a cura di Giorgio Catania Dopo la fine della Guerra Fredda, la Russia – anche perché troppo debole – ha accettato una riduzione della sua sfera di influenza. Lo dimostrano la prima espansione della NATO verso est nel 1999 (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria) e la seconda nel 2004 (Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Slovenia, Romania). Oggi il Cremlino, di fronte ad una possibile inclusione di Kiev nell’Alleanza Atlantica, ha tracciato una linea rossa: l’Ucraina non si tocca. Putin mira, infatti, a ricostruire una sfera di influenza nell’est Europa e vuole che l’Ucraina continui ad essere uno stato “neutrale”, uno spazio-cuscinetto tra il blocco della NATO e la Russia. Un eventuale ingresso dell’Ucraina nella NATO porterebbe l’Occidente sulla porta di casa della Russia e, agli occhi del Cremlino, rappresenterebbe una minaccia molto grave alla sicurezza. Ma quante possibilità ci sono che l’Ucraina entri nell’Alleanza Atlantica? La risposta è arrivata da Joe Biden: “Le possibilità che l’Ucraina si unisca alla NATO in tempi brevi è molto remota”. A prescindere dalle pretese di Putin, la NATO non potrebbe ammettere nuovi membri già coinvolti in conflitti. Inoltre, Kiev dovrebbe dar vita ad un percorso di riforme politiche e militari. Nonostante le rassicurazioni ed il fatto che solo il 6% dei confini russi tocchi i paesi della NATO, Vladimir Putin ha deciso di esercitare una pressione militare imponente sull’Occidente. Da tempo ha infatti ammassato più di 100.000 soldati al confine con l’Ucraina ed avanzato una serie di richieste a NATO ed USA: la garanzia che l’Ucraina resti fuori dalla NATO; l’interruzione di tutte le esercitazioni militari in Europa orientale, nel Caucaso e nell’Asia centrale; il ritiro di tutte le forze militari dei paesi NATO da vari paesi dell’Europa centrale e orientale. La strategia di Putin puntava a lanciare un segnale. Le richieste di Mosca sono ritenute inaccettabili da Washington, che difende il principio secondo cui ogni Paese ha il pieno diritto di definire la propria politica estera e le proprie alleanze liberamente. Nell’eventualità di una possibile invasione e l’arrivo di forze russe ai confini dei paesi NATO, gli Stati Uniti hanno inviato 3.000 soldati in Polonia, Germania e Romania mentre l’Alleanza ha inviato navi da guerra ed aerei per implementare la capacità di deterrenza e difesa di fronte all’aggressività del Cremlino. Sono stati messi in stato di allerta 8500 soldati statunitensi. Biden sta inoltre mettendo a punto le “sanzioni più imponenti di sempre”. Si parla di escludere la Russia dal sistema bancario internazionale Swift, utilizzato da oltre 11mila istituti finanziari in oltre 200 paesi. La Casa Bianca starebbe pensando di limitare le esportazioni di componenti elettroniche e microchip in Russia e di colpire funzionari del governo russo e leader militari. Potrebbe essere un bersaglio lo stesso Putin, a cui verrebbero congelati gli asset finanziari o addirittura impediti i viaggi al di fuori dei confini russi. E poi c’è la questione del gas russo, di cui gran parte dei paesi europei è dipendente. Il gasdotto Nord Stream 2, che attraverso il Baltico collega Russia e Germania, non è ancora stato completato. Il cancelliere tedesco Scholz si è dichiarato disponibile a bloccare il progetto in caso di invasione dell’Ucraina (cosa avvenuta all’indomani della decisione russa di riconoscere le repubbliche separatiste e inviare truppe regolari in loro sostegno). Da sempre gli Stati Uniti si oppongono a Nord Stream 2, temendo che l’Europa diventi troppo dipendente da Mosca dal punto di vista energetico. Se da una parte il Regno Unito condivide la linea dura USA, dall’altra la Germania si è posta come capofila dei paesi prudenti. Berlino soddisfa infatti il 49% del suo fabbisogno di gas con le importazioni dalla Russia. Poco dietro c’è l’Italia, con il 47%. Sono addirittura più esposti alle forniture russe paesi europei come Finlandia, Lettonia (oltre il 90%) ed Austria (65%). Più defilata la Francia (poco meno del 25% grazie alle centrali nucleari). Così come l’Europa dipende dal gas russo, allo stesso modo la Russia dipende dal mercato europeo. Basti pensare che il bilancio statale di Mosca dipende per il 40% dalle vendite di idrocarburi (gas e petrolio) all’Europa. Stando ai dati raccolti dall’Economist, se Mosca – per ritorsione – dovesse sospendere i flussi di gas arriverebbe a perdere tra i 200 e i 228 milioni di dollari al giorno. Se il blocco durasse tre mesi (in primavera la domanda di gas si riduce notevolmente), le perdite per Gazprom ammonterebbero a 20 miliardi. La Russia, tuttavia, avrebbe le capacità per resistere diversi mesi e compensare il danno economico. Negli ultimi anni Vladimir Putin ha corazzato la Russia di fronte alla possibilità di nuove sanzioni europee ed americane. La Banca Centrale russa detiene infatti circa 600 miliardi di riserve in oro e dollari, il debito pubblico e privato è ai minimi e l’abbandono del dollaro è in fase avanzata (le riserve in dollari sono crollate dal 50% del 2018 al 16% attuale a vantaggio di euro e yuan). Tutto ciò senza contare l’importanza economica e strategica che avrebbe un’alleanza sempre più stretta tra Russia e Cina.
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