A cura di Elisa Desiglioli, Osservatorio sull'Unione europea A seguito della pubblicazione del Patto Verde Europeo, più comunemente conosciuto come Green Deal, il 14 luglio l’Unione Europea ha varato un pacchetto di regolamenti e direttive volto a raggiungere la neutralità climatica nel vecchio continente entro il 2050. Il “Fit for 55” ha l’obbiettivo di ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030, in relazione ai livelli registrati nel 1990[1]. L’ambizioso proposito di Bruxelles è quello di lasciare alle prossime generazioni un pianeta maggiormente in salute attraverso la decarbonizzazione delle economie degli Stati membri. Secondo la Presidentessa della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, la linea da seguire per raggiungere la climate neutrality riguarda tre principali questioni: innovazione, investimenti e compensazione sociale. Difatti, il nuovo pacchetto legislativo in materia di energia e clima andrà ad intervenire su varie tematiche care all’UE: politiche energetiche, climatiche, fiscali, d’uso dei trasporti e del suolo. Nel 2010 è stata adottata dalla Commissione Europea un’iniziativa conosciuta come Energia 2020 – Una strategia per un’energia competitiva, sostenibile e sicura[2], che può essere considerata l’antesignana dell’attuale strategia energetica. L’obiettivo principale dell’iniziativa era raggiungere un mercato energetico che potesse essere definito sicuro in termini di approvvigionamento e che fosse caratterizzato da prezzi competitivi. Inoltre, particolare rilevanza doveva essere dedicata al miglioramento delle relazioni con i partner commerciali nel settore. Nel 2015, gli stessi principi vengono riproposti come i pilastri della Energy Union[3], priorità della Commissione Juncker. Malgrado le iniziative dello scorso decennio, dai dati Eurostat emerge che in 10 anni (2008-2018) gli indici nazionali di dipendenza energetica hanno subito lievi variazioni, fatta eccezione per alcuni paesi come l’Estonia e l’Irlanda. In media, sono i Paesi più piccoli a dipendere maggiormente dalle importazioni nel settore energetico per soddisfare il fabbisogno nazionale di energia, in particolare Malta, Lussemburgo e Cipro, seguite dal Belgio e gli Stati dell’Europa Meridionale. Attualmente sono diversi i Paesi membri dell’Unione Europea che si trovano in una grave situazione di dipendenza energetica rispetto a paesi terzi: complessivamente, vengono importati nell’UE più di due terzi dei prodotti petroliferi e il 26% del gas; e circa il 30% delle importazioni del settore proviene dalla Russia[4]. Nel 2018, è stato importato il 58,2% dell’energia lorda disponibile dell’UE. Il settore dei trasporti e quello edilizio sono i principali segmenti economici presi in esame dalla Commissione Europea per un’efficiente transizione energetica: secondo l’ufficio statistico dell’UE almeno 3 edifici residenziali su 4 non soddisfano i requisiti di efficienza energetica e il 94% dei trasporti si alimenta con prodotti petroliferi.
Ruoli altrettanto importanti sono occupati dall’efficienza energetica e dalla percentuale di energia prodotta dalle fonti rinnovabili. Per essere davvero “Pronti per il 55%”, quest’ultima deve occupare almeno il 32% della produzione totale nell’Unione entro il 2030 (al momento ammonta circa al 20%), a fronte di un crescente risparmio energetico raggiungibile principalmente attraverso l’innovazione e gli incentivi politico-economici promossi a livello nazionale e comunitario. Secondo i nuovi standard europei, gli obblighi di risparmio raddoppiano. La questione della competitività dell’Unione come soggetto importatore di energia sfocia in un ulteriore divisione sul tema dell’idrogeno: il primo elemento della tavola periodica si presenta come alternativa rinnovabile sostenibile e sicura, ma l’Europa non ha abbastanza capacità rinnovabile per produrlo. La Ministra francese per la transizione ecologica Barbara Pompili si è fatta portavoce di quei Paesi - tra cui quelli geograficamente vicini alla Russia come Estonia, Ungheria e Repubblica Ceca - che insistono sull’innovazione tecnologica dei singoli stati al fine di eliminare la dipendenza energetica attraverso gli investimenti comunitari. L’impegno per una transizione verde da parte di ogni Stato membro deve avvenire il prima possibile, nonostante i Paesi europei presentino energy mix molto eterogenei tra loro. La presenza delle economie dei V4 (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria), storicamente più dipendenti dall’utilizzo di carbone e petrolio, potrebbe rallentare il raggiungimento dello scopo del Fit for 55. In particolare, la percentuale del loro ricorso alleimportazioni di petrolio e gas russo si aggira tra l’80% e il 100%, a seconda dello Stato in oggetto. Questa posizione rende l’UE un partner economico poco competitivo sul mercato energetico, soprattutto considerando le numerose interruzioni delle forniture dovute ai rapporti instabili di Mosca con Minsk e Kiev, passaggi obbligatori per il transito delle risorse energetiche. I Primi Ministri di Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria sono consapevoli della necessità di trasformare i propri sistemi energetici nazionali, anche in considerazione dei pilastri e delle richieste UE. Ciononostante, si aspettano che Bruxelles rediga delle regole ad hoc per gli Stati Membri a basso reddito. Il prezzo della transizione è sicuramente alto, ma secondo gli esecutivi di Visegrad ci sarà bisogno di un ancor più significativo aumento negli investimenti comunitari. Il Gruppo di Visegrad ha infatti richiesto un aumento della dimensione del Modernisation FundModernisation Fund[5], in particolare si parla di un aumento al 6% delle quote totali di ETS previste nel pacchetto Fit for 55. Al momento, la Commissione Europea stima che le entrate totali del Modernisation Fund potrebbero ammontare a circa 14 miliardi di euro complessivi, a seconda del prezzo del carbonio, da destinare ai 10 paesi a basso reddito dell’UE. Inoltre, desta preoccupazione l’ampio ricorso dell’Europa Centro-Orientale all’energia nucleare. Uno dei principali punti di scontro è l’ammodernamento degli impianti nucleari, alcuni costruiti negli anni ’80 con le competenze tecnologiche dell’URSS, come le centrali nucleari ceche di Dukovany e Temelin. Per esempio, l’energy mix ceco si compone per il 57,4% si compone di combustibili fossili e per il 35% dall’energia nucleare, mentre solo il 7% da energie rinnovabili. I policy makers del governo ceco hanno dato priorità al nucleare nel 2015 attraverso il Piano d’Azione Nazionale per l’Energia Nucleare: il 50% dell’energy mix ceco sarà composto dall’energia nucleare entro il 2040. Raggiungere quanto prima un futuro verde, equo e sostenibile è l’inderogabile obbiettivo che la Commissione Europea si impegna a raggiungere attraverso l’impegno incondizionato nella nuova legislazione da parte di tutti gli Stati membri. Appellarsi alle normative e ai sussidi europei deve essere un diritto dei Paesi che si impegnano a rispettare i dover di tutta la Comunità europea, che ne compongono la quint’essenza. In attesa del prossimo Consiglio dei ministri dell’Energia, ci si interroga sul bivio che i governi europei saranno costretti a superare per raggiungere la neutralità climatica: continuare ad importare energia, anche se rinnovabile, o investire a livello comunitario nello sviluppo di energia a zero emissioni. [1] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_21_3541 [2] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A52010DC0639 [3] https://ec.europa.eu/energy/topics/energy-strategy/energy-union_it [4] Fonte: EUROSTAT (2017) [5] https://ec.europa.eu/clima/policies/budget/modernisation-fund_it, Programma di sostegno economico per supportare 10 Stati membri a basso reddito dell’Unione Europea nella transizione verso la neutralità climatica aiutandoli nel processo di modernizzazione dei sistemi energetici nazionali e nel miglioramento dell’efficienza energetica. I beneficiari sono Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia. Il fondo viene finanziato tramite i ricavi derivanti dalla vendita all’asta del 2% delle quote totali per il periodo 2021-2030 nell’ambito del sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (EU ETS) e da indennità aggiuntive. |
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