A cura di Erika Frontini, Osservatorio sull'Unione europea
La politica di allargamento dell’UE è stata a lungo considerata un metodo di successo per la promozione della democrazia da parte di un attore esterno (1). In realtà, l’utilizzo del processo di adesione per tale scopo ha riguardato solo gli allargamenti più recenti. Inoltre, gli strumenti pensati per promuovere democrazia e stato di diritto nei Paesi candidati sono stati rivisti negli anni, adattandoli al contesto locale ed imparando dalle esperienze - non sempre positive - del passato. Quando, nel 1973, Regno Unito, Irlanda e Danimarca si unirono ai Sei fondatori, non esisteva una politica di allargamento ben strutturata, ma solo una procedura, descritta all’art. 237 del Trattato di Roma (ora art. 49 TUE). L’unica condizione per poter essere ritenuto idoneo a diventare membro della Comunità era essere uno “Stato europeo” (2). Per giunta, tali Paesi erano già democrazie, perciò la questione non si pose. Dunque, la prima occasione in cui l’adesione giocò un ruolo nella democratizzazione dei Paesi candidati fu l’allargamento a Grecia, Spagna e Portogallo. Tutti questi Paesi, che completarono l’accesso nel corso degli anni Ottanta, furono ammessi solo dopo aver superato i governi autoritari che li avevano guidati fino a poco prima. Il fatto che precedenti tentativi di essere coinvolti nel processo di integrazione fossero stati respinti dalle istituzioni europee corrobora la tesi che l’appartenenza alle Comunità sia, sin dalle origini, riservata alle sole democrazie. In particolare, nel 1961 il Parlamento europeo negò alla Spagna un accordo di associazione adottando il Rapporto Birkelbach, nel quale si affermava che la garanzia di una forma di Stato democratica è condizione per l’adesione (3). Nondimeno, in quella circostanza, le istituzioni non colsero la possibilità di porsi come esportatrici attive di istituzioni e pratiche democratiche: pur esigendo il rispetto di tali principi dagli aspiranti Stati membri, non fornirono nessun tipo di orientamento sulle riforme da intraprendere (4). L’atteggiamento delle istituzioni UE è decisamente cambiato con la fine della guerra fredda, quando la fila di aspiranti nuovi membri si è notevolmente allungata. Se, da un lato, l’accesso di Austria, Finlandia e Svezia non ha richiesto nessuna azione nel campo della promozione dei valori fondamentali, l’aspirazione di dieci Paesi dell’Europa centro-orientale ad essere pienamente integrati rappresentava una grande sfida per la neonata Unione. È proprio in questo contesto che le istituzioni hanno iniziato ad adottare una postura più attiva rispetto alla democratizzazione degli Stati candidati. In un primo momento, l’UE si è limitata a ribadire che il rispetto dei valori democratici costituisce una condizione essenziale non solo per l’adesione, ma anche per essere ammessi al processo negoziale (5). Il Consiglio europeo di Copenaghen del 1993 ha elencato i criteri di adesione, che includono “la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela” (6). In seguito, le istituzioni hanno progressivamente delineato una strategia per guidare i Paesi candidati nella realizzazione delle riforme necessarie durante il periodo di pre-adesione, trasformando l’allargamento da semplice procedura a vera e propria policy (7). Inizialmente, si è fatto uso degli accordi di associazione - già firmati da alcuni degli aspiranti Stati membri - e dei relativi sistemi istituzionali, i quali fornivano un canale di dialogo, ma anche un’opportunità di monitoraggio dei progressi nell’attuazione delle riforme (8). Allo stesso modo, i programmi di finanziamento di cui tali Paesi già beneficiavano sono stati reindirizzati al soddisfacimento dei criteri di adesione. Più tardi, con la pubblicazione dell’Agenda 2000 e il Consiglio europeo di Lussemburgo nel 1997, la strategia di pre-adesione è stata ulteriormente rafforzata. Da quel momento, per ogni candidato, vengono individuate specifiche priorità in un documento di partenariato. L’assistenza finanziaria è condizionata al raggiungimento degli obiettivi del documento di partenariato e i progressi di ciascun Paese sono attentamente monitorati dalla Commissione, che produce ogni anno appositi report. Parallelamente, a seconda del loro livello di preparazione, i candidati portano avanti i negoziati di adesione, organizzati per capitoli riguardanti i diversi aspetti dell’acquis. All’affacciarsi del nuovo millennio, c’era quindi grande entusiasmo rispetto alla politica di allargamento, tanto da spingere l’UE ad impegnarsi in maniera ambiziosa nei confronti dei Balcani Occidentali, i prossimi in lista. Tuttavia, tale slancio si è presto scontrato con la delicata situazione di questi Paesi e la crescente “stanchezza da allargamento” negli Stati membri. Per di più, preoccupanti involuzioni in alcuni Paesi di recente adesione hanno alimentato dubbi sull’effettiva capacità dell’UE di assicurare una democratizzazione stabile e duratura. In risposta a tutto ciò, le istituzioni hanno rafforzato il principio di condizionalità, soprattutto rispetto ai valori fondamentali. Ora, i capitoli riguardanti questi ultimi sono trattati per primi e chiusi solo alla fine dell’intero processo, in modo da prolungare l’esposizione alla condizionalità prima dell’adesione (9). L’uso di benchmark da raggiungere per poter aprire o chiudere i vari cluster negoziali va nella stessa direzione. La più recente riforma della metodologia di allargamento sottolinea poi la necessità di istituire un chiaro meccanismo di incentivi e sanzioni per assicurare il rispetto dei criteri. Quindi, si prevede la possibilità di premiare i candidati virtuosi con più fondi o un’integrazione accelerata in singole aree. Invece, in caso di prolungato stallo o regressione, i negoziati possono essere sospesi (10). Come emerge da quanto detto sopra, la strategia dell’UE per promuovere la democrazia nei Paesi candidati è incentrata sul meccanismo di condizionalità: l’adozione di determinate norme costituisce la condizione per accedere a certi benefici (11). Il fatto che l’adesione rappresenti il “premio” più bramato dagli aspiranti Paesi membri rende tale strumento particolarmente proficuo nell’ambito della politica di allargamento. Nondimeno, ci sono fattori che incidono sull’efficacia della condizionalità, quali chiarezza delle condizioni e rapporto costi/benefici per ciascun Paese. Ma, più di ogni altra cosa, la promessa dell’Unione di assorbire quegli Stati che rispettano tutti i criteri deve essere credibile: solo così i Paesi candidati saranno veramente motivati ad implementare le riforme richieste. Al contrario, negli ultimi anni, la politica di allargamento è stata colpita da un deficit di credibilità. Questo si deve a un’opinione pubblica tendenzialmente sfavorevole, a disaccordi tra gli Stati membri, nonché dispute bilaterali tra questi ed alcuni Paesi candidati (12) - basti pensare alla Macedonia del Nord, che si è vista sbarrare la strada verso l’adesione per ben tre volte dai veti di diversi Paesi membri. In aggiunta, quando si tratta di esportare valori e norme di comportamento, come nel caso della democrazia, l’approccio rapido e tecnocratico insito nel principio di condizionalità potrebbe non bastare, o peggio essere controproducente (13). Affinché la democratizzazione sia sostanziale e duratura, è necessario che le regole democratiche siano interiorizzate da classi dirigenti e popolazioni. Pertanto, all’interno della strategia per l’allargamento, andrebbe dato maggior rilievo a strumenti di socializzazione, garantendo al contempo una maggiore partecipazione dei cittadini. 1. Vachudova, M. A. EU Leverage and National Interests in the Balkans: The Puzzles of Enlargement Ten Years on. Journal of Common Market Studies, vol. 52, n. 1, January 2014, p. 122-138. 2. Comunità Europee. Trattato che istituisce la Comunità economica europea. Roma, 25 marzo 1957. 3. European Parliament. Report by Billy Birkelbach on the Political and Institutional Aspects of the Accession to or Association with the Community. 19 December 1961. 4. Barracani, E., Calimli, M. Evaluating Effectiveness in EU Democracy Promotion: The Case of Turkey. Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, n. 3, 2016, p. 427-456. 5. Smith, K. E. The Evolution and Application of EU Membership Conditionality. In Cremona, M. (Ed.) The Enlargement of the European Union. Oxford University Press, 2003, p. 105-139. 6. EUR-Lex. [Online] Glossario delle sintesi. Criteri di adesione. Consultabile su: https://bit.ly/3g9lkAb 7. Emmert, F., Petrovi, S. The Past, Present, and Future of EU Enlargement. Fordham International Law Journal, vol. 37, issue 5, 2014. 8. Maresceau, M. Pre-Accession. In Cremona, M. (Ed.) The Enlargement of the European Union. Oxford University Press, 2003, p. 9-42. 9. Vachudova. EU Leverage and National Interests in the Balkans. 2014. 10. Commissione europea. [Online] Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni. Rafforzare il processo di adesione - Una prospettiva europea credibile per i Balcani occidentali. Bruxelles, 5 febbraio 2020. Consultabile su: https://bit.ly/2RzitbG 11. Schimmelfennig, F., Sedelmeier, U. [Online] The Europeanization of Eastern Europe: the External Incentives Model Revisited. In Matlak, M., Schimmelfennig, F., Woźniakowski, T. P. (Eds.) Europeanization Revisited: Central and Eastern Europe in the European Union. European University Institute, 2018, p. 19-37. Consultabile su: https://cadmus.eui.eu/handle/1814/59573 12. Ibid. 13. Malová, D., Dolný, B. The Eastern Enlargement of the European Union: Challenges to Democracy?. Human Affairs, n. 18, 2008, p. 67–80. |
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