A cura di Lorenzo Giordano, Programma sulla politica estera italiana
«Il futuro non verrà costruito con la forza, nemmeno con il desiderio di conquista ma attraverso la paziente applicazione del metodo democratico, lo spirito di consenso costruttivo e il rispetto della libertà», proclamava Alcide De Gasperi, dopo aver accolto l’appello per un’Europa integrata lanciato da Robert Schuman il 9 maggio del 1950. È un discorso programmatico di stampo degasperiano in linea con il suo “background” quello pronunciato ieri, 17 febbraio, da Mario Draghi al Senato, in attesa di ricevere il primo voto di fiducia al suo governo. Un monito diretto alla responsabilità nazionale, all’unità, a far fronte comune contro la pandemia da Covid-19 e la crisi economica. L’ex presidente della Banca Centrale Europea ha sollecitato il risveglio dello “spirito repubblicano” di un Paese che, nei momenti storici più critici, ha dimostrato la sua resilienza. Numerose le tematiche trattate dal neopresidente del Consiglio dei ministri, dalla situazione sanitaria al rilancio della parità di genere nei settori produttivi, fino al Mezzogiorno e agli investimenti pubblici. Affrontata la questione Next Generation UE – il Piano di Rilancio Europeo approvato lo scorso luglio dal Consiglio Europeo per sostenere i Paesi membri colpiti dal Covid-19 –, è stata la volta del perimetro strategico che l’Italia è destinata a ricoprire nel quadro della sua politica estera. In particolare, il Paese è chiamato a fare i conti con una discontinuità governativa che, dal secondo dopoguerra ad oggi, ha avuto un impatto negativo sulla sua proiezione internazionale. Un’instabilità politica da cui sono derivati un’incapacità di visione a lungo termine ed un ruolo marginale rivestito in teatri regionali di primario interesse nazionale. Europeismo, atlantismo e multilateralismo sono le linee guida che strutturano la posizione delineata da Draghi e che sembrerebbero determinare la collocazione internazionale dell’Italia. Il filone europeista, in particolare, assume una notevole rilevanza sin dalle battute iniziali, in cui il presidente del Consiglio sottolinea la convergenza fra il sostegno al nuovo governo e l’irreversibilità della scelta dell’euro e motiva la cessione di sovranità nazionale con l’acquisto di sovranità condivisa nelle aree statali più fragili: quasi a voler dissipare il vuoto di legittimazione politica e rappresentanza popolare di cui spesso risentono le istituzioni europee sovranazionali, a causa di una visione diffusa e di un senso comune che considerano “distanti” i tecnocrati e burocrati di Bruxelles. In materia di cooperazione europea, il riferimento del primo ministro è rivolto ai partenariati privilegiati con Francia e Germania, storicamente i motori dell’integrazione europea, le cui economie sono strettamente interdipendenti con quella italiana e i cui interscambi commerciali dovranno essere intensificati. Nel 2019 il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno rinnovato il trattato dell’Eliseo, firmato da Charles De Gaulle e Konrad Adenauer nel 1963, sugellando il trattato di cooperazione franco-tedesca di Aquisgrana che, oltre alla valenza simbolica che si esprime nell’impulso agli impegni europeisti di fronte all’insorgere di nazionalismi, contiene una clausola di reciproca difesa militare in caso di aggressione ed ulteriori progetti di collaborazione e coordinamento nell’ambito di sicurezza interna, politica estera ed economica. Il presidente Draghi sembra, dunque, anticipare una maggiore influenza da parte di Roma nella regolazione degli equilibri europei, piuttosto che una dipendenza dalla leadership di Parigi e Berlino. Allo stesso tempo, il neopresidente apparirebbe orientato verso un bilanciamento degli interessi strategici tra Europa e vicinato balcanico e mediorientale, funzionale ad un rilancio delle ambizioni italiane di media potenza. Un bilanciamento che invece nell’ultimo decennio è stato percepito come una sorta di trade-off, a discapito della strategia italiana entro la sua “quarta sponda”: infatti, il ruolo di secondo piano assunto dall’Italia nel Mediterraneo, segnatamente in Libia, è in parte dipeso dalla ricerca parallela di un consolidamento della sua posizione nel Vecchio Continente. Ancora, nel contesto dell’Unione Europea, Draghi fa appello ad un regime di collaborazione e solidarietà con i Paesi maggiormente colpiti dalla crisi migratoria: Spagna, Grecia, Malta e Cipro, in maniera tale da scongiurare una crisi simile a quella del 2015, che alimentò le divisioni politiche fra Stati membri e portò alcuni di essi ad adottare delle misure straordinarie unilaterali, come la limitazione dello Spazio Schengen, anziché una politica coordinata di lungo termine. In quest’ottica, il presidente del Consiglio auspica una ripresa del dialogo fra UE e Turchia. D’altra parte, l’enfasi sull’approccio multilaterale, sotto l’egida delle Nazioni Unite, potrebbe costituire un richiamo alla nuova era inaugurata dall’amministrazione Biden alla Casa Bianca e un’istanza di un bilateralismo rafforzato con gli Stati Uniti, rientrati nel frattempo nell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e nell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un cambio di rotta parziale rispetto all’equidistanza da Washington e Pechino manifestata dall’ex Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Entrambi, nelle loro dichiarazioni, hanno richiamato gli “ancoraggi” italiani: mentre il primo, nel discorso a Palazzo Madama, ha citato «Unione Europea, Alleanza Atlantica e Nazioni Unite», l’ex premier, in un passaggio di un lungo discorso alla Camera lo scorso gennaio, ha affermato che il rilievo di Pechino sul piano globale ed economico andrebbe associato a «rapporti coerenti con un chiaro ancoraggio al nostro sistema di valori e principi». Pur rimarcando l’impronta filo-atlantista del nuovo governo e non definendo esplicitamente la Cina come partner fondamentale dell’Italia, Draghi riconosce tuttavia l’importanza delle relazioni con Pechino ma, così come per la Russia, esige, in primo luogo, un dialogo sul tema dei diritti umani e, nel caso della Cina, osserva da vicino i dossier relativi agli hotspots, Hong Kong e Taiwan su tutti, e alle tensioni con l’India. Infine, Mario Draghi ha segnalato i pilastri attorno cui ruota il programma della presidenza italiana al G20, il foro internazionale che riunisce le principali economie del mondo: People, Planet, Prosperity. |
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