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Capire la Nuova Turchia dai suoi nuovi grattacieli. Recensione de: “L’oro della Turchia” di Giovanna Loccatelli

9/12/2020

 
Foto
di Roberto Renino

Da ogni prospettiva a Istanbul si vedono grattacieli, ville, grandi complessi residenziali e distretti finanziari. Al tramonto, la luce riflessa su tetti e finestre avvolge la città in una patina dorata: un profilo sempre nuovo, in costante cambiamento, affollato di cantieri. "È una questione che ti si para davanti, non puoi ignorarla", afferma Giovanna Loccatelli, mentre racconta cosa l‘ha spinta a scrivere il suo ultimo libro: "L‘oro della Turchia", edito da Rosenberg&Sellier (192 pp., 14 euro). Istanbul non è una città che è rimasta cristallizzata nel tempo, la sua importanza ha fatto sì che sia stata a più riprese modificata e contaminata, in una stratificazione di epoche, culture e cambiamenti. Quelli che interessano i giorni nostri sono la sintesi tra i fenomeni migratori interni dall‘Anatolia verso le principali città Turche, l‘agenda politica del governo dell‘AKP (Partito Giustizia e Sviluppo) e l‘immenso business legato all‘edilizia e alle infrastrutture.

Nel libro, l‘urbanizzazione su larga scala e i grandi progetti infrastrutturali sono il punto di partenza per un‘analisi più profonda sugli effetti sociali di tali cambiamenti. L‘autrice ci accompagna in una passeggiata tra il presente e il futuro di Istanbul, offrendoci ricchi spaccati di vita quotidiana, soffermandosi sulla ridefinizione degli spazi urbani su canoni neoliberali, dove regna l‘imperativo del consumo. Le realtà che si attraversano condividono confini più o meno visibili: oltre alle barriere reali, che isolano la città dalle gated communities, complessi residenziali sempre più grandi ed esclusivi, i confini sono anche simbolici, imposti o auto-delineati tra i vari gruppi sociali. La violenza simbolica, fatta di esclusione e autoesclusione tra gruppi sociali è una connotazione peculiare notata anche all‘interno di spazi collettivi frequentati da una classe sociale che solo all‘apparenza si direbbe compatta nel suo insieme. Il tessuto urbano e cittadino viene così diviso e sezionato in vere e proprie "bolle" che ricalcano il vasto divario tra ricchissimi e poverissimi e le divisioni basate su etnia, (non) affiliazione politica e religione.

Oltre a quella simbolica, Loccatelli tratta l‘annosa questione della violenza relativa all‘urbanizzazione forzata, in particolar modo della ricollocazione degli abitanti delle gecekondu, le abitazioni di fortuna costruite da chi negli anni si è spostato dalle compagne verso le città. Il fenomeno, iniziato negli anni Cinquanta e continuato ininterrottamente, ha contribuito all‘allargamento delle principali città turche, causando un repentino incremento della densità abitativa e creando nuove sfide sociali e urbane. Dopo una lunga serie di investimenti infrastrutturali e politiche clientelari, le periferie sono state gradualmente (ma mai completamente) inglobate nelle città. Lo spostamento massiccio degli abitanti delle gecekondu presenta più criticità e l‘urbanizzazione forzata ne è la principale. Lo sradicamento degli abitanti dal loro tessuto sociale porta a spezzare i legami familiari e di vicinato che dai villaggi sono stati ritrasposti ai limiti degli spazi urbani. Infine, l‘approfondimento sull‘azione di Toki, l‘ente amministrativo per le abitazioni e la pianificazione – di fatto diventato un organo alla mercé del governo – rende il lettore partecipe di un sistema basato sulla speculazione edilizia, tarato sull‘allontanamento delle classi meno abbienti da luoghi di potenziale interesse economico e appetibili per investimenti sia turchi che esteri.

"Consumo, merce, turismo" sono infatti le parole chiave sottese ai progetti dell‘AKP. La realizzazione di ogni progetto urbano, dai complessi abitativi agli stadi, prevede anche la creazione di luoghi dedicati al consumo spesso integrati nella struttura stessa dei complessi, da un lato sfruttando al massimo le potenzialità di guadagno, dall‘altro promuovendo un tipo di aggregazione sociale orientato all‘acquisto. È da leggersi in quest‘ottica il pullulare dei centri commerciali: i nuovi (non) luoghi della socialità turca, poli di attrazione trasversali adatti a quasi tutte le tasche. Sebbene non sia la capitale amministrativa della Turchia, Istanbul ne è rimasta il "biglietto da visita" sia per il resto del paese che a livello internazionale. Rendere Istanbul appetibile per il turismo e la finanza globale è uno dei punti cardine della politica dell‘AKP; gli enormi progetti sono un‘abile esca per attirare investimenti, speculazione e per costruire una fetta dell‘economia sulla "internazionalizzazione" di intere sezioni della città. Processi di riqualificazione e gentrificazione di quartieri interi hanno portato ad una repentina trasformazione anche del tessuto sociale. Il governo è riuscito a fondere il paradigma neoliberista con un approccio decisamente autoritario: "[a] Istanbul il modello neoliberista nei confronti dello spazio urbano non solo è stato molto aggressivo, ma non ha lasciato spazio concreto a nessun tipo di dissenso". In quest‘ultimo passaggio si sottolinea la pervasività delle azioni del governo, che è stato in grado di reprimere ed estirpare i germogli dell‘opposizione popolare esplosa nel 2013 con l‘occupazione di Gezi park.
La manifestazione del 2013 segna uno spartiacque nella politica dell‘AKP e della relazione di Erdoğan con i cittadini, sempre più divisi su una polarizzazione palpabile, più di una volta pronta a riesplodere negli ultimi anni. Dopo le proteste, e soprattutto dopo il tentato golpe nel 2016, Erdoğan ha dato un‘impronta sempre più personalistica alle politiche, ai valori e alla gestione dello Stato. L‘autrice coglie in modo ottimale tale deriva, a partire da un simbolo illuminante: il palazzo presidenziale costruito nel 2014, duramente criticato per la sua grandezza e costo. Dalla stessa architettura si riesce infatti ad intuire l‘approccio del presidente, che porta avanti una retorica e una propaganda sapientemente bilanciata tra culturalismo, nazionalismo, un‘interpretazione dell‘Islam abbastanza progressista da includere un tipo di sviluppo capitalista e uno smodato utilizzo della simbologia legata ad avvenimenti storici e riferimenti religiosi.

Il largo consenso del presidente turco ha però dovuto confrontarsi con la forte crisi economica che ha travolto il paese soprattutto nel 2018, incrinando il sistema di sviluppo e rallentando i lavori degli innumerevoli cantieri sparsi per il paese. Una spia della perdita del consenso del presidente Erdoğan è stata l‘elezione ad Istanbul nel 2019 di un candidato dell‘opposizione, Ekrem Imamoğlu. Nell‘analisi di Loccatelli, la vittoria di Imamoğlu è dipesa sia dal collasso economico che dall‘agenda del neosindaco, improntata su uno sviluppo più sostenibile e teso ad un coinvolgimento più trasversale della popolazione istanbuliota. Ciononostante, perdere l‘amministrazione di Istanbul non precluderà al presidente Erdoğan e al governo dell‘AKP di continuare il percorso di transizione verso la Yeni Türkiye, la nuova Turchia, da presentare al mondo allo scoccare del 2023, data del centenario della fondazione della Repubblica Turca. "Non si può comprendere cosa sia e cosa comporti la nuova Turchia senza analizzare il processo di accentramento del potere e di ristrutturazione dello Stato in atto almeno dal 2010. […] Erdoğan può essere considerato, a tutti gli effetti, il vero erede di Ataturk nella misura in cui entrambi intendono il cambiamento costante come l‘essenza vitale del fare politica." Il Nuovo cui l‘AKP però aspira è una rifondazione repubblicana basata su una nuova concezione dello Stato e dell‘identità turca collettiva, sempre più univoca e accentrata su canoni e valori specifici.

Tra i punti di forza della lettura di Loccatelli vi è il superamento delle dicotomie spesso adottate nell‘analisi della politica turca sia in Italia che all‘estero. Considerando che il processo che ha portato Recep Tayyip Erdoğan a consolidare il suo potere vada oltre le etichette di "islamismo" e "autoritarismo", la giornalista trasmette pienamente la portata colossale del progetto politico, sociale ed economico che ha travolto l‘intera popolazione. Distinguere le sfaccettature e le sfumature del processo è fondamentale per comprendere l‘impatto che le politiche urbane e il business edilizio hanno avuto sulle diverse componenti della società turca. Tale percezione è resa possibile nel libro anche grazie all‘utilizzo di fonti in lingua turca, saggi e articoli scritti da giornalisti e studiosi che hanno già approfondito la questione con una consapevolezza più profonda e con lenti differenti dalla stampa nostrana o internazionale.

Non sono solo l‘approccio giornalistico e lo stile fluido e scorrevole a rendere questo libro uno strumento utile per comprendere le dinamiche trattate. I momenti di vita quotidiana che si intravedono da finestre aperte dall‘autrice sulle strade di Istanbul e gli aneddoti del suo vissuto personale arricchiscono la narrazione rendendo molto più comprensibili dei fenomeni altrimenti distanti per chi conosce la Turchia solo dai giornali. Per quanto prezioso, l‘oro della Turchia non ha riserve illimitate, anzi, diversi eventi ne segnalano l‘insostenibile estrazione con i ritmi richiesti dal governo. Il processo iniziato da Erdoğan è tuttavia difficilmente invertibile, ma – come ha già dimostrato in questi anni – è abile ad adattarsi ai cambiamenti, cavalcando il consenso popolare e reprimendo il dissenso dell‘opposizione.

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