a cura di Giulia Calini Dopo essere stato eletto Primo Ministro dell’Ungheria nel 2010, Viktor Orbán ha guidato il suo partito “Alleanza Civica Ungherese” (Fidesz) su un percorso fatto di scelte discutibili. Il suo governo ha dimostrato più volte una grande mancanza di rispetto verso i valori europei fondamentali, compresi i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto. Orbán fa tutto il necessario per realizzare la sua idea di ‘democrazia illiberale’, concetto che può suonare come un ossimoro e che si basa sulla difesa dei principi della cultura cristiana, come la dignità umana, la famiglia tradizionale e la Nazione. Qui risiede l’abissale contrasto tra ciò che l’Ungheria dovrebbe essere e quello che in realtà è: essendo parte dell’Unione europea, dovrebbe conformarsi alla ‘democrazia liberale’ fatta di multiculturalismo, politiche di integrazione e di accettazione di diverse forme di unità familiari. Al contrario, il sogno di 'democrazia illiberale' di Orbán dà priorità alla cultura cristiana, è anti-immigrazione e sostiene il solo modello di famiglia tradizionale. Caratteristiche allarmanti di questa forma di governo è l’incoraggiamento della violenza. A tal proposito, particolarmente controverso è stato il ritiro dell’Ungheria dalla Convenzione di Istanbul, contro la violenza sulle donne. L'Ungheria ha firmato la Convenzione nel 2014 ma Orbán ha cambiato idea nel maggio 2020. Il rifiuto di ratifica è ancora più significativo in questo particolare periodo, poiché è stato dimostrato che la violenza domestica è aumentata nel periodo di quarantena innescato dalla crisi sanitaria del Covid-19. Il principio di uguaglianza non può funzionare in un paese dove si cerca di realizzare una ‘democrazia’ basata sulle sole credenze cristiane tradizionali, dato che ciò andrebbe ad intaccare l'idea di famiglia e del ruolo delle donne all’interno di esse e di una società comandata da credenze religiose. Gli esponenti politici di destra, sostenitori di Orbán, rifiutano gli sviluppi del progresso liberale, concentrandosi invece sui concetti di Nazione, famiglia e religione. Strumentalizzando il concetto di genere con un’accezione negativa, il governo descrive le donne come elementi centrali delle famiglie più che come cittadine comuni titolari degli stessi diritti degli altri cittadini ungheresi: essere mogli e madri è l’unico è più importante ruolo di cui si devono preoccupare. Di conseguenza, il governo ha fatto marcia indietro sulla Convenzione di Istanbul in quanto questa articola il concetto di genere in modi che vanno a favorire l’uguaglianza e ad intaccare la visione tradizionale del ruolo delle donne e dunque la Convenzione risulta problematica a causa di come il genere è costruito nel suo testo. Negli ultimi mesi numerosi paesi in tutta Europa hanno segnalato un aumento significativo degli incidenti di violenza domestica, dove le donne sono le vittime più frequenti di abusi dal partner, ma questo non ha influenzato l'opinione di Orbán. Il 5 maggio 2020 il parlamento ungherese ha adottato una dichiarazione politica con 115 voti favorevoli, 35 contrari e 3 astensioni, che respinge la ratifica della Convenzione. Il rifiuto della Convenzione di Istanbul è uno dei tanti eventi sconcertanti riguardanti l'Ungheria e i diritti umani. Da quando è entrato al potere nel 2010, il partito Fidesz ha cambiato la costituzione nazionale per chiarire la definizione di matrimonio, limitandola all'unione tra un uomo e una donna. Ad aprile 2020, il governo di Orbán ha anche presentato una legge, il cosiddetto Omnibus Bill che porrebbe fine al riconoscimento legale delle persone trans e di genere diverso nel paese, poiché il paese cerca di definire il genere come il ‘sesso biologico basato su caratteristiche sessuali primarie e cromosomi’. Strumentalizzando lo stato di emergenza sanitaria Covid-19, il governo ha emanato centinaia di decreti, anche su questioni estranee alla salute pubblica, ad esempio lanciando un assalto ai membri della comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender (LGBT) e minando i diritti delle donne. Inoltre, a maggio 2020, una nuova legge ha reso impossibile per le persone transgender o intersessuali cambiare legalmente il loro genere, mettendole a rischio di molestie, discriminazione e persino violenza nelle situazioni quotidiane in cui hanno bisogno di utilizzare documenti di identità, minando la loro dignità. Solo recentemente le persone transgender hanno ottenuto una piccola vittoria in mezzo a una discriminazione evidente: la Corte costituzionale ungherese ha infatti stabilito che il divieto legale di cambiare genere, introdotto lo scorso anno, non si applica retroattivamente. La sentenza significa che le persone che hanno iniziato un percorso di transizione di genere prima di marzo 2020, quando è stato introdotto il divieto, possono completare il processo. I legislatori non possono costringere i cittadini ad aspettare per intraprendere un percorso per essere riconosciuti nella maniera più appropriata, altrimenti un’ennesima violazione dei diritti umani è dietro l’angolo. Nonostante questo piccolo grande evento, la situazione in Ungheria rimane critica e la violazione di vari principi fondamentali europei continua a creare una tensione che non si allenterà fino a quando non vi sarà un cambio di rotta da parte del governo Orbán.
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