a cura di Massimo Spinelli Non c’è da sorprendersi se ormai da qualche mese a questa parte, le uniche notizie che raggiungono le prime pagine dei quotidiani inglesi, come accade per quelli di tutto il mondo, riguardino la pandemia e le tragiche conseguenze che il Covid-19 sta provocando oltre la Manica. Questa gerarchia delle notizie, sempre più consolidata, ha conferito ulteriore risalto ad uno studio pubblicato recentemente su tutti i maggiori giornali e tabloid inglesi. Si tratta di un report elaborato dall’Economic Statistics Centre of Excellence (ESCOE), centro di ricerca che si occupa di analizzare i trend demografici che hanno un impatto sulla popolazione britannica. Basandosi sulle cifre stimate dall’Office for National Statistics (ONS), l’analisi dell’ESCOE ha evidenziato una situazione straordinaria per quanto riguarda il numero di cittadini stranieri che hanno deciso di abbandonare il Regno Unito. Sono stati 1.3 milioni coloro che hanno lasciato il paese nell’ultimo anno; la cifra più alta dal secondo dopoguerra ad oggi. Da gennaio 2020, oltre 500,000 stranieri residenti in Gran Bretagna hanno optato per trasferirsi altrove oppure ritornare nel paese natale. Nella sola Londra, le ultime previsioni della società di consulenza Pricewaterhouse Coopers parlano di un crollo senza precedenti del numero dei suoi cittadini, con una diminuzione stimata intorno alle 400,000 unità entro la fine del 2021. Un caso unico nella storia recente della capitale, la quale si trova, ormai da molti anni, in vetta alle classifiche delle città più attrattive a livello globale. Senza contare che, nel caso in cui le previsioni dovessero concretizzarsi, si tratterebbe di una netta inversione di tendenza rispetto agli ultimi 30 anni. Dal 1988 infatti, la metropoli ha sempre fatto registrare un aumento annuale dei suoi abitanti. I fattori che spiegano questo fenomeno sono molteplici, dalla pandemia alle conseguenze della Brexit, dalla pratica consolidata del telelavoro alla drastica diminuzione di opportunità lavorative. In particolare, i numeri soffrono di una drastica diminuzione di immigrazione giovanile, con i neo-laureati in prima fila, e con Londra che evidenzia un calo più marcato del numero di annunci di lavoro rispetto al resto delle maggiori capitali europee. A conferma degli indicatori negativi elencati sopra, la stessa PwC evidenzia come il tasso di natalità potrebbe assestarsi sui valori più bassi dal 1900, ovvero da quando si registra questa statistica. Per farsi un’idea di quanto pesino gli immigrati su queste cifre, basti pensare che, come riporta l’ONS britannico, per la maggior parte del ventesimo secolo, la crescita della popolazione era dovuta a quello che gli inglesi chiamano “ricambio naturale”, ossia un numero di nascite annualmente superiore rispetto a quello delle morti nel paese. L’immigrazione era considerata come il secondo fattore più incisivo. A partire dal 1999 invece, i due elementi si sono scambiati di posizione e l’immigrazione è diventata la componente determinante dell’aumento della popolazione. L’effetto Brexit sui dati dei flussi migratori non si è di certo fatto attendere. Infatti, dal 2016 in poi si può notare un lento ma costante declino del numero di immigrati, insieme a una crescita stabile delle emigrazioni. Arrivati alla fine del periodo di transizione previsto dall’accordo di divorzio con l’Unione Europea, si stima che il 2021 potrebbe essere l’anno della svolta, con un inedito valore negativo nella casella del tasso di migrazione netta, ovvero la differenza tra il numero di persone che entrano, e quelle che escono dal paese nell’arco di un anno. Mentre il governo Johnson ostenta sicurezza davanti ai dati pubblicati, il premier britannico deve fare i conti con una variante del Covid-19 estremamente contagiosa e un conto delle vittime causate dalla pandemia che ormai ha superato quota 100,000, con un numero di morti per milione di abitanti tragicamente elevato, secondo solo a Belgio e Repubblica Ceca in Europa. D’altro canto, la campagna vaccinale nel regno di Sua Maestà procede spedita e Downing Street promette di mantenere questo ritmo, se non addirittura accelerare, fino al completamento. Una campagna vaccinale che, proprio come l’intero sistema sanitario nazionale, si affida in maniera sostanziale proprio agli immigrati spesso osteggiati dai Tory di Boris Johnson. Gli stessi immigrati che costituiscono una componente indispensabile al fine di evitare il collasso dell’NHS, un servizio passato dall’essere un’eccellenza nazionale, ad oggetto di tagli indiscriminati da parte di quasi tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni. Sembra passato un secolo dalla campagna pre-referendum in cui UKIP prometteva di riprendersi i soldi ingiustamente inviati annualmente ai burocrati di Bruxelles, per reinvestirli a favore del servizio sanitario. Cinque anni dopo quel referendum, ciò che rimane è un sistema in profonda difficoltà, nel quale il 13.8% del personale sanitario sottopagato è di origine straniera, per la maggior parte rappresentata da figli e nipoti di immigrati indiani e filippini, anche loro tra quegli invasori che, secondo Nigel Farage, avrebbero mirato a rimpiazzare il popolo inglese. Oggi, dopo aver cambiato ufficialmente il nome del suo partito in Reform UK, Farage appare solo sporadicamente in televisione, e i celebri autobus a due piani usati per pubblicizzare gli slogan anti-Ue sono stati fatti sparire. L’emergenza sanitaria, al contrario, rimane più presente che mai.
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