Carlo Comensoli e Matteo Buccheri, Elections Hub
All’interno del sistema politico iraniano, la decisione del Consiglio dei Guardiani sull’ammissibilità dei candidati è un passo importante durante le settimane che precedono le presidenziali, anche perché permette di capire l’andamento politico ai vertici delle istituzioni del Paese. Quest’anno, dei ben 592 iniziali candidati solo sette potranno proseguire la campagna elettorale di questo mese, come annunciato dal Ministro dell’Interno lo scorso 25 maggio subito dopo la decisione ufficiale del Consiglio. Ulteriori requisiti, rispetto a quanto specificato nella Costituzione, sono stati imposti dal Consiglio per garantire un’omologazione più consistente dei candidati in vista del voto del 18 giugno (età compresa tra 40 e 75 anni; nessun precedente penale; esperienza di almeno 4 anni di rilevante leadership dirigenziale). È stata così respinta la candidatura di importanti esponenti del fronte riformista come Mostafa Tajzadeh, volto noto nell’establishment che ha trascorso 7 anni in prigione dopo le proteste del Green Movement nel 2009, e il trentanovenne Mohammad Javad Azari Jahromi, l’attuale Ministro delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione. La decisione del Consiglio dei Guardiani ha di fatto aperto la strada per la vittoria di Ebrahim Raisi, dato ormai come candidato favorito. Nominato capo del sistema giudiziario iraniano nel marzo del 2019 dalla Guida Suprema, Raisi è il principale candidato tra i nomi di coloro che parteciperanno alle elezioni del prossimo 18 giugno. Il sessantenne chierico ultraconservatore occupa anche la carica di primo vice-Presidente dell’Assemblea degli Esperti e gode della piena fiducia di Khamenei, con il quale ha stretto un forte legame nel corso degli anni in cui ha servito nei ranghi della Repubblica Islamica. Ciononostante, alcuni controversi episodi del passato pesano sulla sua immagine agli occhi dell’opinione pubblica iraniana. Mentre ricopriva la carica di vice procuratore generale di Teheran, fece parte della cosiddetta death commission che nell’estate del 1988 fece giustiziare oltre 30 mila prigionieri politici. Nel 2009, inoltre, fu coinvolto nella brutale repressione delle proteste del Green Movement, scoppiate dopo le contestate elezioni presidenziali che hanno confermato Ahmadinejad. Per questi motivi Raisi è stato sanzionato dal governo degli Stati Uniti nel novembre del 2019 ed è ancora impopolare in certi segmenti della popolazione più inclini verso candidati moderati-riformisti, ma l’assist del Consiglio dei Guardiani in sede di filtraggio delle candidature potrebbe avergli fornito l’opportunità di recuperare legittimità. Gli altri candidati approvati dal Consiglio sono:
Questa elezione segnerebbe quindi il consolidamento dell’area conservatrice in vista di un possibile futuro cambio ai vertici del Paese. Da tempo, infatti, l’ayatollah Ali Khamenei, Guida Suprema dell’Iran, sarebbe gravemente malato e, anche se deve ancora essere eletto Presidente, Raisi viene già dato come probabile successore dell’attuale Capo di Stato. Fu infatti Khamenei in qualità di leader del Paese a nominare Raisi come capo del sistema giudiziario: già questo fatto era stato visto come una sorta di endorsement da parte del Rahbar, confermato dalla decisione del Consiglio dello scorso 25 maggio che ha sostanzialmente escluso gli sfidanti che avrebbero potuto concretamente competere con Raisi alle presidenziali. Tra i grandi esclusi dalle elezioni di quest’anno, anche l’ex Presidente Mahmoud Ahmadinejad, in carica dal 2005 al 2013. In realtà la sua esclusione da parte del Consiglio era attesa, visto che la sua candidatura avrebbe giocato più un ruolo di provocazione nei confronti del sistema politico del paese. Il leader si è infatti via via allontanato dalla classe conservatrice dell’Iran per schierarsi su posizioni giudicate populiste, ponendosi come voce critica nei confronti del rigido sistema che regola il Paese e criticando i vertici per gli episodi di corruzione. Di fronte all’esclusione dalle elezioni, Ahmadinejad ha quindi annunciato che non voterà nessun altro candidato, boicottando le elezioni. In effetti, di fronte all’esito praticamente scontato delle elezioni, la scarsa affluenza alle urne è l’aspetto che in qualche modo pone un problema di legittimità dell’ordinamento iraniano. Non a caso lo stesso ayatollah Khamenei, in seguito alla decisione del Consiglio sui sette candidati, ha invitato i cittadini a votare. Di fatto, con gli anni si sta facendo strada l’insoddisfazione nei confronti del funzionamento della vita politica nella Repubblica Islamica: anche tra i cittadini iraniani che vivono all’estero prevale la linea del dissenso nei confronti del sistema, sempre più spesso accusato di assenza di democrazia. Se da un lato, quindi, il principale candidato dell’area politica conservatrice Ebrahim Raisi è già dato come il più probabile successore del Presidente uscente Hassan Rouhani, il tasso di affluenza avrà un ruolo importante per capire di quanta popolarità goda attualmente il sistema teocratico iraniano tra i cittadini, soprattutto in vista di un futuro cambio della Guida Suprema dell’Iran. |
|