a cura di Riccardo Allegri Nella giornata del 9 gennaio 2021 si è consumato quello che parrebbe essere l’ultimo atto dell’interminabile confronto tra l’amministrazione statunitense guidata dal Presidente uscente Donald Trump e la Cina. In una nota pubblicata sul sito del Dipartimento di Stato, il titolare del dicastero, Mike Pompeo, ha eliminato quelle che ha definito “restrizioni auto-imposte” nei rapporti diplomatici tra Washington e Taipei. Il provvedimento, che potrebbe rappresentare il colpo di coda dell’Amministrazione Trump, va a toccare uno degli argomenti più spinosi nelle relazioni tra gli Stati Uniti e la Cina e si pone in aperto contrasto con le politiche adottate da tutti i governi precedenti. Dal 1979, infatti, gli USA hanno seguito i dettami di quella che viene definita la “One China Policy”, riconoscendo la piena legittimità della Cina comunista. Si trattò di un deciso cambio di rotta rispetto alle politiche precedentemente perseguite a Washington. Per lungo tempo, del resto, la Casa Bianca aveva intrattenuto relazioni diplomatiche ufficiali soltanto con la Cina nazionalista insediatasi a Taiwan nel 1949, dopo la sconfitta nella guerra civile. I rapporti con il governo di Taipei erano regolati dal “Taiwan Relations Act”, anch’esso risalente al 1979. Tale provvedimento garantiva a Taiwan la possibilità di continuare a ricevere armamenti dagli Stati Uniti, cosa questa che ha contribuito alla sopravvivenza stessa del governo di Taipei, ma non consentiva il mantenimento di rapporti diplomatici ufficiali tra i due paesi. Gli USA riconoscevano le rivendicazioni territoriali di Pechino rispetto all’isola, sebbene non le sostenessero. Taipei era dunque considerata un’entità sovrana sub-statale equivalente ad un paese straniero. Per questo motivo, le relazioni diplomatiche de facto furono mantenute, sebbene tramite meccanismi informali. Sull’isola è presente l’American Institute in Taiwan (AIT) che, sebbene non nominalmente, svolge in tutto e per tutto le funzioni di un’ambasciata. I diplomatici dei due paesi, però, non hanno mai potuto incontrarsi in sedi ufficiali ed i negoziati tra le parti sono raramente condotti ad alto livello. Sono queste le “restrizioni auto-imposte” a cui il Segretario di Stato Pompeo ha fatto riferimento. Le sue parole non sono del tutto inaspettate, considerando l’antagonismo che ha caratterizzato le relazioni tra USA e Cina durante gli anni della presidenza Trump e lo sviluppo delle rapporti tra il suo governo e Taiwan. Nei giorni immediatamente successivi alla sua vittoria nelle elezioni del 2016, il Tycoon aveva accettato di rispondere alla chiamata del premier taiwanese Tsai che intendeva congratularsi per il risultato raggiunto nella contesa elettorale. Già questo era stato visto come un affronto dalle autorità di Pechino. Nel 2020 il Segretario alla Salute Alex Azar si era recato in visita a Taipei, ove il contrasto alla diffusione del coronavirus era stato efficacissimo nonostante la vicinanza dell’isola all’epicentro della pandemia globale. Era la prima visita di un rappresentante del governo americano di così alto livello da moltissimi anni. La Cina, che non aveva apprezzato la cosa, aveva fatto sorvolare l’isola da due dei propri caccia, in segno di minacciosa e sdegnata protesta. L’ira di Pechino è montata ulteriormente l’8 di gennaio 2021, quando lo stesso Mike Pompeo ha dichiarato che l’ambasciatore americano alle Nazioni Unite, Kelly Craft, avrebbe raggiunto Taiwan per una visita della durata di tre giorni avente lo scopo di promuovere la partecipazione di Taipei nelle principali organizzazioni internazionali. Non bisogna dimenticare, infatti, che Taiwan non è più parte dell’ONU dal 1971, quando il suo posto fu preso dalla Cina comunista. Quest’ultima, dal canto suo, ha sempre profuso enormi sforzi per impedire al governo di Taipei di prendere parte ai lavori delle organizzazioni internazionali. Basti pensare al veto imposto da Pechino rispetto all’ingresso di Taiwan nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche in un periodo di pandemia globale come quello attuale. È dunque comprensibile come la programmata visita di Craft abbia potuto scaldare gli animi dei dirigenti del Partito Comunista Cinese. I portavoce del governo hanno infatti duramente condannato tale iniziativa diplomatica, minacciando inoltre una rappresaglia molto pesante. Per il momento, invece, le autorità cinesi non hanno ufficialmente commentato il recente provvedimento di Pompeo volto ad instaurare normali rapporti diplomatici con Taiwan. È altamente probabile che, a poco meno di due settimane dall’insediamento della nuova amministrazione statunitense guidata dal democratico Joe Biden, Pechino non abbia voluto peggiorare ulteriormente le relazioni con Washington. La Cina, del resto, ha sostenuto la candidatura dello stesso Biden, tentando perfino di interferire in suo favore con il processo elettorale americano. La postura del Presidente-eletto nei confronti del governo di Pechino è decisamente meno antagonistica rispetto a quella del suo predecessore Donald Trump. Egli ha persino definito la guerra commerciale in atto tra i due paesi come controproducente, facendo presagire la possibilità di un alleggerimento della tensione, almeno in campo economico. Inoltre, un membro dell’entourage di Biden ha dichiarato al New York Times l’intenzione di quest’ultimo di conformare le proprie politiche ai provvedimenti del “Taiwan Relations Act” nel pieno rispetto della “One China Policy”. Dunque, per ora, la reazione della Cina è stata affidata soltanto agli organi di stampa collegati al partito, i quali hanno fortemente criticato le parole di Pompeo. L’operato del Segretario di Stato è stato addirittura definito folle. Per quanto riguarda Taiwan, i rappresentanti del governo di Taipei si sono dimostrati entusiasti del provvedimento. Il Ministro degli Esteri Joseph Wu ha espresso via Twitter tutta la propria gratitudine nei confronti di Washington e l’organo che svolge le funzioni di ambasciata taiwanese negli Stati Uniti, il Taipei Economic and Cultural Representative Office, ha sottolineato come l’operato dell’amministrazione Trump abbia migliorato ed approfondito le relazioni tra i due paesi. La mossa di Pompeo, però, ha anche importanti ripercussioni interne. Secondo alcuni analisti, essa si inserirebbe in quella che è l’eredità che Donald Trump vorrebbe lasciare al suo successore. In effetti sono numerosi i funzionari con idee anti-cinesi nominati dal Tycoon. Essi manterranno i rispettivi ruoli anche con la nuova amministrazione, rendendo più difficile il processo di allentamento della tensione tra le parti. In aggiunta, il provvedimento di Pompeo potrebbe rivelarsi una trappola per Joe Biden. Infatti, qualora egli dovesse abrogarlo, apparirebbe debole nei confronti di Pechino di fronte al popolo americano. Se invece dovesse mantenerlo, le relazioni tra USA e Cina potrebbero davvero peggiorare irrimediabilmente, vista l’importanza rivestita dalla questione per il governo cinese. Oltre ad avvelenare i rapporti che intercorrono tra Pechino e Washington, Taiwan rischia dunque di trasformarsi nel nuovo fronte caldo della politica interna statunitense.
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