Stefano Ceretto, Elections Hub
La salita al potere di Abiy Ahmed nel 2018 aveva portato grandi speranze sul futuro dell’Etiopia, un Paese martoriato dai conflitti e dall’instabilità politica, in un’area geografica incapace di superare le divisioni. La fine delle tensioni con l’Eritrea, conseguente all’accordo sui confini tra i due Paesi, aveva garantito un miglioramento delle condizioni sociali, nonché il plauso della comunità internazionale per le capacità espresse dal leader etiope. Nell’agosto del 2020 si sarebbero dovute tenere le elezioni generali in Etiopia che, nelle intenzioni del Primo Ministro, avrebbero garantito stabilità politica e rafforzato il potere del governo federale sul territorio. La pandemia e i notevoli problemi logistici hanno causato l’impossibilità, secondo le organizzazioni governative, di tenere le elezioni, con grande disappunto sulle reali intenzioni di Abiy Ahmed. Dopo un primo rinvio a maggio 2021, il National Electoral Board of Ethiopia, incaricato di gestire il processo elettorale, ha dovuto nuovamente posticipare la data delle elezioni. Il 21 giugno risulta quindi essere fondamentale per portare a termine il tanto atteso evento politico. Nei fatti però non porterà a nessun cambiamento sostanziale, né tantomeno a una resa dei conti tra i differenti partiti che negli anni si sono scontrati per la leadership politica. In quest’ultimo anno, infatti, l’Etiopia è stata terreno di scontro tra i molti gruppi etnici del Paese, che combattono fra di loro per divisioni storiche. Dopo una breve fase illusoria, in cui i gruppi politici sembravano collaborare, il rinvio delle elezioni ha fatto traboccare il vaso e provocato una guerra tuttora in corso nella regione settentrionale del Tigray. Lo scoppio del conflitto è avvenuto nel novembre del 2020 quando il governo regionale nel nord del Paese, controllato dal Tigray People’s Liberation Front (TPLF), aveva indetto le elezioni sul proprio territorio, nonostante il posticipo imposto da Addis Abeba. L’escalation è stata rapida e ha visto in primo luogo il governo federale tagliare le risorse impiegate nel Tigray, successivamente ha risposto agli attacchi dei gruppi armati legati al TPLF. Dopo mesi di scontri, violenze sessuali e carestia, l’area settentrionale dell’Etiopia è stremata dalla situazione: l’80% dei raccolti è stato distrutto dai belligeranti, su 6 milioni di abitanti 5,2 di questi necessitano aiuto umanitario immediato, mentre oltre un milione di persone vive in condizioni di grave insicurezza alimentare. Il conflitto in atto è prima di tutto politico e vede il governo centrale combattere contro una parte della leadership politica legata alla storica divisione del potere in Etiopia, in cui i partiti e le amministrazioni regionali sono divisi su base etnica. Nel 2019 Abiy Ahmed aveva dato vita al Prosperity Party, una grossa coalizione di unità nazionale comprendente quasi tutti i grandi partiti del Paese, eccetto il TPLF. Il Primo Ministro etiope vorrebbe ridurre il potere dei gruppi etnici nei governi regionali e la loro autonomia, mentre l’élite politica tigrina rivendica il forte senso identitario del proprio popolo. Sin dalla fine della dittatura di Menghistu negli anni ‘90, il TPLF era sempre riuscito ad avere un ruolo di primo piano nel processo decisionale del Paese, andando così a eleggere il Primo Ministro nonostante l’etnia tigrina fosse numericamente in minoranza rispetto ad altri gruppi etnici. Una parte del TPLF inoltre è da sempre favorevole alla secessione del Tigray e all’annessione di una parte dell’Eritrea e di alcuni territori delle altre regioni etiopi. In Africa, come in altri contesti, parlare di divisione territoriale su base etnica è sempre molto complesso. L’Etiopia non è da meno, infatti a fronte di oltre 80 gruppi etnici tutte le regioni sono controllate per lo più dalle etnie maggioritarie nel singolo territorio, senza quindi rappresentare a pieno la composizione sociale del Paese. Lo scontro è frutto di un sistema politico incapace di superare le divisioni storiche tra differenti etnie e, come spesso accade, il prezzo più alto sarà pagato da tutta la popolazione. La pandemia ha facilitato la crisi politica che, secondo alcune stime, potrebbe causare uno stato di emergenza diffuso in tutta l’Etiopia con 13 milioni di persone in emergenza umanitaria. In generale si assiste a un’elezione il cui risultato non porterà a nessun cambiamento, con il rischio di danneggiare ulteriormente la coesione sociale del Paese. I 37 milioni di elettori registrati potranno vedere i risultati dopo una ventina di giorni anche se incompleti, in quanto, dei 547 collegi elettorali, 78 non partecipano alla tornata elettorale per via dei conflitti in atto o per problemi organizzativi. L’elezione inoltre è stata boicottata da diversi partiti, tra cui l’OLF e l’OFC e i gruppi politici dell’Oromia, la regione più popolosa dell’Etiopia. Molti politici e attivisti sono stati arrestati con accuse di terrorismo, mentre tra i candidati che sono riusciti a presentarsi nessun sembra esse in grado di sfidare Ahmed. La tornata elettorale oramai non sembra portare grosse sorprese, tanto che l’Unione Europea ha richiamato la missione inviata a testimoniare il corretto svolgimento delle elezioni, a causa della mancanza di trasparenza da parte del governo etiope. In questo clima di repressione è oramai chiaro il fallimento della politica di Abiy Ahmed e l’incapacità del governo etiope di garantire il corretto svolgimento delle elezioni. Quello che doveva essere un periodo di rinascita per il popolo etiope sarà l’ennesima occasione persa per un futuro migliore, nonché una sconfitta politica di Abiy Ahmed. In questo grave contesto le altre nazioni hanno mostrato un limitato interesse nella situazione. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno però fornito risorse economiche importanti, l’agenzia americana per lo sviluppo internazionale ha donato dall’inizio del conflitto quasi mezzo miliardo di dollari in aiuti umanitari. Cifre minori, ma comunque utili, sono state erogate da Bruxelles, in aggiunta ai 20 milioni di euro per supportare lo svolgimento delle elezioni generali. A fronte dei limiti della comunità internazionale nell’utilizzo di strumenti politici efficaci, solo la classe politica etiope potrà risollevare le sorti del Paese, l’atteggiamento tenuto da Abiy Ahmed negli ultimi mesi però lascia poche speranze. Il risultato di queste lezioni, qualunque esso sia, non sarà una vittoria per la democrazia. Bibliografia:
|
|