a cura di Lorenzo Giordano Il successo del candidato democratico Joe Biden fa presagire un cambio di rotta rispetto alle politiche adottate dall’attuale presidente, Donald Trump, in molteplici sfere, dal sociale all’ambiente. Oltreoceano, invece, l’Unione Europea confida in una definitiva tregua commerciale con Washington. Nel contesto del Vecchio Continente, a guardare da vicino allo scenario post-elezioni è Londra, legata storicamente e culturalmente a Washington mediante una linea diretta che, a detta degli storici leader, valica i confini della partnership per sfociare in un’autentica friendship, nella formula della «special relationship». Tale espressione fu coniata ufficialmente da Winston Churchill in un discorso a Fulton, Missouri, nel 1946 ed affonda le proprie radici nel cosiddetto Great Rapprochement anglo-americano tra 1895 e 1915: una fase di convergenza diplomatica, militare ed economica tra le due nazioni, giunta al termine di un secolo di scontri ed instabilità. Il discorso di Churchill fa del senso di fratellanza insito nella “anglosfera”, che univa i popoli di lingua inglese su ambo le sponde dell’Atlantico, il punto focale della sua evocativa retorica, sebbene sia indubbio che retaggi linguistici e culturali siano solo un tassello di un puzzle subordinato alla Realpolitik e alle logiche della politica internazionale. Potenze democratiche dalla vocazione marittima e a lungo egemoni del sistema internazionale, Regno Unito e Stati Uniti si sono fatti promotori del suo sviluppo in senso liberale e hanno garantito che i principi del libero mercato e del laissez faire governassero un’economia globale aperta, fronteggiando in maniera cooperativa le minacce derivanti dalle autocrazie europee, dal militarismo nazifascista e dal comunismo sovietico. Ormai ci si domanda se quella della special relationship sia una formula anacronistica, destinata a durare sì, ma nella forma di un semplice rapporto privilegiato di natura regionale assimilabile alle relazioni intrattenute dagli Stati Uniti con Israele ed Australia. Un’ipotesi plausibile se si contestualizzano i differenti panorami globali del XX e del XXI secolo. Furono infatti le ultime fasi della Seconda guerra mondiale e le logiche della Guerra fredda ad accompagnare lo slancio cooperativo di Gran Bretagna e Stati Uniti e a dare impulso a conferenze alleate ed accordi bilaterali. Del resto, l’asse Londra-Washington costituiva il fulcro dell’Alleanza atlantica, in funzione di deterrenza nei confronti dell’Unione Sovietica. Oggi, l’equilibrio di potenza tra le forze dello scacchiere internazionale è mutato: la rapida ascesa cinese ha man mano eroso l’unipolarismo americano, portando Washington ad abbracciare la politica del pivot to Asia e a rafforzare i legami con i tradizionali alleati nel Pacifico. Con un’Europa non al centro degli interessi strategici statunitensi, lo “scudo atlantico” di Londra viene ridimensionato. Se, da un lato, Biden riprenderà la linea intransigente di Trump nei confronti di Pechino, Johnson dovrà invece ricucire le ferite con l’Unione Europea e definire un accordo commerciale con Washington, impedendo un’emorragia atlantica che sarebbe letale per Downing Street. Un accordo di libero scambio con la Casa Bianca, volto alla riduzione dei dazi e all’abolizione di tetti all’import di prodotti made in Usa, frutterebbe un introito pari allo 0,2% del Pil britannico in 15 anni, di fronte ad una perdita, generata dalla Brexit, stimata tra i 2 e l’8% nello stesso arco di tempo. Rinunciare all’opzione del no deal e accelerare i negoziati con Bruxelles appare, dunque, l’ipotesi più prudente sul tavolo del Premier britannico, anche alla luce della crisi economica scatenata dalla pandemia da Covid. Biden, che ha definito la Brexit un «errore storico» si è espresso in maniera favorevole rispetto ad un accordo tra Gran Bretagna ed Unione Europea e, rievocando le sue origini irlandesi, è arrivato a mettere in discussione il negoziato tra Londra e Washington qualora la Brexit dovesse intaccare il Good Friday Agreement del 1998, una risoluzione di pace tra Irlanda e Irlanda del Nord che attribuiva il diritto di autodeterminazione ad entrambe le popolazioni. Nonostante la distanza sullo spettro politico tra il conservatorismo populista di Johnson, più vicino ideologicamente a Trump, e il socialismo democratico di Biden, non è da escludere che i due leader possano trovare una quadratura del cerchio attorno alle questioni di politica estera: Cina, Russia, Iran e NATO su tutte. D’altronde, la storia della special relationship non è fatta solo di binomi vincenti, sulla falsariga del duo Thatcher-Reagan, maggiori esponenti del neoliberismo economico, o Blair-Clinton, fautori della “terza via”, ma anche l’intesa Blair-Bush Jr., sebbene politicamente non affini, ha dato prova di una certa sintonia nella guerra al terrorismo. Pertanto, la componente personale, benché possa agevolare i dialoghi bilaterali, non è l’unica, soprattutto se si guarda all’attuale interdipendenza economica, cioè al volume degli scambi commerciali e investimenti tra Londra e Washington. Il sentore è che Johnson debba incassare silenziosamente l’apostrofe di “clone fisico ed emotivo di Trump” rivoltagli da Biden lo scorso dicembre, specialmente se intende assicurarsi l’appoggio internazionale della Casa Bianca, indispensabile per la strategia post-Brexit della “Global Britain”, annunciata nel 2017 da Theresa May: una visione di grandeur da parte di una nazione con interessi globali, a cui in questi giorni Johnson ha contribuito stanziando oltre 18 miliardi di euro di spesa aggiuntivi al settore della difesa, rispetto ad un budget già previsto di circa 46 miliardi per il solo 2020. Che sia un messaggio diretto a Washington nell’ambito della sicurezza atlantica? La possibilità, inoltre, che Biden possa ripartire da Berlino e Parigi, forze motrici dell’Unione Europea, nel piano di riavvicinamento a Bruxelles, mette ulteriormente in discussione l’eccezionalità di Londra nel Vecchio Continente. Quel che è certo è che il Premier britannico dovrà lavorare duro per mantenere la relazione “speciale”, abbracciando, tra le linee politiche, quella del multilateralismo, a cui gli Stati Uniti di Biden potranno tornare. In quest’ottica, il G7 e la Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, che il prossimo anno avranno sede a Londra, costituiranno ottime opportunità per la costruzione di un rapporto di fiducia con la nuova amministrazione democratica. London Calling: anacronistica o no, la linea diretta anglo-americana, in questi giorni, può sembrar di tutto fuorché interrotta.
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