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La rotta italiana di Sputnik V

30/3/2021

 
Foto
a cura di Margherita Orsi
 
 
Il vaccino Sputnik V, da mesi in orbita attorno agli stati dell’Unione, approderà su suolo italiano. La notizia già desta sentimenti contrastanti. Il fondo russo finanziatore del vaccino, il Russian Direct Investment Fund, e la casa farmaceutica italo-svizzera, la Adienne Pharma&Biotech, con sede vicino a Monza, hanno siglato un accordo per la produzione di 10 milioni di dosi entro la fine dell’anno. L’Italia, dunque, non solo rientrerebbe tra i sedici realizzatori mondiali, ma si appresta ad essere la prima produttrice in Europa. Si tratta di un contratto privato, mediato dalla Camera di Commercio italo-russa, ma che non vede un coinvolgimento diretto ed un aperto benestare né da parte del governo nazionale, né tanto meno da parte delle istituzioni europee. Proprio queste hanno chiosato l’affare parlando di “roulette russa", e fomentando l’irritazione di Mosca.
 
In un clima di profonda incertezza e polemica pressante, dunque, il già di per sé scottante dibattito vaccinale viene ulteriormente surriscaldato da una nuova intesa commerciale. Ma perché l’approdo di Sputnik V solleva tante critiche e sospetti? In molti si appellano al quadro nazionale russo. Ad oggi infatti, le dosi somministrate sui territori della Federazione sono pari solamente al 5,28% rispetto all’intera popolazione: parliamo circa dell’1,48% di persone vaccinate sul totale disseminato di abitanti. Si tratta di dati a prima vista scoraggianti, se si considerano l’approvazione del siero da parte del Cremlino nell’agosto scorso ed i trascurabili problemi di logistica e produzione interni. Dinnanzi a quello che pare dunque un chiaro tentennamento da parte dei cittadini, l’ambasciatore russo a Roma Serghei Razov, tuttavia, rassicura e ridimensiona quei numeri che stentano a decollare: la lentezza della campagna di somministrazione è dovuta all’architettura del piano vaccinale stesso, che prevede prima le iniezioni di vaccino antinfluenzale e anti-pneumococco. A sostegno dei diffusi scetticismi non corrono in aiuto neppure le cifre di lancio di Sputnik V: la rivista Lancet lo ha infatti dichiarato efficace al 91% (contro il 70-90% di AstraZeneca), dal costo contenuto (6,5$ contro i 12$ di Pfizer) e dalla conservazione agevole.
 
Di fronte all’imminente sospensione di AstraZeneca ed ai paventati ritardi di consegna di Johnson&Johnson, rallentamenti entrambi che vanno a minare il piano vaccinale del neonato governo Draghi, l’arrivo di Sputnik dovrebbe quantomeno suonare come buona notizia. Si parlerebbe inoltre di produzione controllata sul territorio, di agevolazione nell’approvvigionamento di scorte e di eccezionale creazione di posti di lavoro in un momento di chiusure generalizzate. Eppure, i campanelli che suonano sono solo di allarme. Se l’EMA, l’Agenzia europea per i medicinali, iniziata la rolling review, sta ritardando l’approvazione del siero - per quanto, stando alle indiscrezioni di inizio settimana, parrebbe star ritrattando il piano vaccinale europeo e non escluderebbe in extremis un possibile ricorso al vaccino russo, gli ostacoli e le perplessità sono anzitutto politiche.
 
E Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, lo dice chiaramente, “non dovremmo lasciarci ingannare da Cina e Russia, regimi con valori meno desiderabili dei nostri”. Tatiana Stanovaya, analista, coglie il nucleo della questione: “se decidi di acquistare il vaccino russo, sembra che tu stia investendo o approvando i metodi del governo di Putin […]; accanto al lato più prettamente tecnicoscientifico, prevale il dato politico: Sputnik V fa discutere perché è russo”. Se commerciare con un paese può comportare una forma di appoggio politico, è opportuno fare chiarezza con alcuni dati alla mano.
 
Nel 2019, le importazioni in Italia provenienti dalla Russia sono state pari a circa 16 miliardi di dollari, contro i 19 miliardi provenienti dagli Stati Uniti. Si tratta di uno scarto minimo, soprattutto se paragonato a quello di altri paesi europei, che riportano cifre dimezzate nel caso dell’import russo e, di contro, dati triplicati per l’import americano. In questo senso, dunque, l’Italia non sarebbe nuova ad importanti affari commerciali con la Federazione né di conseguenza dovrebbe sussistere il rifiuto nazionale di Sputnik come segno di dissenso verso il regime di Putin. Nonostante i flussi commerciali mostrino una sorta di distensione nei rapporti italo-russi, la mai dissipata ambiguità nei rapporti tra Europa e Federazione impedisce ancora oggi, pur in un momento di drammatica emergenza, di operare le dovute distinzioni. In un clima di rinnovata ed apparente Guerra Fredda, l’Europa si aggrappa allo storico alleato americano e temporeggia sul siero che sta al di là della cortina di ferro. Fratture politiche e reminiscenze di un passato oramai lontano paiono sottovalutare la pandemia contingente, che tuttavia continua a diffondersi, noncurante di governi in carica e posizioni ideologiche.
 
Al netto di eventuali scetticismi tecnico-scientifici e della sostanziale equivalenza tra vaccini, la rimarcata diffidenza nei confronti della Russia indebolisce il piano vaccinale europeo, ad oggi non sufficientemente autarchico, e danneggia tanto la momentanea richiesta di cooperazione auspicata dalle sedi internazionali quanto quella che non dovrebbe risultare un’agguerrita competizione.

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