A cura di Matteo Barbanera, Programma sulla politica estera italiana
Lo scorso 19 ottobre è finalmente approdata in Parlamento la proposta di legge A.C. 2313, che prevede l’istituzione di una Zona Economica Esclusiva (ZEE) italiana oltre il limite esterno delle 12 miglia delle acque territoriali. L’Italia infatti è rimasta indietro nella corsa all’istituzione di ZEE, tra le ultime rispetto a tutti i Paesi che si affacciano nel Mediterraneo, e con questa normativa cerca di rispondere alla necessità di maggior tutela delle proprie acque, visto anche l’attivismo in campo marittimo che sta caratterizzando i nostri vicini. Le dinamiche geopolitiche del Mediterraneo stanno cambiando rapidamente e gli spazi marini assumono un’importanza che il nostro Paese ha forse sottovalutato troppo a lungo. Le dispute tra Grecia e Turchia, il caso dell’Algeria nel 2018 o il recente sequestro dei nostri pescatori, sono tutti avvenimenti che dimostrano come il Mediterraneo sia ancora oggi al centro di forti tensioni ed è dunque arrivato il momento che l’Italia cerchi di assicurarsi un maggiore rispetto della propria sovranità marittima, seguendo quelli che sono i principi e le possibilità stabilite dal diritto internazionale. Nel XVII secolo Ugo Grozio parlava di piena libertà di circolazione nei mari. Nel tempo, però, questa libertà si è andata progressivamente riducendo fino a giungere alla Convenzione di Ginevra del 1958 e, successivamente, alla Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay, le quali vanno a definire il regime di sovranità sugli spazi marittimi in maniera sempre più rigida. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare (UNCLOS), sottoscritta a Montego Bay nel 1982, stabilisce la possibilità per gli Stati costieri di istituire la ZEE fino a un massimo di 200 miglia nautiche dalle linee di base. La zona prevede che lo Stato costiero possa esercitare la propria giurisdizione “sia ai fini dell’esplorazione, dello sfruttamento, della conservazione e della gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, sia ai fini di altre attività connesse con l’esplorazione e lo sfruttamento economico della zona, quali la produzione di energia derivata dall’acqua, dalle correnti e dai venti” [1]. Inoltre, lo Stato esercita la propria giurisdizione in materia di installazione ed utilizzo di isole artificiali, impianti e strutture, ricerca scientifica, protezione dell’ambiente marino. Dispone di poteri coercitivi verso le navi transitanti, come ispezione, abbordaggio, fermo e sottoposizione a procedimento giudiziario, senza tuttavia poter impedire la navigazione, il sorvolo, la posa di cavi e di condotte sottomarine da parte di Stati terzi. In un mare chiuso come il Mediterraneo si pone il problema della sovrapposizione dei confini marittimi tra i vari Stati che su di esso si affacciano: non è possibile infatti che la massima estensione della ZEE sia garantita per tutti. Proprio per questo motivo, la delimitazione della zona economica esclusiva tra Stati con coste opposte o adiacenti viene effettuata sulla base di un accordo tra gli stessi Stati, i quali cercano di giungere a una “soluzione equa”. Negli ultimi decenni si è assistiti a una sorta di “corsa alle ZEE” per trovare questi accordi, tra i vari Stati che si affacciano sul Mediterraneo: basti pensare ai recenti accordi tra Grecia ed Egitto, dello scorso agosto, e a quello tra Libia e Turchia nel dicembre 2019. L’Italia, come si è già detto, ne è rimasta praticamente al di fuori fino a questo momento. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare (UNCLOS), venne resa esecutiva dall’Italia con la legge del 2 dicembre 1994 n. 689, alla quale però non è mai seguita alcuna Zona Economica Esclusiva. Ci si è limitati a istituire le Zone di protezione ecologica, entro le quali poter applicare le misure di protezione dell’ambiente, degli ecosistemi marini e del patrimonio culturale subacqueo, con la legge 61/2006 e a concordare, poi, con la Francia le frontiere marittime nel 2015. Ora, in attesa che la proposta di legge sulla ZEE venga approvata, l’Italia si sta portando avanti e sta cercando di trovare degli accordi con Croazia e Grecia per stabilire le proprie aree di influenza. La proposta di legge sull’istituzione di una Zona Economica Esclusiva italiana è al vaglio del Parlamento, dopo praticamente 25 anni dalla ratifica della Convenzione sul diritto del mare. L’iniziativa, della deputata Iolanda Di Stasio, nel novembre del 2020 è stata approvata all’unanimità alla Camera e il provvedimento ora è all’esame del Senato. L’iter per avere una ZEE italiana dunque non è ancora terminato, però dei grandi passi avanti sono stati fatti. C’è da tenere ben in mente che, secondo quanto dice l’art. 1 del disegno di legge, la proposta di legge non istituisce direttamente una ZEE ma ne “autorizza” l’istituzione, su proposta, presumibile, del Ministro degli Esteri. La UNCLOS ha ampliato i poteri degli Stati costieri sui mari adiacenti, confermando quel processo che viene definito “territorializzazione del mare”, in atto ormai da diverso tempo. La territorializzazione degli spazi marini va incontro alla sempre maggior importanza che sta assumendo il mare, sia dal punto di vista politico che economico, e di conseguenza gli Stati cercano di limitare il più possibile le zone marittime in cui non vi è alcuna legislazione (le cosiddette “acque internazionali”), rivendicando sempre più territori inizialmente estranei alla sovranità statale. Oltre a questo c’è un altro importante aspetto da aggiungere: la territorializzazione dei mari è la risposta che lo Stato nazione sta dando a un progressiva perdita di autorità sul proprio territorio, con confini terrestri sempre più porosi e autorità sovrastatali sempre più ingombranti. Lo stato postmoderno reinventa dunque la propria sovranità anche attraverso questo processo di territorializzazione del mare [2]. In conclusione, l’istituzione della ZEE sarà un passo importante e necessario per garantire all’Italia una maggiore sicurezza delle coste e, in generale, di tutto l’ambiente marino, aspetti che fino ad oggi sono stati troppo trascurati. Inevitabilmente però, solo attraverso una proficua e indispensabile collaborazione tra gli Stati mediterranei, il progetto di avere delle Zone Economiche Esclusive sarà vantaggioso per tutti e non sarà fonte di ulteriori tensioni. Il mare non rappresenta più uno spazio libero come ai tempi di Grozio ma sono gli Stati costieri che hanno il compito di valorizzarlo e custodirlo tramite la cooperazione. L’Italia, nel frattempo, sembra aver superato la sua Zee-fobia, e già questa è una buona notizia. [1] Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare (UNCLOS), art. 56 [2] Cerreti C., Marconi M., Sellari P., Spazi e Potere. Geografia politica, geografia economica, geopolitica, Laterza, 2019, p. 74 |
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