a cura di Laura Salvemini Il 31 ottobre 2000 veniva approvata all'unanimità la Risoluzione 1325/2000 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la prima nell'agenda “Donne, pace e sicurezza” che conta ad oggi altre nove risoluzioni. Nell'anno del suo ventunesimo anniversario parlare degli effetti di questa risoluzione, dei suoi limiti e della necessità del gender mainstreaming nella prevenzione e risoluzione dei conflitti rimane necessario e urgente, ancor più alla luce dei recenti sviluppi in Afghanistan. I quattro obiettivi principali fissati dalla risoluzione sono il riconoscimento del ruolo fondamentale delle donne nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, una maggiore partecipazione nei processi di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, l’adozione di una “prospettiva di genere” e la formazione di personale sui diritti delle donne. Nonostante il progresso apportato dalla UNSCR 1325 negli ultimi vent'anni appaia evidente, la risoluzione è stata oggetto di critiche riguardanti il linguaggio utilizzato, il contenuto e la forma. In particolare è stato evidenziato come il linguaggio utilizzato nella risoluzione perpetui l’immagine convenzionale del ruolo delle donne come passivo e debole, una rappresentazione che contrasta gli obiettivi dichiarati dalla risoluzione stessa. Un esempio di questa narrazione si trova in uno dei punti principali della risoluzione riguardante la “protezione” delle donne, che vengono in questo modo caratterizzate come beneficiari di aiuto e non come agenti attivi nella prevenzione e risoluzione dei conflitti. La successiva Risoluzione 1889/2009 ha indicato i Piani Nazionali d'Azione (o National Action Plans, NAP) come strumenti per l’attuazione della UNSCR 1325 a livello nazionale. Ad oggi, 98 paesi hanno adottato un NAP, corrispondenti al 51% dei paesi membri delle Nazioni Unite. Di questi, solo il 36% (ovvero 35) include un budget allocato per l’attuazione del piano e soltanto il 32% (equivalente a 31) menziona delle azioni specifiche verso il disarmo. Tra gli esempi di NAP di successo compare spesso quello del Nepal, definito come un'istanza di inclusività e di effettiva coerenza con gli intenti della UNSCR 1325 grazie all'avvenuta inclusione geografica e sociale. Nella fase di progettazione del NAP sono stati infatti coinvolti rappresentanti della società civile, di comitati e associazioni locali provenienti da tutte le regioni del paese. Al contrario, il NAP dell’Afghanistan è stato spesso citato in relazione alla problematica dell’uso delle quote come testimonianza di una maggiore rappresentazione delle donne nelle posizioni di decision-making a livello nazionale, come prefissato dalla risoluzione. La quota parlamentare di donne in Afghanistan era nel 2013 del 27%, ma è stata definita in realtà come un esempio di rappresentanza “vuota”, dato che nella maggior parte dei casi i ruoli ricoperti dalle donne non conferivano loro alcun potere decisionale. Dopo il ritiro delle truppe americane dal territorio e la riconquista dei Talebani, i diritti che le donne afghane avevano conquistato e acquisito negli ultimi vent'anni sono stati velocemente messi in discussione e in alcuni casi cancellati. La linea di governo dei Talebani è apparsa chiara fin dai primi giorni, quando con l'annuncio di un governo ad interim per l' “Emirato islamico d'Afghanistan” veniva comunicata la composizione dell’esecutivo, completamente al maschile. Il primo atto del nuovo governo è stato quello di abolire il Ministero delle Donne, sostituito da quello della Virtù e della prevenzione dei vizi, seguito dall’imposizione del burqa, restrizioni per l'educazione femminile e divieti circa la pratica sportiva. In una lettera aperta firmata il 2 settembre 2021 più di 350 organizzazioni, NGO e enti da tutto il mondo hanno chiesto alle rappresentanze permanenti delle Nazioni Unite attenzione e protezione verso le donne Afghane e non solo, sottolineando come i diritti delle donne e la loro partecipazione nei processi di risoluzione dei conflitti siano a rischio anche in altre zone nel mondo, menzionando le situazioni del Myanmar, della Colombia e dello Yemen. Nella lettera viene sottolineato come la nuova situazione in Afghanistan, combinata con gli effetti devastanti del Covid-19, rischi di far perdere a diverse donne le posizioni di leadership guadagnate negli ultimi decenni, lottando per l'uguaglianza di genere e per i diritti delle donne. Viene infatti rimarcato come in alcune parti del mondo essere donna significhi “decidere tra la lotta per la difesa dei propri diritti e la propria vita”. Sorya Karimi, attivista afghana organizzatrice di alcune proteste a Kabul, evidenzia ulteriormente questo problema, spiegando come protestare sotto il nuovo regime dei Talebani significhi accettare il rischio di perdere la vita lottando per i propri diritti. Nella lettera viene invocata la Risoluzione 1325, chiedendo che l’azione delle donne non venga limitata o sacrificata in nome della protezione, ma che vengano fatti degli sforzi per permettere la loro piena partecipazione nei processi di pace e sicurezza. Affinché ciò sia possibile, i firmatari richiedono l’immediato intervento per fermare le rappresaglie e gli attacchi in atto in Afghanistan - e in altri paesi- contro le donne coinvolte nella difesa dei diritti umani, le peacebuilders e le attiviste a rischio in questo momento. I limiti della Risoluzione 1325, a più di vent'anni dalla sua adozione, appaiono chiari osservando i dati disponibili sulla presenza delle donne in posizioni di leadership nelle operazioni di peacekeeping dell'ONU, dell'UE e dell'OSCE. In un report del 2020 del Stockholm International Peace Research Institute viene evidenziato che, ad ottobre 2020, le donne rappresentavano solo il 10% dei comandanti delle forze e il 26% dei ruoli di leadership nel personale dell’ONU. Il dato più avvilente proviene però dalle missioni della Common Security and Defence Policy dell'UE, dove le donne rappresentano lo 0% delle posizioni di leadership. Appare dunque evidente come, per quanto sia indiscutibile l’importanza della Risoluzione 1325 per aver aperto il discorso sulla partecipazione delle donne nei processi di prevenzione e risoluzione dei conflitti, ci sia ancora diversa strada da percorrere affinché la loro partecipazione sia garantita e salvaguardata, e che la situazione in Afghanistan debba essere affrontata il prima possibile per evitare che gli sforzi degli ultimi vent’anni vengano vanificati. ![]()
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