a cura di Massimo Spinelli Alla fine del mese di maggio è diventato virale sui social network un video, originariamente pubblicato dall’account twitter Alarm Phone, che testimonia un gruppo di migranti in mare mentre cercano di sfuggire a una serie di manovre pericolose operate da un’imbarcazione della guardia costiera libica. Il video in questione sarebbe apparso in seguito ad una doppia inchiesta internazionale, condotta da Avvenire in Italia e da The Guardian in Inghilterra. Minacciati a punta di fucile, ai migranti è stato imposto di fare dietro-front e tornare in Libia. A quel punto, gli uomini si sono gettati in mare in segno di protesta e disperazione. Le immagini si riferiscono ad un episodio avvenuto l’undici di aprile, giorno nel quale si è registrata l’entrata del gommone presso le acque territoriali maltesi. Il giorno seguente, si registrò l’arrivo dello stesso gommone carico di migranti nelle acque territoriali italiane, nei pressi di Pozzallo, dove sono poi stati accolti e dove hanno avuto l’opportunità di sbarcare. È subito apparso evidente che il dirottamento del gommone verso l’Italia sia avvenuto ad opera delle autorità maltesi, le quali, davanti alla disperazione dei migranti, hanno rifornito la precaria imbarcazione della quantità di carburante necessaria per raggiungere le acque territoriali italiane. Emerge così un retroscena che va ad alimentare la già intricata e complessa situazione diplomatica all’interno dell’area del Mediterraneo. In questi difficili mesi di pandemia, Malta ha preso la decisione di chiudere i porti per non incorrere in rischi di nuovi focolai di contagi sull’isola, potenzialmente portati da turisti e non residenti. Questa politica di salvaguardia per gli abitanti isolani non sembra però poter proteggere il governo di La Valletta dall’accusa di omissione di soccorso in mare, mossa da diversi attori istituzionali, compresa l’Unione Europea, attraverso la Commissione di Ursula Von der Leyen. Nonostante le numerose richieste di chiarimento sui fatti accaduti, tra le quali spicca quella del Ministro dell’Interno italiano Luciana Lamorgese, il governo maltese sembra non avere intenzione di commentare l’episodio. Le uniche dichiarazioni ufficiali riguardo all’accaduto, sono pervenute proprio mediante il ministro Lamorgese, le cui parole riportano un commento da parte del suo omologo maltese, Byron Camilleri. “La situazione non era esattamente come risultava dal video”, avrebbe dichiarato il ministro dell’interno del governo del giovane premier Robert Abela. Mentre la Farnesina conferma che la guardia costiera italiana non fosse stata avvertita rispetto alla vicenda dell’imbarcazione in arrivo, l’episodio in questione segna certamente un precedente rilevante. Seppur le autorità maltesi avessero già dato prova di comportamenti quantomeno discutibili in tema di soccorso in mare, l’episodio rappresenta un unicum nel suo genere. Prima d’ora infatti, non era mai successo che Malta prendesse questo tipo di iniziative nell’ambito dell’immigrazione e della cosiddetta “diplomazia del Mediterraneo”. Dall’altro lato, l’Italia si è trovata costretta a far fronte ad uno sbarco di 178 migranti senza alcun preavviso, unicamente come risultato di una decisione adottata in maniera unilaterale da parte del governo maltese. Sembrano ormai già lontani e dimenticati i giorni dei richiami alla solidarietà all’unità europea, delle nuove proposte di accordi e degli annunci ottimisti nel campo dell’immigrazione. Paradossalmente fu proprio a Malta che, lo scorso 23 settembre, i ministri dell’interno di Italia, Francia, Germania e Malta si incontrarono a La Valletta per stipulare un nuovo accordo temporaneo di solidarietà per la redistribuzione dei migranti. I roboanti annunci politici di un nuovo storico accordo internazionale però, lasciarono ben presto spazio allo scetticismo degli osservatori e degli analisti, i quali non hanno mai nascosto dubbi e perplessità rispetto all’iniziativa. Il risultato dell’incontro del 23 settembre fu una proposta da allargare a più paesi alleati sullo stesso fronte, da presentare in occasione del Consiglio dell’Unione Europea sugli Affari Interni, in programma il successivo 8 ottobre. La proposta sul tavolo fu vista essenzialmente come un segnale politico e non come un’effettiva proposta sostanziale per alterare i già consolidati equilibri politici all’interno dell’UE. In quella circostanza, gli unici paesi che si dissero favorevoli ad appoggiare l’accordo firmato a Malta, furono l’Irlanda, il Portogallo e il Lussemburgo. Incassata l’ennesima bocciatura ad una nuova riforma dei recenti accordi in essere in materia di immigrazione, l’Italia del secondo governo Conte non vide ricompensata una ambiziosa mossa politica in quanto a visibilità e discontinuità rispetto al precedente esecutivo. Di lì a poco l’accordo di solidarietà di Malta sparì dai radar della politica internazionale. Inoltre, vale la pena di ricordare che le politiche di immigrazione maltesi non sono affatto trasparenti nemmeno sul fronte interno. Esiste uno schema ben delineato per impiegare i migranti disperati in cerca di condizioni di vita migliori. È risaputo infatti che negli ultimi anni si siano moltiplicati i numeri degli “invisibili” impiegati, per la maggior parte, nel settore edile. Questi sono migranti che sono riusciti a sbarcare direttamente sull’isola, oppure dapprima in Italia, per poi partire proprio da Pozzallo. Una volta arrivati a Malta, entrano quindi a far parte di un sistema molto simile al caporalato, il quale permette a imprese di costruzioni senza scrupoli di sfruttare una nuova forza lavoro senza doversi curare dei diritti fondamentali dei lavoratori. Le leggi accomodanti per gli investitori e la fiscalità agevolata per le società completano il quadro. Questo è il doppio volto di Malta che, se da un lato respinge i migranti e li dirotta verso altri stati perché si dice impossibilitata ad ospitarne altri, dall’altro non si azzarda a interrompere un oliato meccanismo che va avanti ormai da tempo. Un circolo vizioso ben consolidato, attivo sin dalla precedente legislatura di Joseph Muscat, già denunciato dalla reporter Daphne Caruana Galizia, assassinata nel 2017 tramite un ordigno impiantato nella sua macchina. Bibliografia
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