questa ricchezza derivata dai proventi dell’industria petrolifera ha portato all’arricchimento di una ristretta élite di persone, mentre quasi metà della popolazione kazaka vive in condizioni di precarietà, in comunità rurali e con scarso accesso ai servizi pubblici. Si stima infatti che circa un milione di persone su una popolazione di 19 milioni vivano sotto la soglia di povertà. Zhanaozen si trova nel distretto di Mangistau ed è una città mono-industriale, costruita intorno al giacimento petrolifero di Ozen di proprietà della compagnia OzenMunayGas, succursale della statale KazMunayGas. Alla base delle proteste è giusto sottolineare che non c’è solo la frustrazione dovuta a un quadro politico sostanzialmente immutato dagli anni Novanta a oggi, ma anche un disagio economico crescente, che ha portato a un vero e proprio scontro di classe. La scintilla che ha innescato le proteste è stato il rincaro del prezzo del GPL, usato per la maggior parte dei veicoli, che ha raddoppiato in poche ore il suo costo da 60 a 120 tenge al litro. Il governo infatti aveva annunciato la rimozione dei sussidi energetici governativi, passando così alla liberalizzazione dei prezzi, conseguenza della graduale riforma dell’energia avviata nel 2019. A ciò si è aggiunto il mal contento generale per la corruzione endemica dello stato, le difficoltà economiche che sono state aggravate dalla pandemia e l’inflazione galoppante che ha spinto la banca centrale ad innalzare i tassi di interesse al 9,75%. Le proteste si sono diffuse a macchia d’olio da Zhanaozen alle città di Aqtau, Atyrau e Aktobr, fino a dilagare ad Almaty, centro economico del paese, e la capitale Nur-Sultan. La promessa da parte dell’esecutivo di una misura straordinaria per calmierare il prezzo del Gpl è arrivata in ritardo, non risultando efficace nel far placare le proteste. Infatti, le manifestazioni sono continuate sfociando in assalti ai diversi edifici governativi e a saccheggi a banche e negozi. Quello che i manifestanti chiedevano erano riforme politiche, elezioni eque, così da tagliare i ponti per sempre con quel vecchio sistema di potere in piedi da trent’anni sotto la guida dell’ex presidente Nursultan Nazarbayev e della sua famiglia. Il 5 gennaio, dopo aver proclamato lo stato d’emergenza, il presidente della repubblica kazaka Kassym-Jomart Tokayev, ha sciolto il governo e ha fatto dimettere l’ex presidente Nazarbayev dal suo ruolo di capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Le proteste non si sono sedate e la guerriglia è propagata in ogni angolo del paese, arrivando ad occupare l’aeroporto internazionale e ad abbattere le statue con l’effige di Nazarbayev. Questi eventi hanno spinto il presidente Tokayev a cambiare strategia definendo “terroristi” i manifestanti e richiedendo l’intervento del Collective Security Treaty Organization (CSTO) per arginare le proteste. Il presidente kazako ha giustificato la richiesta d’aiuto in quanto ha definito le violenze frutto di ingerenze da parte di “gruppi terroristici esterni”. Tokayev ha fatto quindi appello all’articolo 4 del Trattato di CSTO, secondo cui “se un membro è soggetto ad aggressione da parte di una forza esterna, è considerata un’aggressione contro tutti gli stati membri”. Questa è stata la prima volta che il CSTO ha autorizzato l’invio di truppe. Il 6 gennaio, 2500 soldati degli stati membri sono entrati in Kazakistan, la maggior parte appartenenti alla quarantacinquesima brigata dell’esercito russo, forze speciali già utilizzate in Cecenia, Ossezia del sud e Siria. Nei giorni successivi, a seguito di un bilancio ufficiale di 168 morti e 8000 arresti, Tokayev ha dichiarato che l’ordine costituzionale fosse stato ristabilito nel paese e ha notificato il ritiro delle truppe del CSTO. Il fatto che Tokayev si sia rivolto all’alleanza militare tra ex repubbliche sovietiche guidate da Mosca riflette la mancanza di sicurezza nel sostegno delle forze kazache al presidente kazako, soprattutto dopo il licenziamento e l’accusa di tradimento di Karim Masimov, capo dell’intelligence e fedele dell’ex presidente Nazarbayev. A maggior ragione dopo aver accusato il suo predecessore Nazarbayev di aver favorito la nascita di una classe elitaria di persone che detengono il potere e le ricchezze del Kazakistan. Sembra ormai chiaro che la famiglia Nazarbayev non sia più una forza politica di primo piano nel Paese.
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