a cura di Simone Biggio Il 2020 è stato un anno di sfida dal punto di vista economico, politico e sociale per tutti i paesi del mondo. Nella lotta al virus alcuni Stati si sono dimostrati capaci di un’inaspettata resilienza, mentre altri hanno mostrato tutte le loro controversie e criticità. Grazie ai risultati ottenuti durante la prima ondata, l’Ungheria era stata annoverata tra quei Paesi che avevano saputo reagire con prontezza alla pandemia. La prima ondata era stata affrontata dal governo con un lockdown totale fino all’estate, che aveva effettivamente garantito all’Ungheria una delle ultime posizioni per contagi in tutta Europa, con un numero di casi inferiore ai 2000. La chiave di questa resilienza è stata identificata principalmente in una forte volontà politica del governo di contrastare il dilagare dell’epidemia, agendo senza esitazione anche quando la situazione non sembrava essere così grave. Tuttavia, la fermezza che il governo guidato da Viktor Orbàn ha impiegato è stata fortemente criticata per la sua natura antidemocratica. Infatti, il 30 marzo 2020 il Parlamento ungherese ha approvato un provvedimento che introduceva lo stato di emergenza nazionale a tempo indeterminato e la sospensione delle attività parlamentari e di eventuali future elezioni. Inoltre, il provvedimento conferiva pieni poteri all’esecutivo, autorizzato a governare tramite decreto, a sospendere l'applicazione di alcune leggi e ad introdurre altre misure eccezionali. Questa scelta politica è stata percepita come il conferimento di un potere pressoché illimitato al Primo Ministro Orbàn, a capo del partito di maggioranza Fidész, già tristemente famoso da anni per aver traghettato l’Ungheria verso una democrazia illiberale. Orbàn è stato accusato di sfruttare la pandemia come pretesto per accrescere il suo potere personale. Se da un lato, la promulgazione dello stato di emergenza ha permesso al governo di contrastare efficacemente la pandemia, dall’altro ha costituito un pretesto per continuare la destrutturazione del sistema democratico ungherese. Infatti, l’approvazione di alcune leggi poco attinenti con la lotta al coronavirus come quella contro la transizione di genere ha destato non poca preoccupazione: il 18 maggio il Parlamento ungherese ha approvato una legge che impedisce di cambiare l’indicazione del genere all’anagrafe e sui propri documenti, un provvedimento che de facto mette fine al riconoscimento legale delle persone transgender e intersex, cioè quelle i cui cromosomi sessuali, i genitali o i caratteri sessuali secondari non sono definibili come esclusivamente maschili o femminili. Nonostante l’iniziale successo nella gestione dell’emergenza Covid-19, tutti i successi riportati durante la prima ondata sono stati vanificati nella seconda. Infatti, con l’inizio dell’estate le restrizioni sono state progressivamente allentate e il 16 giugno lo stato di emergenza che conferiva pieni poteri al governo è stato revocato, placando le polemiche delle opposizioni e della comunità internazionale sull’accentramento del potere nelle mani di Orbàn. Durante tutta l’estate l’Ungheria ha potuto vantare la presenza di pochissimi casi sul territorio; alla fine di agosto si registravano 6139 positivi e 615 decessi su 10 milioni di abitanti. Nei mesi estivi il governo aveva varato un sistema di spostamenti internazionali per aree colorate, stilando tre liste di Paesi europei. Per le persone provenienti dai Paesi verdi era stata prevista libertà di movimento illimitata, per chi proveniva dai Paesi gialli era previsto l’obbligo di esibire due tamponature negative o di fare una quarantena di 14 giorni e per coloro provenienti dai Paesi rossi veniva vietato l’accesso con un’eccezione per i cittadini ungheresi. Dal 1° settembre, a causa di un aumento significativo dei nuovi contagi, l'Ungheria ha chiuso i confini a tutti coloro ai quali è stato fatto l’obbligo di quarantena o di esibizione di due test negativi presi a distanza di due giorni dal loro ritorno, esclusi cittadini e residenti. Tuttavia, questa eccezione è stata sorprendentemente estesa ai cittadini dei paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia). Nel frattempo, il governo ungherese si è concentrato sulle misure di politica economica atte a mitigare l’impatto negativo della pandemia e a riportare l’economia in una traiettoria di crescita. Sono state individuate sette aree di interesse per la nuova politica economica: l'edilizia abitativa, la demografia, l'estensione della moratoria sui prestiti, lo stimolo degli investimenti (sovvenzioni statali non rimborsabili, tagli fiscali e programmi di capitale, prestito e garanzia), aumento delle capacità di finanziamento di speciali istituzioni finanziarie statali, utilizzo dei fondi Ue in modo efficiente e continuazione della strategia di spesa. Nel frattempo, l’Ungheria risultava come il terzo paese dell’Unione europea economicamente più colpito dopo Spagna e Croazia, con una contrazione del PIL del 14,5% rispetto al trimestre precedente su un calo medio dell’11,4% registrato dagli altri Stati membri. L’11 novembre il governo ha deciso l’imposizione di un “lockdown light” che si è protratto finora, caratterizzato da restrizioni piuttosto comuni in tutti i paesi dell’Unione come il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 05 del giorno successivo, la didattica a distanza, la chiusura di locali con possibilità di asporto, la chiusura dei negozi alle ore 19.00 e la chiusura di teatri, cinema, palestre, piscine. Inoltre, il Parlamento ha ripristinato lo stato di emergenza questa volta per un tempo determinato di 90 giorni. La principale differenza della seconda ondata è stata la sua diffusione non solo a Budapest ma anche nel resto del paese. Con il nuovo anno tutti i paesi del mondo hanno iniziato a sperare nelle nuove sperimentazioni per i vaccini contro il Covid-19. L’Ungheria non è stata da meno, attuando una politica vaccinale su due fronti: da un lato, in quanto paese membro dell’Unione europea, sta beneficiando degli aiuti della comunità europea; dall’altro il governo si è lamentato dell’inefficienza e dei ritardi della campagna di vaccinazione europea e con questa motivazione ha avviato trattative bilaterali con la Russia e la Cina per l’inoculazione dei rispettivi vaccini, non ancora approvati dall’Agenzia Europea del Farmaco. A fine gennaio, Budapest ha siglato un accordo per la fornitura di 2 milioni di dosi del vaccino russo Sputnik. Una settimana dopo, l’Ungheria è diventato il primo paese membro dell’Unione europea ad approvare il vaccino cinese. L’Istituto Nazionale del Farmaco ha concesso l’autorizzazione a Sinopharm, uno dei due vaccini sviluppati dalla Cina. Il primo ministro Orbàn ha dichiarato che “i cinesi hanno avuto una lunga esperienza con questo virus e quindi probabilmente sono i più informati”. Tuttavia, secondo gli ultimi studi, Sinopharm avrebbe un tasso di efficacia del 79%, più basso rispetto ai vaccini Pfizer e Moderna. L’Ungheria attua ancora una volta una politica di convenienza nei confronti dell’Unione europea, beneficiando degli aspetti positivi ma sottraendosi nei momenti di difficoltà, in cui i Paesi membri dovrebbero essere solidali l’uno con l’altro e fare fronte comune.
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