a cura di Giovanni Maggi Sono passati ormai quattro anni dall’elezione dell’ex Presidente americano Donald Trump. Una presidenza, quella del tycoon di Manhattan, basata su un uso intensivo dei social media e su una ricorrente manipolazione dell'informazione. A dimostrazione di ciò, il Washington Post ha pubblicato un database in cui le 30,573 “affermazioni false o ingannevoli” pronunciate dall’ex Presidente durante il periodo passato alla Casa Bianca vengono elencate e verificate. L’attitudine trumpiana verso i fatti rappresenta però un solo esempio di un processo culturale più ampio: quello verso la post-verità. Fin dal suo ingresso nello scenario politico americano, Trump e il suo staff hanno proiettato al pubblico una sua “versione alternativa dei fatti”. Il 22 Gennaio 2017 durante un’intervista rilasciata a NBC, Kellyanne Conway, consigliera dell’ex Presidente, usò per la prima volta il termine “fatti alternativi” in difesa del segretario della stampa della Casa Bianca. In seguito, Conway ha definito l’espressione come “fatti addizionali e informazioni alternative”. La costruzione di questa realtà controcorrente, particolarmente chiara nella narrativa trumpiana legata alle elezioni presidenziali del 2020, ha accelerato la transizione verso ciò che Hannah Arendt chiama “defattualizzazione” – l’inabilità di scindere i fatti dalla finzione. Il concetto di post-verità trova le sue radici nella filosofia di Nietzsche e Weber e fu poi ripreso dalla teoria critica di Foucault e Arendt nella seconda metà del ‘900. Come spiega il filosofo americano Lee McIntyre, la presidenza Trump ha rappresentato un avvicinamento alla post-verità e la defattualizzazione della politica ma non ha, in sé, costituito la nascita di un nuovo fenomeno. Già durante il corso del secolo scorso è possibile trovare esempi di negazionismo e di utilizzo di fatti alternativi riguardo a temi quali il cambiamento climatico, gli effetti negativi del fumo e i vaccini. MacIntyre afferma inoltre che l’ingresso in politica della post-verità è dovuto all’assunzione di un atteggiamento postmodernista rispetto alla scienza – nello specifico, l’idea è che non esita una verità oggettiva – da parte di alcuni attori politici. Il processo verso la post-verità, e l’inevitabile polarizzazione politica e sociale che ne consegue, può però essere analizzato da un altro punto di vista. Ci troviamo in un momento storico in cui la democrazia è in decadenza, e si trova a confrontarsi con l’ascesa dei regimi autoritari. I due sistemi hanno posizioni opposte per quanto concerne l’infosfera. Se da una parte i paesi democratici vedono l’informazione come uno strumento a disposizione della popolazione, i sistemi autoritari la percepiscono come una possibile minaccia all’integrità del regime. Tramite la combinazione di operazioni di hacking e la propaganda nei social media mirata alla manipolazione dell’opinione pubblica, tali autoritarismi – Russia e Cina in particolar modo – hanno fatto della sfera dell’informazione il nuovo campo di battaglia. L’uso di sorveglianza, censura, e controllo delle informazioni online, ha portato i sopracitati regimi ad essere in grado non solo di monitorare la popolazione domestica, ma anche di minare gli equilibri democratici oltreoceano. Un esempio dettagliato è contenuto nel primo volume del “Mueller Report”, redatto dall’ex direttore dell’FBI, R. Mueller. Il documento descrive le interferenze russe nell’elezione presidenziale del 2016 che portò all’insediamento di Donald Trump nella Casa Bianca il 20 Gennaio 2017. L’interesse russo in questo caso fu, tra le altre cose, quello di accelerare la transizione verso la post-verità e la defattualizzazione nella democrazia statunitense. A testimonianza del successo delle loro azioni si colloca la vicenda politica e legale che ha accompagnato l’uscita del documento stesso. La Casa Bianca, tramite la voce e i poteri dell’ex Attorney General William Barr, fu in grado di censurare al pubblico parte del report e riassumere impropriamente le conclusioni di Mueller in modo da distorcere la narrativa e dunque la credibilità del Report. Vedere le interferenze russe del 2016 come un episodio isolato porta però ad ignorare il processo macroscopico che le ha rese possibili: la nuova competizione tra stati in territorio digitale, in particolare nel campo dell’informazione. Russia e Cina hanno reso la manipolazione dell’infosfera un punto chiave delle strategie di sicurezza nazionale, andando così ad investire intensivamente nei settori tecnologici più avanzati – tra i quali riconoscimento facciale, computazione quantistica e intelligenza artificiale. Un report dell’intelligence americana rilasciato il 16 Marzo 2021 rivela che anche la campagna elettorale del 2020 è stata soggetta a influenze russe. In più, nei mesi di Febbraio e Marzo, una serie di cyberattacchi, provenienti da gruppi collegati al governo cinese, hanno sfruttato alcune debolezze per entrare nel sistema e-mail di Microsoft – utilizzato principalmente da piccole-medie imprese ma anche da figure militari. L’approccio dei paesi democratici al problema continua invece ad essere passivo. Nonostante abbiano risposto agli attacchi in modo efficace, le avance occidentali continuano a mancare nello sviluppo di una strategia in grado di competere con quelle sino-russe. La nuova frontiera del cyberspazio porta le democrazie davanti a un dilemma. Da una parte, la mancanza di una presa di posizione forte renderebbe le democrazie vulnerabili sia alla defattualizzazione della realtà descritta da Arendt, che alle interferenze da parte di potenze estere. Dall’altra, la repressione dell’informazione mirata a combattere questi fenomeni comporta il rischio di emulare la “mano pesante” usata dalle potenze autoritarie creando così il sistema rigido da esse ricercato. La posta in gioco è alta. La sfera dell’informazione è uno dei pilastri portanti del sistema democratico e la sua integrità e veridicità è fondamentale per la difesa dei valori e processi istituzionali. D’ora in poi, la competizione tra stati si giocherà tanto nei campi di battaglia e nei tribunali, quanto su smartphone, computer e le infrastrutture che li supportano. La nuova geopolitica dell’informazione sfida le democrazie a trovare una strategia efficace per competere con le potenze estere, per disintossicare l’infosfera domestica, e per rendere il cyberspazio sicuro per la democrazia.
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