a cura di Laura Schella Stati Uniti e Arabia Saudita stabilirono le prime relazioni diplomatiche già a partire dagli anni ’30 del Novecento: a solo un anno dalla fondazione del Regno, avvenuta nel 1932, la Standard Oil Company of California (oggi nota con il nome Chevron) vinse una concessione sessantennale per esplorazioni petrolifere in territorio saudita. Nei decenni successivi i rapporti tra questi due Paesi si sono rafforzati e in diverse occasioni hanno collaborato per mantenere stabilità nella regione mediorientale. Dal punto di vista dell’Arabia Saudita, solo gli Stati Uniti possono garantire la sicurezza militare contro attacchi esterni, soprattutto provenienti dalla Repubblica Islamica dell'Iran; dall’altro lato gli americani hanno interesse ad accedere alle abbondanti risorse petrolifere della Monarchia saudita. La partnership tra questi due Stati è stata sempre definita da entrambe le parti come “strategica” ma recenti episodi, tra cui l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, potrebbero spingere la nuova amministrazione statunitense del Presidente Joe Biden a ricalibrarla. Dal 2017 l’immagine della monarchia saudita è incarnata da Mohammad Bin Salman Al Sa’ud, il figlio dell’attuale re Salman, salito al trono nel gennaio del 2015 dopo la morte del fratellastro Abd Allah. Nel 2017 Muhammad sostituì Muhammad bin Nayef come Principe della Corona (principe ereditario) e divenne dunque futuro successore dell’attuale sovrano. Il Principe, data la sua giovane età, si è costruito consenso soprattutto nella fascia della popolazione al di sotto dei trent’anni, dove le sue istanze di modernizzazione sono state accolte con entusiasmo. Parimenti, le riforme a favore delle donne, tra cui la possibilità di guidare, hanno incontrato l’appoggio dell’opinione pubblica internazionale che, soprattutto dopo gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001, guarda con diffidenza la rigida interpretazione del pensiero dell’Islam sunnita propugnato dal Wahhabismo, l’ideologia prevalente in Arabia Saudita. Queste riforme, seppur contenute, a favore delle donne sembrano essere parte del progetto di crescita economica di lungo termine, noto come Vision 2030. Nell’introduzione del documento ufficiale di presentazione, lo stesso Principe ereditario afferma che “Tutte le storie di successo iniziano con una visione e le visioni di successo si basano su forti pilastri”: la visione è quella di rendere il Paese “un pioniere, un modello globale di successo di eccellenza su tutti i fronti”, sfruttando l’importanza simbolica di “cuore” del mondo islamico, la determinazione di diventare un centro globale di investimenti e un hub di raccordo delle supply chain di Europa, Asia e Africa. La grandiosa visione sostenuta dal Principe bin Salman potrebbe tuttavia essere compromessa da alcune problematiche: in primo luogo, perché il Paese possa crescere secondo le aspettative della Vision 2030, è necessario mantenere un’immagine di affidabilità e stabilità che possa attirare investitori esteri ma il crescente autoritarismo non sembra favorire il giusto clima di fiducia per gli investimenti stranieri. Inoltre, la ricchezza dell’Arabia Saudita dipende dall’andamento dei prezzi del petrolio che, nella primavera del 2020, avevano subito un crollo vertiginoso ulteriormente incrementato dalle difficoltà nel trovare un accordo sulla produzione giornaliera di barili tra Russia ed Arabia Saudita. I due Stati riuscirono poi ad accordarsi, ma recentemente le autorità saudite hanno dichiarato che anche durante il mese di aprile 2021 sarebbe proseguito il taglio volontario di produzione di un milione di barili al giorno, per mantenere il prezzo del petrolio stabile ed evitare un eccessivo margine di differenza tra domanda ed offerta. Se i prezzi del greggio dovessero rimanere bassi la crescita economica saudita potrebbe essere seriamente compromessa. Venerdì 26 febbraio 2021 la nuova amministrazione del Presidente Biden ha declassificato un report del National Intelligence che evidenzia le responsabilità di bin Salman nell’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi. Le conclusioni a cui l’intelligence statunitense è giunta si basano sul fatto che “dal 2017 il Principe ereditario ha assoluto controllo delle organizzazioni di sicurezza e di intelligence del Regno, conseguentemente sarebbe altamente improbabile che gli ufficiali sauditi abbiano portato avanti un’operazione di questa natura senza [la sua] autorizzazione”. I rapporti tra la monarchia saudita e la precedente amministrazione di Donald Trump sono stati positivi: l’Arabia Saudita ha fortemente appoggiato la decisione statunitense di ritirarsi dall’accordo sul nucleare con l’Iran e in più occasioni tra i due Paesi sono stati conclusi accordi per la vendita di materiale bellico. Ora, la nuova presidenza Biden sembra voler ritornare a porre l’accento su democrazia e rispetto dei diritti umani, valori questi che potrebbero portare ad un riassetto delle relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita. Un’altra fonte di tensione è la guerra in Yemen. Lo scorso febbraio gli Stati Uniti hanno parzialmente bloccato la vendita di armi all’Arabia Saudita: l’obiettivo è quello di mantenere l’impegno nella lotta contro il terrorismo e il comune nemico iraniano ma, allo stesso tempo, porre fine alla sanguinosa guerra civile in Yemen. La decisione statunitense è chiaramente in rottura con l’amministrazione precedente: fino agli ultimi giorni della sua presidenza, Trump ha concluso accordi di vendita di materiale bellico (è bene ricordare che secondo l'International Institute for Strategic Studies l’Arabia Saudita era al terzo posto nella classifica dei paesi che spende di più nel settore militare) e ha inoltre incluso il gruppo ribelle degli Houthi nella lista delle organizzazioni terroristiche. L’Arabia Saudita potrebbe diversificare maggiormente i suoi rapporti diplomatici, per esempio con Russia e Cina. Nel primo caso, le tensioni con Mosca la scorsa primavera non lasciano presagire un ruolo decisivo della Russia come partner strategico saudita, nel secondo caso le relazioni tra i due Paesi, benché rilevanti, riguardano essenzialmente l’esportazione di petrolio verso il mercato cinese. In conclusione, la partnership strategica tra Stati Uniti e Arabia Saudita è destinata a durare, pur forse subendo un ridimensionamento. La stesso Presidente Biden, pur adottando sanzioni contro i responsabili dell’uccisione di Khashoggi, non ha rilasciato dichiarazioni di aperta condanna nei confronti del Principe bin Salman. Dall’altro lato, potrebbe essere molto difficile da parte saudita trovare un’alternativa valida capace di fornire la sicurezza militare e l’accesso a tecnologie avanzate come gli Stati Uniti.
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