a cura di Daniele Congedi L’emergenza sanitaria mondiale scaturita dalla repentina diffusione del Covid-19 ha avuto (e sta avendo) delle pesanti ripercussioni sui sistemi economici a livello internazionale. Dopo qualche affanno iniziale l’Unione europea ha deciso di approntare delle ingenti misure per sopperire al crollo degli indicatori macroeconomici. In questo senso, la novità più rilevante è rintracciabile nella circostanza per cui sia venuto meno, almeno temporaneamente, quel dogma che ha da sempre accompagnato il cammino dell’integrazione europea, ovvero il divieto di contrarre debito in nome e per conto dell’Unione, quei tanto prospettati “eurobond” di sovente ritrovati nelle pagine dei giornali. A tal fine è stato presentato lo scorso aprile il “Next Generation EU”, un fondo da 750 miliardi di euro – di cui circa 390 miliardi di euro di prestiti e 360 miliardi di euro di finanziamenti a fondo perduto – che si presuppone l’obiettivo di guidare la transizione verso una società più verde e digitale, a misura delle prossime generazioni di cittadini europei. I capitali, raccolti sui mercati finanziari tramite dei prestiti sottoscritti dall’Unione europea (nello specifico dalla Commissione europea), dovranno essere impegnati entro il 2023, spesi entro il 2026 e restituiti, relativamente alla quota dei prestiti, dal 2027. Per ricevere le sovvenzioni, suddivise tra gli Stati membri in virtù di precisi criteri, i governi europei dovranno far pervenire a Bruxelles i propri piani entro il 30 aprile 2021, dettagliando accuratamente i programmi di spesa e di riforma sulla base delle indicazioni generali e delle raccomandazioni specifiche puntualmente rivolte dall'Unione europea ai singoli Paesi. L’ammontare di denaro reso disponibile attraverso il “Next Generation EU” dovrà essere distribuito in cinque macrosettori: coesione e competitività economica, coesione sociale e territoriale, istruzione e formazione, oltre ai già citati investimenti ambientali e digitali, i quali saranno fissati, rispettivamente, ad almeno il 37% e ad almeno il 20% del totale delle risorse destinate a ogni Stato membro. Le versioni finali dei piani nazionali saranno poi vagliate dalla Commissione europea in un termine massimo di due mesi dalla loro presentazione. Entro 4 settimane tale valutazione dovrà essere approvata dal Consiglio (nella sua formulazione composta dai 27 ministri dell’Economia, denominata Ecofin) a maggioranza qualificata, un sistema di votazione che prevede il raggiungimento di almeno il 55% degli Stati che rappresentino almeno il 65% del totale della popolazione dell’Unione europea. Oltre al costante monitoraggio che la Commissione eserciterà nelle diverse fasi di attuazione dei programmi – i cui esiti influiranno sull’elargizione o meno delle somme di denaro prefissate – e alle approvazioni in seno al Consiglio, gli Stati si sono riservati (in casi eccezionali) la facoltà di azionare il cosiddetto “freno di emergenza” nei riguardi degli altri Paesi, in modo da poter controllare la condotta dei propri partner e prevenire gli abusi. Risolte diverse criticità, incluso il veto di Ungheria e Polonia relativo al rispetto dello stato di diritto, il “Next Generation EU” richiede ancora ulteriori passaggi chiave per entrare in vigore, non da ultimo l’imprescindibile ratifica sulle risorse proprie da parte di ciascun parlamento nazionale, in conformità alle rispettive norme costituzionali. Premesso che l’iter di presentazione e approvazione dei programmi statali richiederà di esplicare, nei prossimi mesi, i diversi step di cui sopra, l’invito delle istituzioni europee è di anticipare il prima possibile l’invio del piano definitivo per poter avviare un dialogo con la Commissione europea, dando modo di accedere alla prima parte dei finanziamenti, pari al 13% dell'importo complessivo (circa 27 miliardi nel caso dell’Italia), tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate del 2021. In questi giorni, mentre la maggior parte delle cancellerie europee è in grande fibrillazione, alcuni Stati sono già a buon punto nel limare i propri testi. La Spagna ha presentato il proprio piano a ottobre e fonti qualificate hanno confermato che è l’unico grande Paese dell’Unione (insieme a Grecia, Ungheria, Bulgaria, Portogallo, Slovenia e Repubblica Ceca) ad aver consegnato una bozza finale dopo le proficue trattative con Bruxelles. Risulta essere in fase di negoziato con la Commissione europea la Francia, la quale era partita prima di tutti, a settembre, con un documento molto dettagliato da 100 miliardi di euro (parte di un’iniziativa più ampia da 470 miliardi di euro) che affida al Ministro dell'Economia, Bruno Le Maire, il compito di gestire il procedimento nella sua interezza. La versione finale del piano di recovery francese è prevista entro il mese di gennaio. Dal canto suo, la Germania ha approvato il 16 dicembre 2020 la sua proposta di piano indirizzandola alla Commissione europea. Si tratta di circa 25 miliardi di euro che saranno utilizzati dai tedeschi per finanziare misure già decise nella legge di bilancio. Quanto all’Italia, in seguito alla pubblicazione delle linee guida generiche in settembre, il Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2021 ha approvato la proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza (mitigando, in parte, il ritardo fin qui accumulato), che sarà esaminata dalle due camere della Repubblica. Allo stato attuale il documento circolante (non definitivo) vale 222 miliardi di euro, di cui 196 miliardi dal “Recovery and Resilience Facility”, lo strumento principale del “Next Generation EU”, e i restanti derivanti dall’utilizzo di altri fondi europei, come quelli di coesione. Le cifre per le diverse voci di spesa sono così ripartite: 68 miliardi per la “rivoluzione verde”, 37 miliardi per la digitalizzazione e la cultura, 32 miliardi per le infrastrutture, 26 miliardi per l’istruzione e la ricerca, 21 miliardi per l’inclusione e la coesione e 19 miliardi per la sanità. Secondo il dicastero dell’Economia l’attuale bozza permetterebbe una crescita del Prodotto interno lordo (Pil) nel 2026, l’ultimo anno del piano, più alta di 3 punti percentuali rispetto allo scenario tendenziale di base. Nota dirimente di tutta la partita del “Next Generation EU” è la struttura di governance italiana, ossia chi sarà preposto a gestire le risorse e il modus operandi adottato, questione di cui ancora non v’è certezza. Proprio questo punto è stato il casus belli delle burrascose vicende che accompagnano da un mese la maggioranza giallo-rossa e che stanno rendendo ancora più complicata la gestazione dello stesso piano. Se la crisi politica interna all’esecutivo non trovasse una sua repentina conclusione (di qualsiasi tipologia) l’intera impalcatura della ripresa italiana rischierebbe di restare impantanata per tanto tempo, innescando un circolo vizioso per il Sistema-Paese da cui non sarebbe agevole venir fuori. Incertezze di tal calibro non farebbero altro che evidenziare, per l’ennesima volta, le canoniche difficoltà nostrane nel saper impiegare correttamente, e in tempi celeri, le risorse europee. ![]()
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