a cura di Emanuele Volpini Le elezioni presidenziali statunitensi del 2020 sono state tra le più seguite degli ultimi anni. La vittoria di Joe Biden non è stata netta come molti si aspettavano e questo ha lasciato spazio a più di un semplice dubbio sul futuro degli Stati Uniti, soprattutto per ciò che riguarda la politica estera. La domanda che molti si pongono è se gli Stati Uniti, sotto la nuova presidenza, vorranno avere ancora un ruolo da protagonista all’interno del sistema internazionale. L’ex Presidente Trump nel corso del suo mandato ha lanciato segnali ben precisi: gli Stati Uniti non devono e non vogliono più assumersi compiti e responsabilità di garante per l’ordine mondiale. Esempi celebri di tale volontà sono stati il ritiro dal TPP e dal TTIP in ambito economico e la messa in discussione della stessa NATO. Questo tipo di atteggiamento è stato considerato assai pericoloso per l’ordine internazionale e per la sua stessa stabilità. Il possibile vuoto lasciato da un ritiro degli USA dai principali scenari mondiali ha causato diverse reazioni in tutto il mondo. Se da una parte molti paesi hanno espresso perplessità sulla linea politica estera adottata dall’ex Presidente Trump, altri invece hanno mostrato approvazione. In questo secondo caso le nazioni concorrenti hanno visto nel retrenchment trumpiano un'occasione più unica che rara di avanzare a livello regionale e attuare le proprie politiche. Ora, invece, con l’elezione del Presidente Biden, ci si interroga su quale sarà il ruolo di Washington nei prossimi quattro anni in tema di politica estera. I segnali fino ad oggi lanciati sono contrastanti. Da un lato il Presidente Biden ha annunciato la più grande manovra economica per il rilancio del paese, l’American Rescue Plan, da 1.900 miliardi di dollari per vincere la sfida della pandemia e della recessione che ha toccato picchi storici nella prima metà del 2020. Ha inoltre annunciato il ritiro definitivo del contingente statunitense dall’Afghanistan dopo esattamente venti anni dall’inizio delle operazioni. Questi potrebbero essere presi come esempi di manovre di self-help e di intern balancing, che rientrano in una più grande strategia di retrenchment come detto e fatto da Trump. Dall’altre parte, tuttavia, Biden non ha di certo risparmiato parole forti sia per gli alleati storici sia per i potenziali avversari: se in primis ha voluto riallacciare i rapporti con i paesi dell’Unione Europea - che era stata allontanata proprio da Trump (tranne il Regno Unito) - non si è risparmiato nel definire “assassino” il Presidente russo Vladimir Putin, scatenando un’ondata di reazioni più o meno favorevoli all’interno della comunità internazionale. Ha poi proseguito con l’allontanamento di diversi funzionari russi dal suolo statunitense e approvato sanzioni economiche nei confronti di Mosca. Notizia del 24 aprile, invece, è il riconoscimento ufficiale proprio da parte di Washington del genocidio degli armeni per mano dei turchi. Queste dichiarazioni mostrano come Biden voglia ribadire la centralità e l’attività degli Stati Uniti all’interno del sistema internazionale. Possiamo, però, definire gli Stati Uniti come la potenza egemone dell’ordine mondiale? Nella definizione più classica data dalle relazioni internazionali, per essere considerata una potenza egemone, una nazione deve avere il predominio in tutti i settori chiave - economia, ricerca e sviluppo, popolazione, personale militare etc. Tuttavia, dopo il crollo del muro di Berlino prima e dell’Urss dopo, gli Stati Uniti sono rimasti senza rivali all’interno del panorama internazionale pur non essendo i leader in alcuni dei settori cardine sopracitati. Per questo si dice che “Viviamo in un sistema unipolare senza egemonia". Oggi, il divario tra gli Stati Uniti e il resto dei paesi del mondo è troppo grande per essere colmato, ma ci sono alcune nazioni che potenzialmente potrebbero sfidare la supremazia di Washington. Stati come la Germania, il Giappone e la Cina hanno la possibilità, in campo economico, di sfidare e superare il mercato americano e di creare un nuovo polo economico lontano dal controllo degli Stati Uniti. Di fatto, gli Stati Uniti sono uno stato polare da un secolo ma senza egemonia. Washington è l’attore egemonico in molti scenari del mondo, come nelle aree più pericolose dove rappresenta la forza principale per coordinare le operazioni tra gli stati ma, allo stesso tempo, non riesce a prevenire la proliferazione nucleare in molti stati considerati potenzialmente nemici (Pakistan o Corea del Nord), non riesce a fermare e punire i massacri in Africa (Ruanda o Congo), non riesce a rimuovere i regimi ostili che violano le leggi internazionali e i diritti della popolazione. Ci troviamo, quindi, in una fase di transizione dove il sistema internazionale e i suoi attori stanno cercando di comprendere il ruolo che gli Stati Uniti vorranno avere negli anni a venire, una fase dove però bisogna comprendere anche l’ascesa di attori rivali che possono inserirsi nella corsa al ruolo di potenza egemone. Alla luce di questi elementi, gli scenari possibili nel futuro prossimo potrebbero essere molto diversi. L' unipolarismo mantenuto dagli Stati Uniti non è accettato dagli addetti ai lavori, ma potrebbe essere un caso; l' unipolarismo guidato da uno dei paesi emergenti come la Cina o da una compagine come l'Unione europea potrebbe diventare realtà più presto di quanto pensiamo; un sistema tripolare legato alle regioni economiche più potenti: Stati Uniti, Unione Europea e Cina. Siamo solo agli albori della nuova presidenza, ma i segnali lanciati dal presidente Biden sono molto chiari: gli Stati Uniti sono ancora la prima potenza al mondo, e chiunque voglia emergere ed affermarsi nei prossimi quattro anni dovrà fare i conti con loro. Bibliografia
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