A cura di Vittorio Ruocco, Programma sulla politica estera italiana
Cooperazione rafforzata. È questa l’espressione inserita nel titolo del Trattato del Quirinale, un trattato internazionale firmato lo scorso venerdì 26 novembre 2021 dal Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e dal Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, alla presenza del Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. La cornice nella quale quest’accordo è stato concluso si rivela certamente non casuale, lasciando ampio margine di manovra agli analisti della politica internazionale sul reale significato di una cooperazione che ambisce, tra l’altro, ad accelerare il processo di integrazione europea. In conformità alle norme costituzionali[1], l’accordo non è immediatamente efficace, essendo la sua ratifica subordinata all’esame ed all’approvazione dei rispettivi Parlamenti. Diversi gli ambiti toccati dall’accordo: ambiente, sicurezza, giovani e cultura, con particolare enfasi sulla cooperazione istituzionale dei due Paesi, sia sul piano europeo che su quello bilaterale. Sono da rilevare, infatti, come entrambi convergano sul Mediterraneo come «ambiente comune» oppure sul rafforzamento delle relazioni europee-africane, «con particolare attenzione al Nord Africa, al Sahel e al Corno d’Africa». In questa regione, infatti, si concentrano importanti interessi strategici, come il processo di stabilizzazione della Libia e la partecipazione militare alla task force europea Takuba, impegnandosi contestualmente a realizzare «un’Europa democratica, unita e sovrana». Un richiamo, se si vuole, agli elementi costitutivi di uno Stato[2]. Non mancano, infatti, enunciazioni sull’«autonomia strategica dell’Unione Europea» in chiave economica-monetaria, alimentare e spaziale, alimentando la storica ambizione francese di assumere un ruolo di primo piano nella NATO facendosi promotrice della nascita di una nuova potenza militare europea. Più che sulla concertazione politica continentale, però, il Trattato sembra focalizzarsi sul miglioramento delle relazioni bilaterali, toccandone quasi esaustivamente i temi principali . Nello specifico, particolare enfasi è stata posta sulla cooperazione culturale, transfrontaliera, digitale e nella lotta al terrorismo e al crimine organizzato. Dopo aver richiamato più volte l’accordo culturale italo-francese del 1949, le Parti hanno convenuto di costituire dei fora comuni per fronteggiare le problematiche legate a questi temi come il Consiglio italo-francese di Difesa e Sicurezza (art. 2.2), Unità operativa di polizia italo-francese (art. 4.3), Forum di consultazione dei ministeri della giustizia (art. 4.6) e dei ministeri dell’economia, delle finanze e dello sviluppo economico (art. 5.5), un Dialogo strategico sui trasporti (art. 6.5), il Consiglio franco-italiano della Gioventù (art. 9.1), il Comitato di cooperazione transfrontaliera (art. 10.7) e, soprattutto, il Comitato strategico paritetico dei ministeri degli esteri (art. 11.4). L’iniziativa che, però, ha suscitato maggiore clamore è la partecipazione trimestrale di un membro del Governo di uno dei due Paesi al Consiglio dei ministri dell’altro Paese (art. 11.3), un articolo che, così come l’intero corpo dell’accordo, richiama la medesima iniziativa franco-tedesca adottata con il Trattato di Aquisgrana (2019), siglato tra la Francia di Macron e la Germania dell’ormai ex Cancelliera Angela Merkel per rinnovare il più famoso Trattato dell’Eliseo (1963). Parigi ha, quindi, manifestatamente definito il rafforzamento della cooperazione bilaterale sia con Berlino che con Roma, i quali mancano ad oggi di un’intesa simile tra loro. Il tramonto dell’era Merkel sembra aver lasciato un vuoto nella politica europea e la firma al Quirinale proverebbe a soddisfare le esigenze delle due potenze: la Francia bisognosa di un partner che colmi la (temporanea) lacuna lasciata dalla transizione politica tedesca; lo Stivale alla ricerca di una via (o di un alleato) che possa ridarle credibilità in Europa e nel Mediterraneo, tentando, forse, di elaborare una politica estera globale; le politiche pubbliche di entrambi i Paesi che palesano comuni auspici, considerato l’indebitamento post-emergenziale, le convergenze sul fondo Next Generation EU e sulle “necessarie” riforme europee per la spesa pubblica. Non va dimenticato il rapporto personale tra Draghi e Macron: ex banchieri favorevoli ad un’Europa più audace e risolutrice dei tradizionali problemi economici, un rapporto personale «di fiducia reciproca» come già descritto dal Presidente del Consiglio italiano[3]. Un grande successo, dunque, che sembra lasciare nell’ombra i non trascurabili dissidi tra i due Paesi alpini. La collaborazione bilaterale sulla cybersicurezza, sul cloud e sull’intelligenza artificiale, sulla connettività e sul 5G-6G – elementi del perimetro di sicurezza nazionale cibernetica[4] - non può che ricordare la vicenda TIM-Vivendi, in cui il gruppo francese è azionista di maggioranza di una delle aziende strategiche nazionali, alle prese con l’offerta di acquisizione da parte del fondo statunitense KKR a cui Vincent Bolloré[5] si oppone fermamente. Alle questioni irrisolte si aggiunge anche la definizione dei confini marittimi italo-francesi, il cui tentativo nel 2015[6] ha provocato un forte dibattito nell’opinione pubblica italiana. Non solo, anche l’acquisizione dei cantieri di Saint-Nazaire da parte di Finmeccanica nel 2017 rappresenta una delle spine nel rapporto bilaterale, considerato che l’operazione è stata osteggiata proprio dalla temporanea nazionalizzazione del sito industriale decisa da Macron. Vicende che, oggi, sono volontariamente relegate all’ombra, a favore di un rilancio dell’Europa a guida italo-franco-tedesca. Impedendo al misogallismo di spuntarla, la cerimonia di firma in pompa magna ha eccezionalmente rappresentato il successo di una politica estera di relativamente lungo corso, promossa non dal Governo, puntualmente soggetto a rimpasti, bensì proprio dal Quirinale. Mentre a Palazzo Chigi si sono succeduti quattro governi, espressioni di singolari maggioranze parlamentari, la stabilità della sua carica ha consentito alla Presidenza della Repubblica di favorire l’avvicinamento di ciò che il Guardian ha definito “the three leading European powers”: Francia, Italia e Germania. L’abbandono di un partner importante come il Regno Unito nel 2016, l’adozione di una più individualista politica estera statunitense, prima trumpiana poi bideniana, il marcato euroscetticismo del gruppo di Visegrad. Elementi, questi, che hanno certamente giocato un ruolo di primo piano nel favorire una nuova concertazione europea, un momento prospero che sia Macron che Mattarella hanno saputo cogliere, malgrado i rallentamenti provocati dal governo giallo-verde nell’incrinare il rapporto diplomatico con il richiamo dell’ambasciatore francese al Quai d’Orsay. Sono stati proprio i pentastellati, ancora oggi al Governo, ad aver ripetutamente attaccato i vicini d’oltralpe sulla TAV, la Libia e l’immigrazione, la Françafrique, fino a sostenere pubblicamente i gilet gialli. Dissidi che con il Trattato del Quirinale sembrano relegati ad una storia che resta, tuttavia, recente. [1] art. 80 della Costituzione italiana (1948) e art. 53 della Costituzione francese (1958) [2] Gli elementi costitutivi dello Stato sono convenzionalmente individuati in: a) popolo; b) territorio; c) governo o sovranità. [3] A margine della Conferenza Internazionale sulla Libia (12 novembre 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi ha affermato che il riaccostamento delle posizioni italo-francesi sulla Libia è frutto anche del loro rapporto di fiducia reciproca. Per approfondire: https://www.governo.it/it/articolo/il-presidente-draghi-alla-conferenza-internazionale-sulla-libia/18514 [4] Per approfondire: https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1123773.pdf?_1638105139217 [5] Presidente della società Vivendi, detentrice del 23,75% delle azioni del gruppo TIM (dati al 30 settembre 2021). Fonte: https://www.gruppotim.it/it/investitori/azioni/azionisti.html [6] Il 21 marzo 2015, i governi francese e italiano hanno sottoscritto l’accordo di Caen relativo alla delimitazione del mare territoriale e delle zone soggette alla rispettiva giurisdizione nazionale . Nell’opinione pubblica italiana, veniva contestato da più parti che l’allora Governo Renzi avesse ceduto alla Francia parte delle acque territoriali sarde, con l’aggravante che le forze di polizia marittima francesi applicarono immediatamente i nuovi confini marittimi, sebbene l’accordo non fosse (e non è) ancora stato ratificato da parte italiana. |
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