a cura di Ludovica Radici Giovedì 14 ottobre 2021, Beirut si è trovata al centro di uno scontro a fuoco come non accadeva dai tempi della guerra civile libanese, con almeno sei morti e diverse decine di feriti. Prima di questa escalation di violenza, nella capitale libanese stava iniziando una protesta contro il giudice incaricato di condurre un’inchiesta sull’esplosione del 4 agosto 2020, causata da 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio accatastate nel porto di Beirut senza alcuna misura di sicurezza, e senza che la classe politica del Paese, cosciente del pericolo che quel materiale costituiva per la sicurezza pubblica, facesse qualcosa per impedirlo. L’esplosione ha distrutto il porto di Beirut e causato più di 200 morti, aggravando la crisi economica che imperversa in Libano da quasi tre anni. Ad organizzare questa manifestazione sono stati i sostenitori di Hezbollah, partito sciita, che accusavano il giudice Tarek Bitar di portare avanti un’agenda politica atta a screditare loro e Amal, un’altra fazione sciita vicina ad Hezbollah, oltre che di essere una figura politica alla mercé degli Stati Uniti. Tarek Bitar era stato nominato come sostituto di Fadi Sawan, un magistrato a sua volta rimosso dall'incarico dopo aver incriminato per negligenza diverse cariche dello Stato, come l’ex ministro dei Lavori Pubblici, Youssef Fenianos, e l’ex primo ministro Hassan Diab, che si era formalmente dimesso dopo l’esplosione, ma che in realtà aveva mantenuto l'incarico fino allo scorso settembre. Erano stati incriminati da Fadi Sawan anche l’ex ministro delle Finanze, Ali Hassan Khalil, e l’ex titolare dei trasporti Ghazi Zeaïter. Poiché Khalil e Zeaïter erano deputati di Amal, questa decisione ha contribuito a ravvivare le tensioni settarie nel Paese, soprattutto dopo la bocciatura del ricorso che i due hanno fatto, accusando il giudice Sawan di mancata imparzialità. Nonostante la rimozione di Sawan, la tensione non si è placata, in quanto il giudice Bitar ha promesso di continuare il lavoro del suo predecessore, e, due giorni prima degli scontri, ha emesso un mandato di cattura in contumacia verso Khalil, con l’appoggio della Corte di Cassazione. L’esatta dinamica delle violenze del 14 ottobre è ancora difficile da ricostruire. Secondo la BBC, Hezbollah e Amal hanno accusato dei cecchini delle Forze Libanesi (FL), partito in prevalenza cristiano-maronita, di aver aperto il fuoco contro i manifestanti radunatisi pacificamente davanti al Palazzo di Giustizia di Beirut. Tuttavia FL ha negato questa versione, sostenendo di aver cominciato a sparare solo dopo che le violenze erano già cominciate. In ogni caso, gli scontri non hanno interessato solo cecchini e militari, ma anche i civili che abitavano nell’area circostante e che hanno raccontato di aver dovuto fuggire dalle loro case, o cercare di proteggersi riparandosi sotto i tavoli. Nonostante ciò, le sparatorie hanno causato decine di feriti, e una donna è stata uccisa dentro la sua casa da una pallottola vagante. Queste violenze sono avvenute in un momento molto delicato per il Libano, colpito da una crisi economica gravissima che ha messo il Paese completamente in ginocchio. Le prime avvisaglie di questa crisi si ravvisano nel 2018, quando il prezzo del petrolio aveva cominciato a calare e l’Arabia Saudita, che considera la vicinanza di Hezbollah all’Iran una minaccia per la sua sicurezza interna, aveva ritirato il suo sostegno alle istituzioni libanesi, costringendole così ad aumentare le tasse. Nell’anno successivo, ad ottobre 2019, il Libano attraversava una stagione di proteste di piazza che aveva minato l’ordine politico ed economico del Paese, con i manifestanti che si sono riversati in strada per esprimere il loro dissenso verso il governo di Hassan Diab, accademico vicino alla coalizione sostenuta da Hezbollah, ritenuto incapace di prestare ascolto alle richieste della popolazione. Negli ultimi anni, il sistema economico libanese ha mostrato le sue fragilità insite, acuite da un'eccessiva dominazione del settore bancario e dei settori immobiliari e dei servizi, vicini alla ripartizione partitica del Paese, che ha portato ad una sempre maggiore distribuzione di posti pubblici su base settario-partitica, a discapito di settori più produttivi, e ad un costante incremento del debito pubblico. In mancanza di una buona credibilità a livello interno e internazionale, dovuta alle proteste e all’inizio della stabilità interna nel 2019, ingenti capitali sono stati trasferiti fuori dal Libano, per paura che l’inflazione dilagante ne neutralizzasse il valore. In tutta risposta, le banche del Paese hanno limitato i prelievi agli sportelli, mentre la Banca centrale, che ha posto un cambio ufficiale di 1.500 lire libanesi per dollaro, ha in realtà supportato la creazione di scambi di valuta non ufficiali, dove per dollaro si arrivano a cambiare 20.000 lire libanesi. Inoltre, queste restrizioni sullo scambio di valute hanno colpito pesantemente la capacità di istituzioni e aziende di importare beni di primaria necessità, ad esempio medicinali e carburante. A questa già tragica situazione si aggiungono le recenti tensioni tra Arabia Saudita e Libano: i Paesi del Golfo, infatti, hanno giocato un ruolo essenziale nel fornire assistenza economica al Libano, ma, dopo alcuni commenti critici del Ministro dell’Informazione George Kordahi nei confronti del coinvolgimento saudita nella guerra civile in Yemen, ad inizio novembre l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi e il Bahrein hanno espulso gli ambasciatori libanesi dai loro Paesi, e il 5 novembre il Capo del Consiglio delle Camere saudite, ha scritto un post su Twitter dove invitava compagnie e privati a cessare i rapporti con il Libano. La messa al bando saudita dei prodotti libanesi è un’ulteriore mazzata all’economia di un Paese in ginocchio, il cui lustro dei primi 2000, recuperato faticosamente dopo quindici anni di guerra civile, è solo un lontano ricordo. Il governo insediatosi nella scorsa estate, per ora, non ha dato prova di saper gestire la situazione libanese, né di essere foriero di un cambiamento, ma bisogna mantenere la speranza che la situazione possa cambiare nei prossimi mesi, per il bene dei cittadini libanesi.
|
|