A cura di Carmela Lopez, vincitrice dell'Essay Competition "La sfida climatica: tra inuguaglianze e squilibri mondiali"
Il cambiamento climatico rinforza le disuguaglianze. Una tendenza che sembra stare affermandosi è quella di trattare tali problematiche anche in fora internazionali non strettamente legati al clima o all’ambiente, ma tipicamente concentrati sui diritti umani. Santos Rìoz Carranza ha 35 anni, è una donna peruviana che vive a Lima da tempo, e negli ultimi anni ha avuto serie difficoltà ad assicurare un sufficiente approvvigionamento idrico a se stessa e alla sua famiglia (Ziegler, Morales Tovar, 2020). Sheila Watt-Cloutier è una inuit che ha dovuto assistere allo spostamento di intere abitazioni nella sua regione a Nunavik, in Salluit, in quanto queste stavano progressivamente collassando a causa del permafrost (Shah, 2019). Joyce Tan, attivista e avvocatessa Filippina, viene da un paese in cui il negazionismo climatico non esiste, perché la popolazione sta già sperimentando gli effetti dei disastri naturali sempre più frequenti (Amnesty International, 2020). Cos’hanno in comune tre persone in tre diversi angoli del mondo? Tutte e tre vivono in luoghi in cui il cambiamento climatico le ha poste in una condizione di crescente pericolo, instabilità e precarietà. Non si tratta di casi isolati: il cambiamento climatico rinforza le disuguaglianze, non solo nei paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli maggiormente industrializzati. (Banos Ruiz, 2019). Naturalmente, tali fenomeni di portata globale sono esaminati e discussi a livello multilaterale; in particolare, una tendenza che sembra stare affermandosi è quella di trattare problematiche concernenti il cambiamento climatico anche in fora internazionali non strettamente legati al clima o all’ambiente, ma tipicamente concentrati sui diritti umani. Questa evoluzione, già evidenziata da alcuni studiosi (Auz, 2018), porta a considerare come le Conferenze delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, note anche come COP, (United Nations Climate Change, n.d.) non siano gli unici luoghi di discussione di tali problematiche. In virtù di questo fenomeno è dunque possibile chiedersi: il cambiamento climatico sta cambiando il volto dei negoziati sui diritti umani? Nello specifico, alcuni recenti eventi e processi sembrano supportare tale ipotesi. Le violazioni dei diritti dei difensori dell’ambiente I popoli indigeni sono tra i più esposti esposti alle conseguenze dirette del cambiamento climatico, a causa della loro dipendenza dalle risorse naturali e dello stretto rapporto con l’ecosistema che abitano; il cambiamento climatico, inoltre, tende ad aggravare alcune delle problematiche che queste popolazioni affrontano, fra cui la perdita di risorse e di terre, la discriminazione, e l’esclusione dai processi decisionali. (United Nations Department of Economic and Social Affairs, n.d.). Alla luce di tali considerazioni, è dunque comprensibile che queste comunità siano spesso impegnate nella protezione ambientale e nella lotta al cambiamento climatico, e si scontrino frequentemente con interessi economici e industriali, cosa che le porta a diventare il bersaglio di violenze e soprusi. (Peace Brigades International, n.d.). Il fenomeno è noto da anni: già nel 2016, il Global Witness stimava che durante l’anno, ben 200 omicidi di difensori dell’ambiente avessero avuto luogo in 24 paesi, specificando che il 40% degli attivisti assassinati erano indigeni (Orellana, 2018): gli attivisti ritengono che forze politiche o interessi economici motivino tali attacchi, ma gli arresti e le identificazioni sono ancora esigui (Orellana, 2018). Tale fenomeno sta assumendo rilevanza e visibilità anche nel contesto multilaterale – per esempio, la comunità della conservazione ambientale sta cominciando ad auspicare la protezione dei difensori dell’ambiente: in particolare, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) si sta concentrando sul tema attraverso una risoluzione in occasione del World Conservation Congress (IUCN, 2021). Inoltre, nei primi mesi del 2021, l’Accordo di Escazù entrerà in atto, e rappresenterà un’importante novità a livello internazionale; va ricordato che l’accordo, negoziato nel 2018 a Escazù, in Costa Rica, fu fondamentale anche perché vide il coinvolgimento della società civile così come di esperti dei diritti umani nel processo decisionale (Ali, 2021). Esso garantisce il diritto di accedere alle informazioni ambientali e di partecipare alle decisioni di carattere ambientale; in aggiunta, l’Accordo prevede una serie di obblighi a cui gli Stati devono adempiere, e che sono fondamentali per la tutela dei difensori dell’ambiente, come per esempio anche l’istituzione di linee guida su misure appropriate ed efficaci per garantire la loro sicurezza (Ali, 2021). Un nuovo diritto fondamentale: il diritto a un ambiente sano Inoltre, continua ad emergere il dibattito intorno all’istituzione del Diritto universale a un ambiente sano. (Universal rights group, n.d.). La Dichiarazione universale dei diritti umani non prevede il diritto a un ambiente sano, fondamentalmente per via di una questione cronologica – è stata infatti redatta prima che la tematica del cambiamento climatico diventasse presente nel dibattito pubblico (Universal rights group, n.d.). Tuttavia, secondo lo Universal rights group (n.d.), negli ultimi anni ci sono stati una riflessione e un impegno crescenti, a livello internazionale e non solo, a riguardo di tale problematica, tant’è che ormai diverse costituzioni nazionali riconoscono questo diritto. Per quanto concerne le Nazioni Unite, il primo Relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani e l'ambiente, John Knox, ha concluso il suo mandato chiedendo agli Stati di riconoscere il diritto all'ambiente a livello internazionale; da allora questo appello è stato sostenuto dall’Alto Commissario per i diritti umani. (Universal Rights Group, n.d.). Nel 2019 è stato pubblicato l’Environmental Rule of Law First Global Report del Programma ambientale delle Nazioni Unite, la prima valutazione globale in assoluto dello stato di diritto ambientale (UNEP, 2019): a margine di tale pubblicazione, il nuovo Relatore, David Boyd, ha affermato: “a meno che non sia rafforzato lo stato di diritto ambientale, anche le regole apparentemente più rigorose sono destinate a fallire e il diritto umano fondamentale a un ambiente sano non sarà realizzato”. (Rinnovabili.it, 2019) Inoltre, in una nota presentata nel caso Norwegian Artic Oil, il Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e l'ambiente, e il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle sostanze pericolose e i rifiuti, Marcos A. Orellana, in qualità di amici curiae, sono intervenuti affermando “il diritto a un ambiente sano conferisce potere ai cittadini e alla società civile, rafforzando il processo decisionale democratico e promuovendo la responsabilità politica. L'accesso alla giustizia è di per sé un diritto umano fondamentale, anche nel contesto dei danni ambientali " (Politi, 2020). A livello globale, il numero di contenziosi in tale ambito è in aumento (Politi, 2020). Come evidenzia l’UNEP (2019), insieme a Boyd, diversi sono gli attori e le organizzazioni che hanno esaminato gli obblighi in materia di diritti umani relativi al cambiamento climatico, e queste riflessioni evidenziano sia che il cambiamento climatico e il suo impatto minacciano i diritti umani, sia che il settore pubblico e quello privato hanno entrambi obblighi e responsabilità in questo senso. Naturalmente, la riflessione intorno all’impatto del cambiamento climatico sulle strutture sociali ed economiche e le disuguaglianze non è rappresentata esclusivamente dai processi precedentemente menzionati. Sarà interessante comprendere lo sviluppo di tale tematica, che evidenzia come il cambiamento climatico stia diventando sempre più un tema trasversale; ancora più interessante sarà scoprire se questo sviluppo consentirà a Rìoz Carranza di avere, un giorno, acqua a sufficienza per se stessa e la sua famiglia. Bibliografia
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