a cura di Cristiana Oliva Era l’ormai lontano 2002, quando uscì Minority Report, dal racconto del 1956 di Philip Dick. Nel blockbuster firmato da Steven Spielberg, la “polizia predittiva” registrava miliardi di terabyte attraverso numerose telecamere di sorveglianza al fine di identificare gli autori di un crimine, ma non solo. La pre-crimine arrestava i criminali ancor prima che essi commettessero il delitto. Quella del film di Spielberg è stata una previsione. Infatti, con l’analisi dei big data attraverso l’uso di sofisticati algoritmi di intelligenza artificiale, è oggi possibile anticipare un delitto prima che questo avvenga. Ma in questa fitta rete di spionaggio e controllo, chi si cela dietro gli occhi della città più videosorvegliata al mondo? La pre-crimine a Dubai Probabilmente uno dei posti più video-sorvegliati del pianeta è Dubai. Gli Emirati Arabi Uniti registrano una delle più alte concentrazioni pro-capite di telecamere di sorveglianza al mondo. Dalle strade della capitale Abu Dhabi alle attrazioni turistiche della famosa Dubai costellata di grattacieli, le telecamere tengono traccia delle targhe e dei volti dei passanti, garantendo a cittadini e visitatori un grado di sicurezza elevatissimo. Un decennio fa, Dubai ha dimostrato l’efficacia di quel sistema: dopo l'assassinio del comandante di Hamas Mahmoud al-Mabhouh, il 19 gennaio 2010, in un hotel di Dubai, la polizia ha rapidamente individuato i volti dei sospetti agenti israeliani del Mossad che hanno eseguito l'omicidio, ricostruendo l’accaduto, dall'arrivo degli agenti all'aeroporto fino all’omicidio di al-Mabhouh da parte di due israeliani travestiti da tennisti. I media all'epoca suggerivano che circa 25.000 telecamere osservavano Dubai. Oggi si può dire siano molto più sofisticate e molto più diffuse. Centri commerciali e altre aziende hanno implementato una varietà di scanner di immagini termiche. All'aeroporto internazionale di Dubai, ad esempio, chi entra passa davanti a uno scanner termico che, oltre alla temperatura controlla anche se le persone indossano o meno le mascherine. Alla vigilia della pandemia, la polizia di Dubai ha lanciato un nuovo programma di telecamere di sorveglianza alimentato dall'intelligenza artificiale chiamato "Oyoon" ovvero "occhi" in arabo. La polizia ha descritto il progetto nel gennaio 2018 come un mezzo per "prevenire la criminalità ed essere in grado di rispondere immediatamente agli incidenti anche prima che vengano segnalati". Con l’avvento dell’emergenza pandemica, Oyoon ha iniziato a controllare le temperature corporee dei cittadini, oltre ad assicurarsi che le persone mantengano una distanza sociale di 2 metri l'una dall'altra. Pechino osserva il Golfo Molte delle telecamere e degli scanner termici utilizzati dagli Emirati Arabi Uniti provengono dalla Cina. Dal 2013, la Cina è diventata il principale investitore nei settori economici e delle tecnologie avanzate del Medio Oriente e finora, l'Intelligenza artificiale (IA) è stata la base degli investimenti tecnologici di Pechino. Entro il 2030, le stime suggeriscono che il potenziamento IA in Medio Oriente potrebbe valere 320 miliardi di dollari con Arabia Saudita, Qatar, Bahrain e gli Emirati Arabi Uniti a guidare la carica. Tra tutti, gli Emirati Arabi Uniti sono diventati uno dei più veloci ad adottare la tecnologia IA, con Dubai che ha lanciato progetti di sorveglianza come Police without Policeman, Oyoon e l’utilizzo di robot di sicurezza per combattere la criminalità in aree urbane. Police without Policeman è sostenuto da Huawei, il gigante cinese nel settore delle comunicazioni, e, sebbene Oyoon non sia esplicitamente collegato a una particolare azienda cinese, il suo utilizzo della IA nella sorveglianza per proteggere gli spazi urbani è parallelo agli attuali sviluppi tecnologici di Pechino. Gli investimenti del Dragone nel Paese sono riconducibili a una serie di presenze nel Paese del Golfo, come il gigante SenseTime, una società creata nel 2014 dal cinese Xiolan Xu che ha ideato una tecnologia per il riconoscimento facciale ed ha pubblicizzato il suo trasferimento ad Abu Dhabi. Un’altra azienda coinvolta nella partnership sino-emiratina è il Group 42 (G42), una società di Abu Dhabi di intelligenza artificiale e cloud computing. Il G42 sembrerebbe essere la società dietro lo sviluppo di ToTok, un’app voip, recentemente lanciata negli Emirati come alternativa alle altre App voip, il cui utilizzo è proibito nel Paese. Il 22 dicembre 2019, un’inchiesta del New York Times riportava che ToTok è stata sviluppata come uno strumento di spionaggio, utilizzato dal governo degli Emirati Arabi Uniti per cercare di tracciare ogni conversazione, movimento, relazione, appuntamento, suono e immagine di chi lo installa sul proprio smartphone. Il G42, che sembra avere legami con il sistema per la sicurezza nazionale degli Emirati Arabi Uniti, ha anche collaborato con la Cina per gestire il programma di test di massa sul coronavirus nel Paese. Il coinvolgimento del Dragone ha portato i funzionari dell'ambasciata degli Stati Uniti ad Abu Dhabi a rifiutare l'offerta degli Emirati di testare gratuitamente tutto il personale americano, a causa del rischio di spionaggio cinese. Un fil rouge lega il Dragone agli Emirati: la strategia di Pechino si sposa bene con l’esigenza di controllo della popolazione della monarchia di Abu Dhabi. Tuttavia, questo connubio va in contrasto con i piani di Washington, che strategicamente vedono la penisola emiratina come una piattaforma indispensabile per giocare la loro partita in Asia. Tra Cina e Stati Uniti Il Medio Oriente si trova letteralmente nel mezzo della nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina. Molti stati dell’area hanno rivalutato la loro posizione all'interno di un contesto geostrategico sempre più multipolare dove le vecchie certezze di protezione e sostegno americano incondizionato non potevano più essere date per scontate, soprattutto con il cambio d’inquilino nella Casa Bianca. Il coinvolgimento della Cina solleverebbe preoccupazioni di sicurezza per le forze statunitensi che operano negli Emirati Arabi Uniti, ha affermato Vittori, tenente colonnello in pensione nell'aeronautica americana. Gli Emirati, soprannominati "Little Sparta" dall'ex Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Jim Mattis, ospitano circa 5.000 soldati americani, molti nella base aerea di Al-Dhafra, oltre che nel porto più trafficato dalla Marina degli Stati Uniti all’estero, ovvero il porto di Jebel Ali a Dubai. Lo stretto di Hormuz è il punto di attraversamento petrolifero più importante del mondo a causa dei grandi volumi di greggio che fluiscono attraverso questo punto nevralgico. Nel 2018, il suo flusso giornaliero di petrolio è stato in media di 21 milioni di barili al giorno, l'equivalente di circa il 21% del consumo globale. Gli Emirati Arabi Uniti si trovano sulla punta occidentale dello stretto, vantando una posizione strategica fondamentale per gli equilibri della regione. Costruendo relazioni con gli stati del Golfo come gli Emirati Arabi Uniti attraverso il meccanismo di investimento in infrastrutture e logistica, parte della Belt and Road Initiative, la Cina spera di consolidare la sua posizione. Già leader globale nelle infrastrutture 5G, la Cina sta investendo molto in una gamma più ampia di tecnologie avanzate e sta cercando di introdurle a livello globale come mezzo per ottenere un'influenza economica ancora maggiore. Pechino si è concentrata soprattutto su tre aree tecnologiche principali: intelligenza artificiale, smart city e droni. In particolare, l’intelligenza artificiale, già utilizzata largamente da Pechino, viene guardata con interesse da parte di molti governi autoritari, come strumento insostituibile per mantenere la stabilità sociale. Ci si chiede però se queste infrastrutture tecnologiche non siano anche un modo per il Dragone di controllare da vicino i suoi alleati e avversari. In questo senso le tecnologie di sorveglianza di Dubai non rappresenterebbero altro che gli occhi di Pechino, che osservano il Paese e i suoi inquilini.
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