a cura di Elisa Cecchini La Russia di Vladimir Putin si sente accerchiata e minacciata alla sua sicurezza, dopo aver ceduto, negli scorsi decenni, la propria influenza in aree di interesse geopolitico di enorme valore. Da mesi ormai le attenzioni della politica internazionale sono rivolte verso l’Europa orientale, in cui è in atto la più grande crisi dai tempi della Guerra Fredda. Dalla primavera dello scorso anno, la Russia ha iniziato a muovere le truppe concentrandole al confine con l’Ucraina, inviando progressivamente forze armate in Bielorussia e dispiegando la sua flotta militare nel Mar Nero, ufficialmente per esercitazioni. Questi movimenti di forze armate hanno causato tensioni con l’Occidente, preoccupato per un’imminente invasione dell’Ucraina. Bisogna però fare un passo indietro per capire la crisi attuale, a quando la Guerra Fredda stava per giungere alla sua conclusione. Da più di due decenni, la Russia sostiene che durante i negoziati sulla riunificazione tedesca del 1990, gli Stati Uniti avessero promesso che la NATO non si sarebbe espansa verso l’Europa orientale. Gli Stati Uniti hanno sempre negato che ciò sia accaduto, ma su un punto gli studiosi occidentali concordano: il 9 febbraio 1990, il Segretario di stato americano James Barker rassicurò Gorbachev e Eduard Shevardnadze, Ministro degli esteri sovietico, sul fatto che non ci sarebbe stato nessun allargamento dell’Alleanza verso est, “nemmeno di un centimetro”. Invece la NATO è stata rafforzata, allargandosi di almeno mille chilometri verso est: In passato aveva solo una piccola frontiera con la Russia, all’estremo nord della Norvegia, oggi invece l’Alleanza comprende sette stati dell’ex Patto di Varsavia, più le tre repubbliche baltiche. Negli anni Novanta, La Russia indebolita di Boris Eltsin non riuscì a contrastare questo progetto d’allargamento dell’Alleanza. Il punto di svolta arrivò nel 2007, con il celebre discorso di Putin alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza, che segnò la progressiva rotta che avrebbero preso le relazioni della Russia con gli Stati Uniti e la NATO. In quel discorso, Putin espresse con forza la sua opposizione all’ordine internazionale sorto dalle macerie della Guerra Fredda, a guida statunitense, e al mancato rispetto della parola data di quest’ultimo, permettendo l’allargamento a est dell’Alleanza. Durante il summit della NATO di Bucarest dell’anno successivo, nonostante le perplessità di una parte della “vecchia Europa”, sotto pressione americana, si dichiarò che l’Ucraina e la Georgia sarebbero entrati nell’Alleanza in tempi e modalità da definire. Mosca rispose che nel caso in cui Kiev e Tbilisi fossero entrati nella NATO, si sarebbe trovata costretta a compiere “passi concreti per difendere i propri interessi” prendendo misure a tutela della propria sicurezza, “anche di carattere militare”. Il discorso di Putin a Monaco ha segnato la fine del ruolo modesto che la Russia ha giocato nei decenni post-Guerra Fredda; quel ruolo, infatti, è stato completamente messo da parte con la crisi ucraina del 2013 culminata con l’occupazione e l’annessione della Crimea. Le tensioni militari odierne sono solo l’atto più recente del conflitto ucraino che ormai perdura da otto anni. Nel novembre 2013, le proteste di Euromaidan a Kiev portarono alla deposizione del leader filorusso Viktor Janukovyc, all’indomani della sospensione dell’accordo di associazione che costituiva una zona di libero scambio (DCFTA), tra Ucraina e Unione europea. Le contro-proteste scoppiate nelle regioni orientali dell’Ucraina a maggioranza russofona, secondo alcuni fomentate dal Cremlino, portarono Mosca a volgersi verso due principali teatri geopolitici ucraini. Il primo fu quello della Crimea, che nel 1954 fu regalata all’Ucraina dall’allora Segretario del partito comunista Nikita Crushchev in occasione del tredicesimo anniversario degli accordi di Pereyaslav. Nel 2014, con l’appoggio unanime del Consiglio della Federazione Russa, Mosca occupò la penisola e indette un referendum sull’autodeterminazione della Crimea, illegittimo per la comunità internazionale, a cui seguì l’annessione alla Federazione Russa. Il secondo teatro verso cui si volse Mosca, fu la regione filorussa del Donbass, la cui secessione portò a compimento la vocazione indipendentista di Donec’k e Luhans’k. Questo diede inizio al conflitto territoriale tra le repubbliche separatiste, appoggiate da Mosca, e il governo centrale ucraino. Il presidente russo Putin ha tratto vantaggio dalle tensioni tra le forze governative e separatiste del sud-est ucraino, che gli hanno permesso di rafforzare la propria posizione nella regione e di usare il momento per regolare i conti in sospeso con la NATO. Nell’aprile 2021, secondo le dichiarazioni di Jospeh Borell, Alto rappresentante dell’Unione europea, almeno 150000 soldati russi sono stati dispiegati in una esercitazione militare al confine ucraino. Negli scorsi mesi il progressivo accumulo di truppe al confine ha fatto accrescere i sospetti dell’Occidente su una possibile azione militare. Ma quello che vuole Mosca sono garanzie di limitazioni delle azioni NATO: a dicembre sono state presentate due bozze che contenevano richieste di “garanzie di sicurezza” indirizzate agli Stati Uniti e alla NATO. Mosca chiede un consistente arretramento della NATO, portando le forze dell’Alleanza nella posizione del 1997, e la creazione di una sfera d’influenza russa in Europa orientale, nel Caucaso e nell’Asia Centrale, in pratica nell’ex spazio sovietico. In particolare, la NATO non sarebbe solo obbligata a escludere ulteriori espansioni, ma anche a rinunciare a qualsiasi cooperazione militare con l’Ucraina. Inoltre, la NATO non potrebbe schierare truppe o armamenti in Europa orientale, e sarebbe quindi costretta a ritirare il piccolo contingente dispiegato in Polonia e negli stati baltici a seguito dell’invasione russa della Crimea. La via diplomatica e di dialogo non ha prodotto passi concreti verso una soluzione della crisi ucraina come si è visto dall’incontro bilaterale russo-statunitense svoltosi a Ginevra e quello successivo tra Russia e NATO a Bruxelles. I vertici dell’Alleanza però si sono detti disponibili a discutere nuovi limiti sui missili e sulle esercitazioni militari in Europa. La situazione però non si è acquietata, anzi, in seguito all’annunciata esercitazione congiunta “Allied Resolve” tra Russia e Bielorussia, che ha alimentato le preoccupazioni di Kiev circa una possibile invasione via Bielorussia, si è aggiunto l’allarmismo dell’intelligence statunitense, secondo cui un’invasione russa era ormai imminente. La Casa Bianca pur avendo pubblicamente dichiarato di non essere sicura che la decisione fosse stata presa, han ribadito che la strada del dialogo con Mosca rimane aperta. Questa svolta nel conflitto in corso ha portato a una improvvisa e violenta escalation. Gli Stati Uniti hanno evacuato gran parte del corpo diplomatico presente a Kiev, annunciando la sospensione di tutti i servizi consolari. I paesi dell’Ue hanno mantenuto una linea più morbida, consigliando ai propri cittadini in Ucraina, il ritorno in patria tramite vie commerciali, lasciando comunque aperte ambasciate e sedi consolari. Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha invitato a mantenere la calma, non essendoci nessuna prova fondata pervenuta al governo ucraino in merito ad un attacco imminente. L’Occidente non ha però accolto questa richiesta e i media statunitensi hanno continuato quella che è a tutti gli effetti un’offensiva mediatica. Con la decisione del 21 febbraio di riconoscere le due repubbliche separatiste, la Russia ha ordinato alle proprie truppe di entrare nei territori contesi per proteggere le popolazioni russofone, aprendo la strada a possibili scontri con le forze ucraine, con lo spettro di un conflitto su larga scala dietro l’angolo che si manifesta in maniera sempre più evidente. A prescindere dalla conclusione della vicenda, l’odierna crisi ucraina ha già sostanzialmente modificato gli equilibri internazionali in maniera determinante.
|
|