Un passo indietro nel campo dei diritti umani: la Turchia e il ritiro dalla Convenzione di Istanbul20/4/2021
a cura di Giulia Calini Dal 20 marzo 2021 la Turchia porta sulle spalle un grosso peso: l’abbandono della Convenzione di Istanbul crea infatti problemi e indignazione sia a livello interno che a livello internazionale. La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, meglio conosciuta come Convenzione di Istanbul, entrata in vigore nel 2014, è un tassello fondamentale per la protezione dei diritti umani avente come scopo quello di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime ed impedire l'impunità dei colpevoli. Nel 2012 la Turchia ratifica per prima, ma ora sorge spontaneo chiedersi come mai, di fronte alla evidente importanza dei diritti protetti nella Convenzione, la Turchia abbia deciso di tirarsi indietro attraverso un decreto presidenziale. Innanzitutto, bisogna tenere presente che in Turchia la violenza domestica e i femminicidi rappresentano un problema massiccio, radicato nella storia e cultura del paese. Basti pensare che mentre in Europa il 25% delle donne è vittima di violenza da parte di un partner nel corso della vita, in Turchia questo valore si alza toccando la preoccupante soglia del 38%. Significativo è che il leading case in materia di violenza domestica e di genere riguardi proprio la Turchia: si veda infatti il caso Opuz v. Turkey. Questo riguarda un processo del 2009 dove la protagonista è una donna che di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sostenuto che le autorità nazionali turche non si siano applicate per proteggere sua madre, uccisa dal marito, e nemmeno per proteggere lei stessa, vittima di ripetute violenze fisiche e psicologiche perpetrate sempre da parte dello stesso. La donna lamentava dunque le violazioni del diritto alla vita, del divieto di tortura e del divieto di discriminazione, in quanto le autorità turche sono solite non dare rilevanza ad episodi simili e dunque i procedimenti penali si rivelano sempre inefficaci. La sentenza finale della Corte si rivela molto importante: non solo questa conferma tutte le violazioni invocate dalla vittima, ma evidenzia anche quanto sia vero che la violenza di genere riguardi soprattutto le donne e che le autorità nazionali hanno un atteggiamento sbagliato che crea un clima favorevole a questo tipo di disgrazie e violazioni di diritti. Nel 2009 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sottolinea le radici discriminatorie e fondate sul genere dell’accaduto, aggiungendo che il sistema giudiziario turco è responsabile del clima di impunità presente nel paese. Proprio su questo ultimo punto il presidente turco Erdogan ha cercato un escamotage per giustificare l’abbandono della Convenzione di Istanbul. Appigliandosi alla Legge 6284 approvata l’8 marzo 2012, che mira ad incorporare la Convenzione all’interno della legislazione nazionale, il presidente e i suoi sostenitori hanno acclamato il ritiro della Turchia dalla Convenzione come un qualcosa di positivo. L’articolo 1 della legge spiega che le sue basi sono radicate nella ‘Costituzione turca e sui trattati internazionali di cui la Turchia è uno Stato parte, in particolare, il Trattato del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica’. Purtroppo per Erdogan, questo discorso non funziona. Questo perché proprio secondo la Costituzione turca, il Parlamento è incaricato di ratificare i trattati sui diritti umani e qualsiasi legge da esso approvata non può essere cambiato da emendamenti provenienti dall’esecutivo. Può dunque il decreto presidenziale di Erdogan lanciare un’inversione di marcia così forte? Costituzionalmente parlando la risposta è no. Il presidente, rappresentate l’esecutivo, non può esercitare funzioni legislative annullando la ratifica del Parlamento sulla Convenzione di Istanbul. Dunque, l’utilizzo improprio del decreto presidenziale va a mettere a nudo un più velato malfunzionamento dei meccanismi della Costituzione turca nel delineare la sfera di azione del legislativo e dell’esecutivo. Altra scusante usata per giustificare il cambio di opinione riguardo la Convenzione è stata la profonda cultura religiosa presente nel paese. In nome della protezione dei valori della famiglia tradizionale, molte figure conservatrici hanno accusato la Convenzione di essere pericolosa in questo senso, di dare alla comunità LGBTQ maggiori diritti e di approvare i matrimoni gay. Resta da chiedersi se questa dialettica sia logica, considerando che, come espresso dalla Women and Democracy Association (KADEM), di cui la figlia di Erdogan è vicepresidente, probabilmente è difficile chiamare famiglia una relazione nella quale sostanzialmente vi è un oppresso e un oppressore, più che un marito e una moglie. Secondo We Will Stop Femicides Platform, un gruppo per i diritti che monitora la violenza contro le donne, almeno 474 donne sono state uccise in Turchia l'anno scorso, la maggior parte da partner attuali o precedenti, familiari o uomini non imparentati che volevano una relazione con loro. Questo dato preoccupa soprattutto se si considera che quest’anno, quando le misure anti COVID-19 quali il lockdown sono state istituite, le violenze domestiche a danno di donne hanno subito un’impennata, situazione aggravata dal fatto che le vittime erano intrappolate a casa con i loro aggressori o incapaci di accedere facilmente ai servizi di sicurezza e supporto. L’utilizzo della religione come scusa per abbandonare la Convenzione di Istanbul pone dunque dei dubbi sull'impegno costituzionale per i diritti umani e l'uguaglianza di tutti i cittadini che ogni stato dovrebbe avere, indipendentemente dai valori sociali e familiari che ogni cittadino può avere. Di fronte a questa situazione critica, le proteste hanno infiammato le città turche, dove migliaia di persone hanno affollato le piazze per dimostrare il loro disaccordo con le decisioni del governo. A livello nazionale, i partiti di opposizione hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato, il più alto tribunale amministrativo, chiedendo un annullamento delle sue azioni. Tuttavia, date le preoccupazioni per la presa dell'esecutivo turco sulla magistratura, non è possibile prevedere l'esito di una simile sfida. A livello europeo, gli organi del Consiglio d'Europa, gli Stati membri e gli Stati parti della Convenzione di Istanbul hanno tre mesi di tempo dalla notifica ufficiale del ritiro formale per esprimere la loro posizione. Di certo questa è una situazione eccezionale mai verificatasi prima, ovviamente le reazioni non potranno essere che di forte carattere dato che un simile fatto va contro i principi base del sistema del Consiglio d’Europa: tutela dei diritti umani, democrazia e stato di diritto.
|
|