a cura di Lorenzo Cozzi Gli ultimi decenni hanno visto la nascita e l’impiego sempre maggiore delle forze di sicurezza private nella Federazione Russa di Vladimir Putin. Il loro utilizzo si è osservato anche in altri paesi, ma il Cremlino le ha impiegate in un modo peculiare. Per comprendere questo fenomeno occorre contestualizzarlo nel particolare momento storico vissuto dalla Federazione negli anni ’90. La debole amministrazione di Boris Eltsin e la tensione sociale scaturita dalla prima guerra cecena (per certi versi molto simile alla guerra in Afghanistan ‘79-’89) portarono alla costruzione, nell’immaginario popolare, di una Federazione Russa debole, lontana anni luce dagli antichi fasti dell’Unione Sovietica. Centinaia di migliaia dei militari dell’ex-esercito Sovietico vennero abbandonati a loro stessi dallo Stato con la insoddisfacente, ma probabilmente imprescindibile, riforma delle Forze Armate del 1993, così come venne abbandonata qualsiasi intenzione di plasmare una efficace strategia estera. Il passaggio da una ideologia forte come quella dello stato sovietico al totale disfacimento del sentimento di unità nazionale portò la Federazione sull’orlo del baratro. Con il nuovo millennio la neonata Federazione Russa visse un periodo di graduale ricostruzione economica e soprattutto strategica, in un modo tale da essere funzionale al mantenimento e all’espansione dei settori economici che rivestono i suoi maggiori punti di forza: l’esportazione di armi e di energia. Nel primo decennio fu evidente che l’imponente eccesso di ex-militari non poteva che essere assorbito da organizzazioni private e proprio per questo motivo in quel periodo, grazie ad una serie di legislazioni ad-hoc promosse da Putin, la miriade di più o meno piccole Private Military Companies (PMCs), che nel frattempo erano nate nel decennio di presidenza Eltsin, vennero inquadrate come servizi di sicurezza all’interno di grandi conglomerati privati, talvolta fondendoli direttamente con questi (come nei casi dei colossi energetici Gazprom e Transneft). Inoltre i grandi centri di produzione ed esportazione di armi, come Rosboronexport, vennero rinsaldati nelle mani del Cremlino sempre tramite decreti specifici. Questa parentesi di ricostruzione durata vent’anni, insieme allo spartiacque dell’invasione russa della Georgia nel 2008, che cancellò ogni illusione di un possibile futuro di stretta collaborazione con i paesi NATO, avviarono il Cremlino verso quello che si può definire come il periodo denotativo di una Russia tornata potenza regionale a tutti gli effetti. Proprio da quel momento, e in modo decisamente evidente, il Cremlino riprese da dove aveva lasciato la grande strategia squisitamente realista à la Yevgeny Primakov. L’espansione dell’influenza russa verso il Medio Oriente e l’Africa orientale tornarono ad essere una priorità. L’esportazione energetica e di armi, la ricerca di nuovi centri ricchi di risorse naturali, lo stringere nuovi accordi diplomatici e commerciali tramite proposte aggressivamente vantaggiose diventarono l’interesse principale russo, perfezionando in un modo probabilmente inatteso le teorie di Primakov. La strategia “primakoviana” di espansione dell’influenza russa diventò particolarmente evidente a partire dal 2014 e portò conseguentemente alla necessità dell’esportazione di (in)stabilità nei paesi di interesse maggiormente sensibile. Ai tempi, in modo poco lungimirante, era stato il turno dell’Afghanistan, mentre oggi l’interesse ricade su Libia, Madagascar, Repubblica Centro Africana, Sudan, Siria, Ucraina e Venezuela, aree dall’importanza geopolitica innegabile. Memore dell’esperienza sovietica e grazie alle premesse fin qua citate, il Cremlino ora è in grado di impiegare in modo estremamente sapiente tutte le sue risorse e cogliere le necessità dello stato, prima fra tutte l’imprescindibilità della deniability. Nel mondo del terzo millennio ogni azione violenta (fisica o virtuale) svolta da una nazione verso uno stato sovrano terzo deve essere giustificabile, o ancora meglio negabile. A questo scopo, giocano a favore tutte quelle risorse militari non inquadrate direttamente nelle forze armate statali di cui la Federazione Russa dispone. Questi gruppi, che in precedenza avevano svolto solo compiti di sicurezza privata o al più di addestramento come per l’esempio della compagnia Blackwater, dal 2014 sembrano essere stati completamente fatti confluire in un unico gruppo, ormai diventato sinonimo del potere di questa nuova macchina russa: Wagner Group. A partire dall’invasione della Crimea e del Donbass, questa risorsa viene impiegata all’interno della nuova Proxy War Strategy russa: attacchi informatici, addestramento di miliziani, partecipazione a guerre civili e offensive militari su larga scala, la cui responsabilità necessiti di essere completamente slegata dal controllo dell’autorità centrale, vengono interamente affidati a gruppi privati. Il Wagner Group costituisce un esempio a se stante in tutto l’universo delle PMCs. Se nei conflitti contemporanei il “mercenario” è ormai diventato un concetto quasi privo del suo precedente significato, essendo i contractors solitamente affidati alla protezione di luoghi o soggetti sensibili, il nuovo esempio russo riporta questa figura al suo significato originario, relativo a una forza combattente privata sebbene con delle specifiche peculiarità. Questa PMC infatti non è composta da soggetti interessati precipuamente a “ottenere un profitto personale”, ma da combattenti interessati più al risvolto ideologico, sapientemente risvegliato e indirizzato dal regime putiniano, della creazione di un nuovo forte Stato Russo. Senza dubbio anche il fattore economico non è trascurabile, essendo il compenso medio nettamente più alto di quello di un regolare soldato, ma c’è da dire che il bacino di provenienza dei membri del Gruppo Wagner è interamente da ricercarsi nelle unità d’élite dell’esercito russo e che questo gruppo viene utilizzato nella stragrande maggioranza dei casi per svolgere compiti estremamente rischiosi, neanche lontanamente paragonabili a quelli svolti dagli omologhi statunitensi o di altri paesi. L’aspetto notevole della creazione di questa rinnovata strategia è l’aver fatto confluire al suo interno proprio quegli elementi che in altre realtà vengono scartati e posti ai margini della società, dandovi qui nuova vita e un nuovo utilizzo per i piani di Mosca. Per il momento, sia sul fronte di stabilità interna che di efficacia sul fronte estero, questa può dirsi una strategia nazionale decisamente riuscita.
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