a cura di Gianmarco Italia A vent’anni dalla Direttiva 2000/31 CE sul commercio elettronico, il 15 dicembre la Commissione UE ha presentato il Digital Services Act (DSA) ed il Digital Market Act (DMA): capisaldi di un ambizioso pacchetto normativo che risponde alle sfide di un mercato in continua evoluzione con un rinnovamento dell’infrastruttura digitale dell’Unione Europea. La proposta congiunta segue la consueta trafila di studi d’impatto e consultazioni con gli stakeholders, ed è ora al vaglio del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea. Considerata la necessità di bilanciare gli interessi comunitari con quelli dei mastodonti delle piattaforme digitali, è pacifico attendersi un percorso di gestazione legislativa tutt’altro che agevole. Allo stesso tempo, in sede di presentazione, i Commissari Margrethe Vestager (Concorrenza e Digitale) e Thierry Breton (Mercato Interno) hanno chiarito che ambedue le misure mirano a garantire una vasta gamma di prodotti e servizi sicuri online e ad assicurare regole del gioco eque, competitive e pro-innovazione, in grado di tutelare le imprese operanti nel mercato unico da fenomeni di distorsione della concorrenza. Al fine di garantire un’analisi più accurata, è necessario inquadrare le misure separatamente. Digital Services Act In linea generale, il DSA è volto a regolamentare le attività dei fornitori di servizi digitali che agiscono da intermediari nel mercato unico, connettendo di fatto il consumatore finale a beni, servizi, e contenuti forniti da società terze. In sostanza, la Commissione mira ad assicurare il rispetto dei diritti fondamentali degli utenti stabilendo un regime di responsabilità chiaro ed azionabile per la gestione di contenuti illegali, entrando in rotta di collisione col principio di esonero della responsabilità dei fornitori di servizi online sancito dalla Direttiva 2000/31 CE. La bozza riporta esplicitamente alcuni contenuti illegali, come l’incitamento all’odio, gli abusi sessuali su minori e l’utilizzo non autorizzato di materiale coperto da diritti d’autore, ma lascia alle precedenti normative nazionali ed UE il compito di definirli, costringendo le policy di moderazione degli intermediari entro i confini legislativi dettati dagli stati membri. Il regime delineato dal DSA si applica a diversi soggetti, tra cui piattaforme e mercati online, prescrivendo obblighi di responsabilità e due diligence proporzionali all’incidenza dei fornitori di servizi digitali nelle dinamiche del mercato unico. La scelta di imporre oneri più gravosi a capo delle LOPS (large online platforms), individuate come quelle che erogano servizi a più di 45 milioni di persone, configura il DSA come uno strumento politico teso ad assicurare un’estesa libertà di parola ed informazione in rete, che per natura impone requisiti normativi più stringenti ai gatekeepers del mercato dei dati, ossia alle aziende in posizione dominante. Per quanto concerne l’ambito di applicazione, le norme del DSA disciplinano i servizi digitali nel mercato unico UE senza alcuna limitazione, estendendosi anche agli intermediari online stabiliti al di fuori dell’Unione europea che offrono i loro servizi nel mercato unico digitale. In ossequio ad una filosofia antitrust, il pacchetto sui servizi richiede agli intermediari l’ottemperanza a criteri ex ante (prevenzione di fenomeni anticoncorrenziali) ed ex post (ripristino della concorrenza). Dal lato della personalizzazione dell’esperienza digitale, Il DSA impone agli intermediari di comunicare agli utenti in modo trasparente le modalità con cui le piattaforme erogano i servizi di pubblicità online, incluse informazioni specifiche sugli algoritmi di profilazione ed i meccanismi che regolano i contenuti raccomandati. Le garanzie a tutela degli utenti, e di rimando, i limiti d’azione imposti alle piattaforme gestite dagli intermediari, contemplano anche il diritto di opt-out dalla pubblicità personalizzata e il diritto di informazione su chi finanzia gli annunci. Inoltre, stando alla bozza presentata dalla Commissione, il DSA impone nuove procedure di rimozione di contenuti illeciti alle piattaforme operanti nel mercato unico, che prevedono peraltro meccanismi d’assunzione di responsabilità in caso di inerzia e sanzioni pecuniarie. In ultimo, il pacchetto sui servizi digitale richiede alle piattaforme di approntare un sistema di salvaguardie azionabile dagli utenti per contestare le decisioni di moderazione e meccanismi di rimozione che premiano gli utenti che, sulla scorta di numerose segnalazioni, si dimostrano affidabili. Sul versante degli obblighi esterni, per partecipare al mercato unico le piattaforme devono costantemente svolgere audit per i rischi esterni, mantenere e fornire l’accesso ai repository pubblicitari su richiesta, e rimuovere prontamente contenuti illeciti, se esortati in tal senso dalle autorità nazionali. Digital Markets Act Seguendo un sentiero che ripercorre quello tracciato dal DSA, anche il DMA mira a regolamentare le azioni delle piattaforme che, in virtù di una posizione dominante e duratura nel mercato (gatekeepers), fungono da strozzatura tra imprese e consumatori e creano conseguentemente barriere alla libera concorrenza nel mercato unico digitale Nella bozza presentata dalla Commissione ai co-legislatori, è sottesa l’idea che la costruzione di uno spazio digitale aperto all’innovazione e all’avvicendarsi di start-up europee non possa prescindere dall’abbattimento del potere di mercato delle LOPS. Pur non menzionando esplicitamente le “Gafam” (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft), il DMA stringe la morsa sui giganti high-tech, esigendo dalle imprese che soddisfano determinati criteri quantitativi (volume di utilizzo da parte degli utenti, fatturato) e qualitativi (fornitori di servizi chiave) obblighi positivi (whitelist) e negativi (blacklist), svincolando al contempo i nuovi player europei alla ricerca di spazi di mercato da simili oneri. Oltre la bussola della restaurazione della libera concorrenza, il DMA mira a riequilibrare l’allocazione di parte della sovranità digitale in favore delle imprese UE. Su questa scia, ai gatekeeper è interdetta la possibilità di combinare i dati ottenuti dalla piattaforma con i dati raccolti da altri servizi erogati dallo stesso gatekeeper, e ciò assottiglia il potenziale delle rendite di mercato. Tra i dont’s, figura il riferimento specifico al divieto di discriminazione a favore dei propri servizi, ed anche pratiche di mercato predatorie come il leveraging (utilizzare la propria posizione dominante per bloccare l’ingresso di nuovi competitors) ed il self-preferencing (indicizzazione privilegiata dei propri servizi sulla propria piattaforma) ed il preferencing di terze parti. È interessante notare che il DMA non si serve di soli divieti per riequilibrare l’ago della bilancia a favore delle start-up europee. Accanto al divieto di adottare pratiche discriminatorie, è egualmente corposa la lista di prescrizioni positive che le LOPS sono tenute a predisporre. Tra queste, il DMA annovera l’obbligo di garantire l’interoperabilità con la propria piattaforma ad altre piattaforme concorrenti e di consentire agli utenti commerciali di accedere ai dati che generano utilizzando la piattaforma. ![]()
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