a cura di Arianna Caggiano Da qualche settimana, il confine tra Polonia e Bielorussia è protagonista di un arrivo sempre più consistente di migranti, provenienti principalmente dal Medio Oriente, che ha determinato una crisi migratoria, umanitaria e politica. I tentativi di attraversamento della frontiera sono stati al centro del dibattito politico e istituzionale di diversi attori politici, determinando un peggioramento specialmente nei rapporti tra Bielorussia e Unione Europea. Per comprendere le motivazioni dell’arrivo di migliaia di migranti alle frontiere esterne dell’Europa orientale, è necessario fare un passo indietro nel tempo. Infatti, l’origine dei flussi dal Medio Oriente risale all’inizio dell’estate 2021, quando il governo di Alexander Lukashenko ha iniziato ad orchestrare il viaggio di migliaia di persone disposte a migrare verso l’Europa tramite l’agevolazione di procedure burocratiche finalizzate a rilasciare visti “turistici” ad agenzie di viaggi statali, di cui Minsk ha una partecipazione economica, in Paesi come Iraq, Siria, Egitto, Libano, Iran e Afghanistan. Il motivo per cui il dittatore bielorusso Lukashenko ha incoraggiato i flussi migratori verso il confine con l’Europa è giustificato dalla volontà di Minsk di rispondere alle interferenze – così definite da Lukashenko – dell’UE negli affari interi del paese. Infatti, a seguito delle elezioni presidenziali tenutesi il 9 agosto 2020, che hanno conferito il sesto mandato consecutivo ad Alexander Lukashenko, l’Unione Europea ha rifiutato di riconoscere i risultati elettorali, imponendo sanzioni contro il governo bielorusso per la repressione e le persecuzioni dell’opposizione politica. Lukashenko, in risposta a tali azioni, ha orchestrato la cosiddetta “guerra ibrida” colpendo gli Stati Membri e le istituzioni di Bruxelles nel loro punto più debole: i flussi migratori verso le frontiere esterne dell’Unione Europea. Di fronte agli arrivi organizzati da Minsk, l’Unione Europea ha accusato il regime di Lukashenko di sfruttare la crisi migratoria per fini politici e di strumentalizzare le vite umane dei migranti per creare pressione alle istituzioni. La strategia del presidente bielorusso sarebbe quella di ricattare l’UE per ridurre le sanzioni e restituire legittimità internazionale al proprio governo. In un dibattito in plenaria tenutosi la prima settimana di novembre a Bruxelles, l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell, ha dichiarato l’impegno da parte delle istituzioni UE per trovare soluzioni con i paesi d’origine affinché possano impedire l’arrivo di altri flussi. Inoltre, Borrell ha sottolineato la necessità da parte delle forze bielorusse di fornire aiuti umanitari ai migranti attualmente presenti al confine con Polonia, Lituania e Lettonia. Tuttavia, il regime di Lukashenko è lontano dal fornire assistenza umanitaria ai migranti, incoraggiandoli invece a oltrepassare i confini esterni dell’Unione con l’obiettivo di mettere in ulteriore difficoltà le istituzioni di Bruxelles. Di fronte a tale crisi, l’Unione Europea ha annunciato il quinto pacchetto di sanzioni nei confronti della Bielorussia, finalizzato a colpevolizzare Lukashenko per la strumentalizzazione delle vite dei migranti, nonché la continua repressione dei dissidenti. Tra le altre misure a fronte della precaria situazione umanitaria alla frontiera, la Commissione Europea ha stanziato 700 mila euro per le organizzazioni internazionali partner (UNHCR, IOM, IFRC) presenti al confine per fornire assistenza in cibo, kit di pronto soccorso e coperte. Una volta arrivati a Minsk, i migranti giungono al confine del primo paese d’ingresso, la Polonia. Analizzando la posizione del governo polacco, guidato da una formazione nazionalista e ostile all’accoglienza dei migranti, è importante sottolineare come quest’ultimo sia responsabile delle procedure di asilo ed accoglienza secondo il Regolamento di Dublino. Dalla fine della scorsa estate, il governo polacco ha militarizzato il confine estendendo le recinzioni e aumentando le sue pattuglie. Inoltre, nelle ultime settimane, a fronte dell’arrivo improvviso di migliaia di persone pronte a valicare il confine, il Primo Ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha schierato circa 12 mila soldati dell’esercito con l’obiettivo di difendere i confini polacchi e la frontiera esterna dell’UE. Tra le varie misure, gli uomini dell’esercito hanno utilizzato gas lacrimogeni per impedire ai migranti di oltrepassare la frontiera, bloccandoli quindi al confine in condizioni umanitarie e climatiche disastrose. L’UE ha incoraggiato le autorità di Varsavia a porre fine ai violenti respingimenti verso la Bielorussia e accogliere l’assistenza delle organizzazioni internazionali per gli aiuti umanitari. Il governo di Varsavia, insieme a Slovenia, Austria, Grecia, Ungheria e Danimarca, ha chiesto all’UE di finanziare la costruzione di un muro alla frontiera esterna orientale per impedire gli attraversamenti irregolari. Nonostante la relativa apertura verso l’installazione di una barriera in funzione anti-migratoria da parte del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, la Commissione guidata da Von der Leyen ha respinto l’idea di utilizzare il bilancio dell’Unione per finanziare eventuali recinzioni. Sebbene il principale responsabile dell’attuale crisi umanitaria sia considerato il regime di Lukashenko, da settimane il governo di Morawiecki è accusato di respingimenti anche a scapito di coloro che riescono a valicare il confine e che sono quindi titolari del diritto di chiedere asilo nel paese di prima accoglienza, come sancito dal diritto internazionale e dal regolamento di Dublino. Sulla stessa linea della Polonia, come riportato da Il Post, il vicepresidente della Commissione Europea, Schinas, in un dibattito tenutosi il 23 novembre 2021, ha dichiarato che la Commissione, nonostante il rifiuto di finanziare la costruzione di un muro, proporrà una deroga alle norme sancite nei trattati UE in tema di accoglienza e protezione dei richiedenti asilo. La proposta prevede la deroga all’art. 78(3) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), secondo cui, in situazioni di emergenza caratterizzate da “un afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi” Bruxelles “può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro” interessato. Secondo quanto riportato nel documento preparatorio, tali misure sarebbero finalizzate a supportare gli Stati Membri colpiti (Polonia, Lituania, Lettonia) nella gestione della crisi, “rispettando – allo stesso tempo – i diritti fondamentali e le obbligazioni internazionali”. Nonostante non sia la prima volta che l’UE si trova a fronteggiare una crisi migratoria ai suoi confini esterni, i controversi scenari a Est nel breve periodo costringeranno Bruxelles a trovare i giusti mezzi per porre fine alla strumentalizzazione delle vite umane da parte di Minsk e contemporaneamente collaborare, nel rispetto dei valori fondamentali, con gli Stati Membri coinvolti.
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