a cura di Andrea Barbato Da circa due anni le relazioni bilaterali tra Colombia e Venezuela hanno subito un netto peggioramento. I due paesi andini hanno dato vita ad una vera e propria guerra fredda, interrompendo i loro rapporti diplomatici e militarizzando la frontiera, soprattutto in seguito alla decisione, da parte del governo colombiano, di chiudere il confine per prevenire la diffusione del Covid-19 attraverso i flussi migratori dal vicino venezuelano. Storicamente, i due paesi hanno intrapreso due percorsi politici diversi, spesso in conflitto l’uno con l’altro. La Colombia è considerata ancora oggi l’unico vero alleato fedele degli Stati Uniti nel cono sud, soprattutto dopo l’emanazione del “Plan Colombia”, un piano di aiuti economici volto a favorire la lotta al narcotraffico e ai gruppi armati ribelli, protagonisti del conflitto civile colombiano. Tale piano sposava in pieno il “Washington Consensus”, una strategia statunitense che, in particolar modo in America Latina, aveva come obiettivo la promozione del neoliberismo economico ed il collocamento dei paesi latinoamericani all’interno della sfera di influenza di Washington, sia sul piano politico sia su quello della sicurezza regionale. Dall’altro lato, il Venezuela, soprattutto a partire dal 2003, fu il fondatore e principale promotore di un asse anti-imperialista, all’interno dell’alleanza bolivariana guidata dalle idee del “Socialismo del XXI secolo”. Attraverso una strategia internazionale basata sul principio della cooperazione sud-sud e sul ripudio dell’ordine liberale internazionale guidato dagli Stati Uniti, il Venezuela riuscì ad imporsi come un attore centrale nelle dinamiche regionali latinoamericane, almeno fino alla morte di Chavez nel 2013. Le enormi difficoltà economiche e sociali che il Venezuela ha affrontato sin dall’inizio della presidenza di Nicolas Maduro, hanno dato vita ad una delle più gravi emergenze umanitarie della storia. La crisi migratoria che l’intera regione si è trovata a fronteggiare, ha avuto un impatto maggiore in Colombia, dove i due popoli convivono con non poche difficoltà. I governi di Bogotà e Caracas non hanno mai trattato la crisi migratoria come un problema umanitario, al contrario, quest’ultima si è rivelata essere il principale capro espiatorio per le loro rivalità geopolitiche. La decisione di chiudere il confine con il Venezuela, da parte del governo colombiano, con la finalità di prevenire la diffusione del Covid-19, ha dato vita ad un vero e proprio effetto spillover lungo tutta la frontiera. I flussi migratori non si sono arrestati, sono stati riorganizzati attraverso altre vie, irregolari. I protagonisti di tale riorganizzazione sono i gruppi armati, sia dal lato colombiano sia da quello venezuelano, che combattono i governi centrali e che hanno trovato, nei migranti, una nuova fonte essenziale per i loro finanziamenti. I numerosi report di violenze, omicidi, tratte umane, schiavitù, abusi sessuali, hanno messo in luce una situazione estremamente preoccupante. La risposta dei governi di Bogotà e Caracas è stata di natura prettamente militare. Entrambi i paesi hanno optato per una militarizzazione della frontiera con l’obiettivo di difendere i confini nazionali attraverso la repressione dei gruppi armati presenti nella regione. Da un lato, la Colombia non sembra intenzionata, per ora, ad aprire un grande processo di pace con i dissidenti delle FARC e con l’ELN (quest’ultimo non partecipò all’accordo di pace del 2016). Dall’altro, il Venezuela, sulla scia della retorica anti-imperialista di Chavez, cerca nella crisi del confine un riscatto geopolitico, un’opportunità per usare la deterrenza come uno scudo dai continui attacchi da parte della comunità internazionale. Il rischio di uno scontro armato diretto è evidente, i recenti avvenimenti nelle regioni di Apure e Arauca non vanno certamente nella direzione di una gestione di natura umanitaria della crisi. L’emergenza sanitaria, che ha colpito su larga scala le rotte migratorie, sembra non avere una rapida soluzione e la risposta dei governi centrali si è limitata, per ora, alla repressione e alla coercizione. Bibliografia
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