a cura di Irene Ferri Il 23 novembre la Cina ha annunciato il raggiungimento dell’obiettivo di eliminazione della povertà estrema dal Paese. Anche le ultime 9 delle 832 contee che nel 2012 erano state classificate dal governo di Pechino come “estremamente povere” hanno superato la soglia di 4000 yuan di reddito annuale pro capite. Per Xi Jinping, che ha fatto della lotta alla povertà uno dei principali punti della sua agenda politica, si tratta di un traguardo fondamentale, poiché fino a quando ci saranno fasce di popolazione che vivono in condizioni di povertà, la Cina non potrà davvero essere la grande potenza che sogna di diventare. L’aver debellato la povertà estrema, tuttavia, non rappresenta il traguardo ultimo da raggiungere. Si tratta sì di un obiettivo importante, ma collocato in una cornice più ampia, ossia la fioritura economica delle zone rurali che devono diventare un ambiente piacevole per chi vi vive. La definizione di “povertà” fornita dal governo cinese, determina come povero chi ha un reddito annuo inferiore a 4000 yuan (l’equivalente di 607 dollari americani), tenendo conto dei prezzi attuali. Pechino si era proposta, entro la fine del 2020, di emancipare i milioni di persone ancora sotto tale soglia di povertà, soprattutto nelle zone rurali. Tuttavia, è necessario precisare che il sogno cinese di sradicare la povertà estrema non inizia con Xi Jinping, ma ha radici molto più profonde: esso inizia, infatti, con la nascita della Repubblica Popolare stessa nel 1949, sotto la guida del Grande Timoniere Mao Zedong. Le scelte di Mao in ambito politico ed economico, di cui è conseguenza il Grande Balzo in Avanti, hanno però agito in direzione opposta, non trasformando la Cina in un grande Paese industrializzato, bensì determinando un netto peggioramento delle condizioni di vita dei milioni di cinesi che già vivevano in estrema povertà. Un significativo cambio di rotta vi è stato grazie alle politiche di riforma e di apertura di Deng Xiaoping, che hanno portato la Cina a intraprendere il percorso di sviluppo economico che l’ha trasformata nella potenza che è oggi. Come mostrano i dati della Banca Mondiale, nel 1990 in Cina vivevano in povertà 770 milioni di persone. Tale cifra, grazie alle politiche adottate dal PCC, è scesa a 30 milioni nel 2019. Tuttavia, i passi in avanti fatti in tale direzione non sono stati abbastanza a causa dell’ancora esistente disuguaglianza tra le grandi città che prosperano e si trasformano sempre di più in smart cities, e le campagne dove spesso si vive ancora senza elettricità, acqua potabile e con razioni di cibo giornaliere non adeguate. Le strategie adottate da Pechino per raggiungere l’obiettivo di eliminazione della povertà estrema si possono dividere in due categorie: da un lato vi sono le politiche stabilite a livello nazionale, mentre dall’altro vi sono gli interventi locali, che implicano un alto grado di coinvolgimento dei funzionari locali del PCC. A livello nazionale ci si è concentrati sulla realizzazione di una serie di infrastrutture, strade e collegamenti che hanno permesso a molte zone rurali di non rimanere isolate e di avere anche accesso alla rete internet. Nel solo 2018 sono stati costruiti circa 200 mila chilometri di strade ed è stato possibile, per il 94% dei villaggi rurali, usufruire di una connessione alla rete. Inoltre, il governo ha incentivato decine di aziende a gestione statale (SOEs) ad avviare programmi di lotta alla povertà per un totale di 30 miliardi di yuan (circa 4 miliardi di dollari): I progetti portati avanti a livello locale sono stati, invece, alla base di reazioni molto controverse. Spesso i governatori locali sono stati accusati di aver sfruttato a fini personali i fondi forniti da Pechino per la lotta alla povertà. Il governo ha monitorato costantemente l’operato dei funzionari locali ed è intervenuto laddove le politiche locali non hanno ottenuto i risultati auspicati: nel solo 2018 circa 170 mila funzionari sono stati giudicati di fronte alla Commissione centrale per l’ispezione della disciplina, dopo essere stati accusati di corruzione. Inoltre, molto frequentemente i governatori locali sono stati accusati di essersi semplicemente occupati di trasferire gli abitanti dei villaggi rurali in costruzioni molto moderne e dotate di più comfort, ma senza mostrare la minima attenzione all’aspetto sociale della rilocazione. Numerose comunità sono state completamente distrutte, molti anziani hanno dimostrato la propria totale contrarietà al trasferimento e nessuno sembra essersi veramente interessato alla loro volontà. Un ulteriore elemento di malcontento legato alla pratica della rilocazione riguarda il fatto che molto spesso nella fase successiva al trasferimento le famiglie vengano abbandonate a sé stesse, riscontrino molta difficoltà nel trovare un lavoro che possa permettere loro di vivere mantenendo standard più alti e finiscano per rimpiangere la condizioni di povertà in cui vivevano prima. L’integrazione delle persone in nuove comunità è una sfida sociale di particolare importanza, soprattutto nel caso di minoranze etniche residenti in Tibet, Xinjiang e Qinghai, di cui nessuno sembra volersi occupare. Come rilevato da numerosi osservatori internazionali, inoltre, non si devono dimenticare i danni ambientali che la lotta alla povertà ha comportato. L’attenzione quasi esclusiva concentrata sul raggiungimento dell’obiettivo discusso, ha fatto sì che un altro dei main goals cinesi passasse in secondo piano. Diversi studi hanno confermato il peggioramento delle condizioni di aria e acqua nelle regioni maggiormente coinvolte nelle politiche di eradicazione della povertà estrema e ciò è dovuto al fatto che numerose aziende, la cui attività ha risvolti particolarmente inquinanti, sono state incentivate ad aprire nuove filiali nelle aree coinvolte, portando numerosi posti di lavoro e aumentando la prosperità economica, a discapito dell’ambiente. Non si può negare la rilevanza del traguardo raggiunto dalla Cina e il magistrale rispetto delle tempistiche. Tuttavia, in molti analisti cinesi e internazionali permangono un atteggiamento critico e una certa diffidenza. Wei Houkai, leader dell’Istituto di sviluppo agricolo dell’Accademia cinese di scienze sociali ha affermato: “China is still a country with the widest urban-rural gap in the world”, affermando che il problema delle aree sottosviluppate continuerà a esistere anche nel momento in cui non ci saranno più territori afflitti da estrema povertà. I risvolti negativi in questo processo di lotta alla povertà non sono mancati e non si deve dimenticare che nonostante sia stato raggiunto un obiettivo di notevole importanza, le disuguaglianze persistono e la strada verso il traguardo di una “società moderatamente prospera” è ancora lunga.
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