a cura di Emanuele Volpini Dal 1948, i rapporti tra Israele e il mondo arabo non hanno visto particolari segnali di miglioramento, se non in rare occasioni. Il primo episodio in cui sono stati istituiti rapporti ufficiali tra Gerusalemme e uno dei paesi del Medio Oriente è stato nel 1979. L’allora presidente egiziano Sadat fece ciò che non era mai accaduto nei trent’anni precedenti: riconoscere l’esistenza stessa di Israele. Lo fece andando in visita al parlamento israeliano - Knesset - e chiedendo una pace unilaterale per porre fine a tre decenni di lotte tra il suo popolo e gli israeliani. Le conseguenze per l’Egitto furono il suo isolamento diplomatico e l’espulsione dalla Lega Araba fino al 1989, con spostamento della sede operativa da Il Cairo a Tunisi. Da quel momento, nessun altro paese del mondo arabo ha mai più intrapreso strade di riconciliazione con Israele (eccezion fatta per la Giordania). Questo fino al 2020: gli Accordi di Abramo firmati il 15 settembre hanno rappresentato un evento di una portata simile a quello compiuto da Sadat oltre 40 anni fa. Gli Accordi di Abramo sono il terzo caso di ufficializzazione dei rapporti tra paesi del mondo arabo e Gerusalemme. A firmare questa iniziativa sono state due nazioni: Bahrain ed Emirati Arabi Uniti. Gli Emirati, dopo Egitto e Giordania, sono il terzo paese a normalizzare le relazioni diplomatiche con Israele e sono anche il primo paese del golfo a farlo. Anche il Sudan è entrato a far parte dell’accordo, mentre il Marocco – che ha già normalizzato le relazioni con Israele – resta alla finestra; Israele, inoltre, sarebbe pronto a portare avanti un discorso di normalizzazione anche con un futuro governo libico. In aggiunta a questi attori che hanno intrapreso una nuova fase della loro politica estera regionale, vi è l’Arabia Saudita del principe Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd. Il cambio di rotta avviene non casualmente. Gli Stati Uniti sono entrati in una fase di retrenchment e hanno abbandonato - seppur solo militarmente - il Medio Oriente dopo trent’anni dalla prima Guerra del Golfo. La nuova stagione delle relazioni internazionali degli attori mediorientali col loro nemico storico giunge in un momento di transizione per l’intera regione. A partire dagli Accordi di Abramo si sono intensificate sempre più le relazioni tra i Paesi arabi e Israele. L’Arabia Saudita, sotto questo punto di vista, si trova in prima fila. L’obiettivo del principe Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd e anche dei suoi omologhi regionali è instaurare un rapporto di cooperazione e sviluppo con Gerusalemme. La fase più acuta del conflitto arabo-israeliano sembra essere ormai alle spalle. Nonostante l’opposizione di Re Salman - la cosiddetta vecchia guardia legata al retaggio del passato -, le nuove generazioni, sia arabe che israeliane, vogliono lasciarsi indietro questa guerra pluridecennale che ha colpito fortemente i paesi arabi coinvolti e che ha lasciato strascichi anche in Israele. A suggellare ciò, non bisogna dimenticare il fatto che il ministro degli esteri israeliano, Yair Lapid, stia cercando di espandere gli Accordi di Abramo proprio all’Arabia Saudita e all’Indonesia. In ambito securitario, la potenza militare e tecnologica israeliana è da sempre fonte di ammirazione ma anche preoccupazione per gli attori arabi mediorientali. Per questa ragione, l’Arabia Saudita, come il Bahrain e soprattutto gli Emirati Arabi Uniti, vedono nella partnership con Israele un’occasione per limitare e cercare di arginare la politica aggressiva e di destabilizzazione attuata dal governo iraniano. Della pericolosità di Teheran si è discusso il 30 gennaio, quando il presidente israeliano Isaac Herzog in visita a Dubai ha incontrato il ministro degli esteri Sheikh Abdullah bin Zayed Al Nahyan. I temi trattati principalmente sono stati appunto due: la posizione antisraeliana dell’Iran e la minaccia alla leadership regionale del mondo arabo dei paesi del golfo. Questi avvenimenti, a partire dagli Accordi di Abramo fino alla storica visita di Herzog, mostrano come vi sia un interesse comune nel favorire la détente tra Israele e il mondo arabo. Inoltre, l’allontanamento parziale dal conflitto arabo-israeliano da parte dei vertici politici di alcuni dei Paesi storicamente più intransigenti è stato visto anche come una mossa per avvicinarsi a Washington. Il supporto americano, in un momento delicato e di profondo cambiamento come questo, in particolare dopo il ritiro dall’Afghanistan, mostra come la minaccia iraniana sia percepita ancora come il pericolo primario per gli attori regionali. Il fatto che i Paesi del Golfo, da sempre patria dell’Islam politico, stiano aprendo le loro porte a Stati come Israele, ma anche Turchia - non va dimenticato il nuovo asse tra Ankara e Doha -, è sintomo di cambiamento ma anche di consapevolezza delle minacce che riguardano tutti gli attori arabi sotto diversi punti di vista: securitario, politico ed economico.
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