A cura di Camilla Bellini Il 20 Giugno 2020 l’Inghilterra viene scossa da un nuovo attacco terroristico nella cittadina di Reading a 60km a Est di Londra. “L’attentatore – il 25enne richiedente asilo libico Khairi Saadallah – era già noto alle autorità”. Un mantra, quest’ultimo, ripetuto nelle 12-24 ore successive a molti attacchi terroristici messi a punto su suolo europeo negli ultimi anni. Se è vero il detto popolare “meglio prevenire che curare”, ci si chiede perché anche questa volta l’attentato non sia stato sventato agendo in via prodromica alla sua commissione. Di elementi rilevanti per non distogliere l’attenzione da Saadallah ve ne erano a sufficienza. Il MI5 (l’ente britannico per la sicurezza e il controspionaggio) lo aveva incluso tra gli aggressori ad alto rischio che avrebbero potuto recarsi all’estero per motivi di estremismo violento, ma l’inchiesta era stata archiviata per mancanza di prove che ne accertassero una minaccia reale o un rischio immediato. Così, è stato scarcerato nel 2019 senza vincoli di sorveglianza, dopo aver scontato una condanna per reati minori di natura violenta ed essere stato dichiarato affetto da Post Traumatic Stress Disorder (patologia tipica di chi proviene da teatri di guerra) e da schizofrenia paranoide (come si evince dalle cicatrici autolesioniste presenti sulle braccia). Un soggetto con personalità borderline, arrivato anche a ostentare la propria conversione al cristianesimo tatuandosi una croce come forma di dissimulazione (taqqiyya) per guadagnarsi la fiducia delle autorità e dei concittadini, fugando il sospetto di legami con la galassia jihadista. L’attentato di Reading riporta alla mente il caso di Usman Khan condannato nel 2012 per aver progettato di attaccare il London Stock Exchange, il Big Ben, l’abbazia di Westminster e l’ambasciata USA a Londra, colpendo anche bersagli umani tra cui l’allora sindaco Boris Johnson. Khan si era recato nei primi anni del 2000 nelle aree tribali del Kashmir in Pakistan per allestire un campo di addestramento dove reclutare nuove leve con cui rientrare in Gran Bretagna e colpire gli obiettivi suddetti. Era stata quindi emessa una condanna di pericolosità sociale dovuta alla progettualità a lungo termine del suo disegno terroristico poi attuato il 29 Novembre 2019 quando, in libertà condizionale dopo aver scontato sei anni per reati di terrorismo, ha accoltellato due persone e ne ha ferite altre durante un evento a Fishmongers’ Hall prima di essere neutralizzato dagli agenti di polizia sul London Bridge. Entrambi gli attentati fanno riflettere sulla rapida evoluzione della minaccia terroristica, connotata da imprevedibilità e dinamicità che ne permettono il costante adattamento camaleontico al mutare delle circostanze, a cui però non è corrisposto un altrettanto celere adeguamento dei sistemi legislativi e investigativi occidentali. Il caso di Saadallah ha fatto luce sulle scarse risorse economico-finanziarie a disposizione dei servizi di intelligence britannici che, in mancanza di prove di colpevolezza o pericolosità, non possono solo inserire i sospetti terroristi in una watch list di monitoraggio periodico. Delle 27-30.000 persone inserite nel sistema di sicurezza antiterrorismo inglese, 3000 sono attivamente monitorate in quanto considerate ad alto rischio di commissione di reati terroristici, con il Joint Terrorism Analysis Centre in prima linea per coordinare, analizzare e inoltrare informazioni sensibili al MI5 e/o alla polizia. Un’attività di controllo, quest’ultima, inficiata dalle insufficienti risorse a disposizione per il monitoraggio costante e non una tantum dei sospettati, in quanto i budget limitati devono essere destinati a casi di terroristi di cui è stato accertato, oltre ogni ragionevole dubbio, il collegamento con gruppi estremisti. A ciò si aggiunge il problema delle carceri “incubatrici di radicalizzazione”, in cui leader carismatici possono influenzare psiche fragili e dove, chi ha già intrapreso un percorso di radicalizzazione pre-detenzione, può trovare humus fertile per portarlo a termine. Si è quindi avanzata l’ipotesi di separare questi individui nell’ambiente carcerario per ridurne i contatti, ma ancora una volta le risorse esigue a disposizione delle strutture penitenziarie non permettono una procedura così onerosa. Un ulteriore elemento di criticità emerge poi nelle fasi post-rilascio, mancando figure incaricate di accertare che gli ex detenuti non si siano radicalizzati e di seguirli nel percorso di reinserimento sociale con il rischio che, lasciati soli in balia dalle proprie difficili condizioni socio-economiche, tornino a delinquere. A questi aspetti fanno da sfondo i dati dello ‘European Union Terrorism Situation and Trend report 2020’ secondo cui nel 2019 sono stati portati a compimento, sono falliti o sono stati sventati in Europa 119 attacchi, di cui 21 di matrice Jihadista. 1004 sospettati terroristi sono stati arrestati in 19 Paesi UE. Tra questi, in base al Global Terrorism Index 2019 dell’Institute for Economics and Peace, il Regno Unito si classifica al 28esimo posto nel mondo per impatto del terrorismo (con un indice di minaccia pari al 5.405, superiore a quello di Sri Lanka, Iran, Russia e Israele) e primo in Europa, di cui però ormai non è più parte. Boris Johnson all’indomani dell’attacco del 20 Giugno si è detto pronto a inasprire il Counter-Terrorism and Sentencing Bill approvato il 20 maggio scorso alla luce dell’attentato di London Bridge. La legge ha revisionato le Terrorism Prevention and Investigation Measures, permettendo alle corti inglesi di limitare la circolazione di un sospetto terrorista sottoponendolo a coprifuoco, ad arresti domiciliari e a localizzazione elettronica degli spostamenti per un periodo indeterminato, soggetto a revisione, senza più vincolo temporale di due anni. Molti attivisti per la tutela dei diritti umani hanno però additato la novella legislativa come lesiva per la presunzione di innocenza, data la sottoposizione di sospetti rei non ancora condannati a dure restrizioni pur in assenza di prove. L’attuale livello di minaccia in Gran Bretagna resta “sostanziale” e, sebbene l’articolo 2 della CEDU riconosca la sacralità del diritto alla vita da proteggere anche in tempi di ordinario terrorismo, gli attacchi che continuano a colpire l’isola britannica sono chiara dimostrazione del fatto che una normativa antiterrorismo da sola non basti. Essa dovrebbe essere corredata, previa elargizione di adeguate risorse, da programmi ad hoc di deradicalizzazione e di reinserimento sociale, nonché da un lavoro concertato delle agenzie di sicurezza volto a determinare il grado di effettiva pericolosità di potenziali terroristi così da scongiurare l’ennesima prevedibile tragedia. Bibliografia:
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